Ben sparita, sinistra
2 min letturaIl voto di fiducia in Senato di mercoledì 2 ottobre a sostegno del governo Letta è stato da più parti considerato (in modo forse eccessivo) “storico”. Analisti e politici, soprattutto di centrosinistra, hanno sottolineato la fine del potere di ricatto di Silvio Berlusconi sull’esecutivo e il conseguente inizio di una nuova fase dell’azione riformatrice del governo. La tesi è suggestiva e, al momento, anche verosimile. La legislatura, però, è lunga.
Per questo vorrei provare a soffermarmi su un’altra possibile conseguenza, più stabile, del voto di mercoledì: la quasi totale dissoluzione della rappresentanza politica della sinistra in Parlamento. Provo a mettere in ordine i pezzi del ragionamento.
1. La nuova maggioranza politica (“e non numerica”) di Enrico Letta è attualmente composta da circa 170 senatori: PD (107 senatori), Scelta Civica (20), ex-M5S (4), Grandi Autonomie e Libertà (GAL, 10), dissidenti del PDL (circa 25 senatori). Letta non considera Berlusconi un componente della (nuova) maggioranza e non è detto che Berlusconi, a sua volta, abbia voglia di essere considerato corresponsabile politico di alcuni dei prossimi provvedimenti all’esame del Governo, a partire dalla prossima legge di stabilità.
2. Posizionando Berlusconi all’opposizione, e anche ipotizzando che la diaspora dal modello Forza-Italia al modello PDL continui nei prossimi mesi, facendo aumentare la delegazione dei “dissidenti” di altre 10-15 unità, ci sono nuove forze politiche che, improvvisamente, si ritrovano in possesso della “golden share” (in italiano: diritto di ricatto politico) sull’esecutivo Letta. In primo luogo, gli stessi dissidenti possono far cadere il governo in qualsiasi momento. Si è passati, di fatto, dalla "dittatura" di Berlusconi a quella di Cicchitto, Formigoni e Giovanardi. Anche l'alleanza Scelta Civica-UDC, fino a questo momento irrilevante, potrebbe avere i numeri per mettere in gravissima difficoltà l’esecutivo, senza contare possibili alleanze variabili con GAL oltre all’imbarazzo che i quattro ex-grillini potrebbero incontrare nelle prossime settimane.
3. Questi nuovi equilibri della maggioranza portano la politica italiana a un doppio paradosso. Da un lato, il governo Letta-Alfano è numericamente “più di sinistra” di prima (il PD è azionista di maggioranza assoluta, avendo 107 senatori sui 170 certamente a sostegno dell’esecutivo); dall’altro, il Presidente del Consiglio dovrà mettere da parte un bel numero di argomenti di sinistra se vuole salvarsi. Immaginate di dover parlare di diritti civili a Giovanardi, di giustizia a Cicchitto, di piani urbanistici a volumetrie zero a Casini e ai suoi finanziatori, solo per citare tre esempi di argomenti divenuti oggi ancora più tabù di ieri. E tutto questo, nonostante Berlusconi non conti più, dicono.
4. I nuovi equilibri, inoltre, buttano fuori la sinistra non solo dal punto di vista valoriale ma, soprattutto, dal punto di vista sostanziale. I sette senatori di SEL non hanno praticamente alcuna possibilità di incidere sull’agenda dell’esecutivo. Definire “di sinistra” i parlamentari del MoVimento5Stelle causa negli stessi parlamentari una reazione identica alla definizione “berlusconiano”: sinistra e destra sono uguali, dicono. Sintesi: l'elettorato che si ritiene “di sinistra” è, oggi, gravemente sottorappresentato. Nella pratica, è già fuori dal Senato. E, salvo stravolgimenti, sarà così fino alla fine della legislatura corrente.
Non so se l’Italia si è liberata di Berlusconi. Di sicuro può già dire, e a soli sei mesi dal suo ritorno in Parlamento: ben sparita, sinistra.