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La tutela dell’ambiente in Costituzione vale anche per le basi militari all’interno delle aree protette?

4 Maggio 2022 18 min lettura

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La tutela dell’ambiente in Costituzione vale anche per le basi militari all’interno delle aree protette?

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Sta facendo discutere in questi giorni il caso della cittadella militare che il governo Draghi intende, o forse intendeva, realizzare a Pisa, nel parco di San Rossore Migliarino Massaciuccoli. Polemiche, assemblee, raccolta firme, interrogazioni parlamentari: la Toscana ha fatto sentire la propria voce in ogni modo per impedire che vengano realizzate una serie di infrastrutture militari - il quartier generale del gruppo interventi speciali (GIS), del reggimento carabinieri paracadutisti Tuscania e del nucleo cinofili dell’Arma - all’interno del vecchio centro radar di Coltano, che in realtà estenderanno ulteriormente i propri confini per un totale di 70 ettari. Il 4 maggio, in occasione della presentazione dei dettagli della cittadella, a Firenze è previsto un ulteriore presidio di proteste, convocato dal movimento “No Base - Né a Coltano né altrove”, nato dopo una serie di assemblee e incontri in piazza, che pian piano hanno fatto luce sulle reali volontà del governo. Mentre all'incontro istituzionale dovrebbero partecipare i rappresentanti degli enti coinvolti: Ministero della Difesa, Arma dei Carabinieri, Regione Toscana, Ente Parco di Migliarino San Rossore Massaciuccoli e Comune di Pisa. 

Il progetto è descritto per la prima volta nel dettaglio dal giornalista Angelo Mastandrea sul numero dell’Essenziale del 9 aprile:

Il progetto sulla scrivania di Lorenzo Bani, presidente del Parco regionale toscano di Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli è ben dettagliato. Prevede una pista di atterraggio per gli elicotteri, due poligoni di tiro, caserme, centri di addestramento, laboratori, magazzini, palestre, piscine, uffici, mensa, infermeria, officine, un autolavaggio e 18 villette a schiera. I militari recinteranno 730mila metri quadrati di area protetta all’interno del parco, ci costruiranno 440mila metri cubi di nuovi edifici e lui non potrà opporsi. 

La notizia è venuta a galla lo scorso 23 marzo, quando il decreto del 14 gennaio 2022 del Consiglio dei Ministri è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Scrive Il Post:

Il decreto non era stato annunciato né dal ministero della Difesa, né dal governo: di fatto la nuova base militare è stata imposta e non sembrano esserci possibilità di ripensamenti o modifiche al progetto. L’attuale area recintata è grande 54mila metri quadrati e al suo interno sono rimasti alcuni edifici abbandonati dove fino a due decenni fa lavoravano i militari statunitensi della vicina Camp Darby, una base italiana sotto la responsabilità dell’esercito italiano, dove però operano unità militari statunitensi. Secondo i piani del ministero, l’area militare dismessa nei campi di Coltano si allargherà fino a 730mila metri quadrati, oltre dieci volte tanto rispetto a oggi.

Il decreto pubblicato il 23 marzo contiene un solo articolo e specifica che la cittadella di Pisa è un’opera destinata alla difesa nazionale, dunque soggetta alle “misure di semplificazione procedurale” previste dal cosiddetto decreto Semplificazioni, cioè la legge n°108 del 29 luglio 2021. Soprattutto si tratta di una base militare che nelle intenzioni del governo dovrebbe essere finanziata con i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) di cui, a distanza di un anno dalla sua sua stesura ufficiale, si sa ancora ben poco. La stessa assenza di trasparenza si ha nel merito di ciò che si vuole realizzare a Coltano. Come scrive Pisa Today, "i dettagli dell'intervento restano ancora incerti: sarà il Comando Generale dell'Arma a presentare ufficialmente il progetto il prossimo 4 maggio in Regione Toscana, con un incontro a cui parteciperà anche il sindaco di Pisa Michele Conti".

Il governo Draghi in un primo momento ha tirato dritto. Ma poi, di fronte alla crescente mobilitazione, anche dentro i partiti che lo sostengono, ha cominciato a rimettere in discussione un progetto che, a quanto pare, era comunque noto da tempo. Già il  22 aprile il sottosegretario all'Istruzione Rossano Sasso aveva lasciato aperto qualche spiraglio di fronte all’interpellanza urgente presentata dalla deputata Yana Chiara Ehm (Manifesta-PaP-PRC-SE), che aveva definito “l’uso del PNRR per usi militari una scelta scellerata”:

"Ove il progetto non dovesse trovare la piena condivisione, nel rispetto delle diverse idee, saranno prese in considerazione ulteriori soluzioni, fermo restando che le forze da allocare hanno, comunque, l'esigenza di trovare una sede vicina a omologhi reparti delle altre Forze armate, per lo svolgimento di sinergiche attività addestrative aviolancistiche, e in prossimità dell'aeroporto militare di Pisa, per assicurare l'immediato trasporto in caso di necessità operative".

Il 27 aprile, poi, il governo ha accolto un ordine del giorno presentato da Riccardo Ricciardi, deputato toscano del M5S e vicepresidente del partito, in cui si chiedeva all'esecutivo di "rivedere la soluzione prevista dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 gennaio 2022, individuando un altro sito consono alla realizzazione della infrastruttura militare in oggetto".  

Pur considerando che l’area che va da Pisa e Livorno è già oggi tra le più militarizzate d’Italia, a scatenare l’indignazione generale è stata la valutazione pressoché condivisa che le aree militari non dovrebbero sorgere in zone naturali di pregio o, ancor più, protette. Che invece è quel che accade da decenni nel resto d’Italia. 

Se la Difesa punta ad “aggredire il divario infrastrutturale”

“Le aree addestrative non demaniali e i poligoni semipermanenti od occasionali non possono in nessun caso essere localizzati nell'area di parchi nazionali e regionali o nelle aree sottoposte a tutela ambientale”. Era il 2014 quando una proposta di legge di alcuni deputati (Duranti, Piras, Marcon, Ventricelli, Pannarale, Fratoianni, Sannicandro, Matarrelli) chiedeva di modificare il comma 2 dell'articolo 357 del codice dell'ordinamento militare, entrato in vigore nel 2010, che prevedeva, e prevede, che nel caso di parchi e aree con vincolo ambientale sia necessario stilare “protocolli d'intesa tra l'amministrazione della difesa, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Corpo forestale dello Stato e l'Ente gestore del parco”. È lecito domandarsi: se la proposta di legge fosse stata approvata dal Parlamento, forse oggi non ci sarebbe stato un “caso Pisa”? Non proprio. Perché molto spesso, come insegna proprio la vicenda di Coltano, le esigenze ambientali vengono sacrificate in nome di quelle che il codice di ordinamento militare definisce “insopprimibili esigenze connesse all’utilizzo dello strumento militare”.

Dalla proposta di legge del 2014 emerge che:

Le Forze armate svolgono una fondamentale funzione di difesa del paese e di cooperazione nelle operazioni internazionali in cui sono coinvolte, tuttavia si pone a oggi il problema dell'uso del territorio nel nostro paese. Attualmente le aree interessate da servitù militari sono circa il 17 per cento dell'intero territorio nazionale e una considerevole parte è ubicata all'interno di aree naturali protette nazionali, regionali o provinciali, nei siti d'importanza comunitaria e nelle zone di protezione speciale. Esercitazioni, anche a fuoco, si svolgono tuttora nei territori di tali aree determinando impatti e incidenze significativi su habitat naturali e seminaturali, su specie selvatiche animali e vegetali e sui paesaggi.

L'attività militare svolta all'interno di tali aree, in particolare le esercitazioni a fuoco, risulta incompatibile con la loro tutela ambientale. Queste attività, infatti, pregiudicano l'ambiente e la composizione dell'ecosistema, non soltanto a causa delle immissioni di metalli pesanti ma anche a causa delle immissioni foniche e all'accumulo di inquinanti, determinando pesanti ricadute in termini di riduzione della biodiversità e di contaminazione del territorio, nonché di consumo di suolo e di perdita di fertilità dello stesso. (...) È bene ricordare che le aree protette, di cui siamo leader in Europa, rappresentano una preziosa risorsa per il paese, che vale il 3,2 per cento della ricchezza nazionale. Esse tutelano un patrimonio unico e contribuiscono a rilanciare le economie locali, dall'agricoltura all'allevamento, dall'artigianato al turismo. Inoltre va considerato l'aspetto anacronistico delle esercitazioni militari: esse, nella maggior parte dei casi, si svolgono con strumenti obsoleti, secondo modelli strategici e regole di ingaggio assolutamente arcaici che risulterebbero inapplicabili nell'infausta ipotesi di uno scenario bellico. Da ultimo non devono essere trascurati i costi esorbitanti di queste esercitazioni, che spesso per potersi svolgere muovono mezzi da più regioni, risultando in netto contrasto con le odierne logiche di tagli e con il processo di spending review in atto. 

Se gli allarmi della proposta di legge restano attuali, soltanto l’ultimo passaggio riportato risulta anacronistico. Oggi per la Difesa italiana, tra PNRR e aumento degli armamenti, i soldi ci sono. Lo mette nero su bianco lo stesso ministero nel Documento Programmatico per il triennio 2021-2023:

Con le risorse che la Difesa ora vede a sua disposizione, rispetto alle contrazioni di bilancio del passato, inizierà nei prossimi anni ad aggredire il divario che si è generato nel settore infrastrutturale rispetto al fabbisogno per le spese di investimento e per quelle di esercizio. Divario dovuto all’incongruenza di fondi rispetto alle numerose e complesse esigenze di ristrutturazione, ammodernamento ed efficientamento energetico/ambientale delle infrastrutture della Difesa, anche in considerazione della vetustà che caratterizza tale parco infrastrutturale. È evidente, infatti, come più del 50% delle infrastrutture e delle aree addestrative attivamente in uso alla Difesa siano state realizzate prima del 1915 e soltanto circa il 10% sono state costruite dopo il 1945 e quindi come per esse sia improrogabile un rinnovamento dello stato di conservazione.

L’ex base di Coltano, dunque, potrebbe essere la prima di una lunga serie di ristrutturazioni e ampliamenti. Nel Documento Programmatico la Difesa intende triplicare le spese per le infrastrutture, che passano dagli 89,9 milioni di euro del 2022 ai 262,3 per il triennio 2023-2025, a fronte degli investimenti per “attività di bonifica su immobili, aree militari e poligoni” che, seppur in aumento, costituiscono meno di un quinto dei fondi destinati al rinnovamento e alla manutenzione.

Documento Programmatico Ministero della Difesa per il triennio 2021-2023

Partendo dalla guerra in Ucraina, a Valigia Blu avevamo affrontato il tema dell’impatto dell’industria militare sull’ambiente. Lo avevamo fatto interpellando tra gli altri Francesco Vignarca, coordinatore delle Campagne per la Rete Italiana Pace e Disarmo, e Antonio Mazzeo, freelance siciliano che è stato recentemente insignito del prestigioso Premio Colombe d'oro per la Pace. Di fronte al caso dell’ampliamento della base militare di Pisa, all’interno di un parco naturale e senza alcun coinvolgimento del territorio, entrambi si mostrano poco sorpresi. Vignarca fa notare che «quel che avviene in Toscana è molto frequente. Addirittura ci sono casi di spazi affittati ad agenzie militari straniere per svolgere prove ed esercitazioni. A nostro modo di vedere questo è sia uno spreco di risorse che una militarizzazione dell’ambiente». Allo stesso modo per Antonio Mazzeo, «parchi e riserve protette convivono spesso con strutture militari, anche di enorme impatto, come i poligoni o i sistemi radar. Di più: è lo stesso ministero della Difesa che sul proprio sito elenca le informazioni ambientali sulle proprie attività. Sono informazioni parziali ma da cui si evince che per il governo non ci sono mai problemi e tutto è compatibile. Anche se attività così pesanti incidono certamente sia sulla flora che sulla fauna». 

Leggi anche >> L’impatto dell’industria militare sull’ambiente

Nel link a cui Mazzeo fa riferimento, consultabile liberamente, è facile notare che in effetti, nonostante la rilevanza, non si è mai in presenza di dati aperti e che i pochi dati disponibili sono semplicemente “enunciati” dalle stesse forze armate. L’ultimo provvedimento in ordine di tempo è relativo al 13 dicembre 2021: si tratta di un accordo quadro, della durata di cinque anni, stabilito tra lo Stato Maggiore della Difesa e l’Istituto Superiore di Protezione Ambientale (Ispra), in cui sono stati definiti parecchi “ambiti strategici”:

Tutela del suolo, dell'aria e dell'ambiente marino e costiero e lacustre; tutela della natura; supporto tecnico-scientifico per le attività di messa in sicurezza di emergenza e operativa dei siti potenzialmente contaminati e predisposizione di protocolli di monitoraggio ambientale presso i poligoni militari delle Forze Armate; attività riguardanti la gestione dei rifiuti pericolosi; attività connesse allo studio ed alla mitigazione della pericolosità idrogeologica; attività riguardanti le aree militari ricadenti in interventi di rigenerazione urbana, nei siti della Rete Natura 2000; definizione di programmi di monitoraggio degli habitat marini in aree sensibili individuati dalle direttive comunitarie; lo scambio di informazioni e l'aggiornamento delle rispettive banche dati per la realizzazione di cartografia digitale nautica e tematica; monitoraggio e controllo ambientale con tecniche innovative di osservazione aerea, anche con aeromobili a pilotaggio remoto, e di telerilevamento satellitare.

Valigia Blu ha chiesto maggiori dettagli su questo accordo a Ispra, finora senza esito. Al momento ci viene in aiuto l’Europa con il documento “LIFE, Natura 2000 and the military”, redatto all’interno di Life, un programma della Commissione europea. Il documento è risalente al 2005 ma ci è utile anche oggi per alcuni passaggi:

Il termine “aree militari” copre un'ampia ed eterogenea gamma di terreni e infrastrutture di proprietà e/o utilizzate dalle forze armate. Sebbene alcune non abbiano un particolare interesse per la conservazione della natura, la maggior parte delle aree militari, e in particolare quelle utilizzate per l'addestramento e i test, contiene quantità significative, persino spettacolari, di habitat e paesaggi naturali e seminaturali, con corrispondenti abbondanze di fauna selvatica. A volte sono tra i siti più ricchi e importanti per la biodiversità del loro paese. Le aree di addestramento possono misurare migliaia o decine di migliaia di ettari ciascuna, ma non vanno trascurate le aree militari più piccole: tra le piste degli aeroporti o intorno ai depositi di munizioni e alle installazioni radar, ad esempio, si trovano spesso sacche della natura ecologicamente interessanti.

Al nostro paese, poi, il report dedica alcuni passaggi:

Le forze armate italiane controllano un territorio la cui superficie totale è di 170.100 ettari, quattro volte la superficie del Parco Nazionale d'Abruzzo, fiore all'occhiello della nazione. Ciò include 331 aree di addestramento, metà delle quali utilizzate come poligoni di tiro o di tiro, e circa 200 siti occupati da fari e dispositivi radar. La distribuzione delle aree militari nelle varie Regioni amministrative riflette principalmente le precedenti valutazioni del rischio di invasione legato alla Guerra Fredda. Così 70 aree si trovano in Friuli-Venezia Giulia, al confine nord-orientale dell'Italia, e altre 41 nell'adiacente Trentino-Alto Adige. In Sardegna il possedimento militare totale è di quasi 20mila ettari, con un unico poligono di tiro di 12mila ettari (Salto di Quirra, in provincia di Nuoro) e un altro poligono a Capo Teulada (provincia di Cagliari) che si estende lungo 25 km di costa (con divieto di volo nella zona che copre 75mila ettari).

Di casi come Pisa, insomma, ce ne sono tanti, e anche piuttosto recenti. È quello che è avvenuto, ad esempio, all’interno del Parco del Gran Sasso, citato dal documento europeo come metro di paragone e dove da decenni si svolgono esercitazioni a fuoco e con mezzi pesanti, nonostante sia uno dei parchi nazionali più antichi ed estesi d’Italia. A febbraio il Comitato Valutazione di Impatto Ambientale della Regione Abruzzo ha espresso parere favorevole per l’anno 2022 alle esercitazioni degli alpini al poligono di Monte Stabiata, stralciando l’originale proposta di condurre attività fuori strada con i mezzi militari. Come ricorda la Stazione Ornitologica Abruzzese, che conduce da anni una battaglia per la tutela delle aree naturali della “regione più verde d’Europa”, si tratta di:

Attività che avevamo immediatamente segnalato come incompatibili vista anche la situazione sul campo con il cotico erboso solcato da una miriade di piste visibili addirittura dalle foto satellitari. Per non parlare di un’area risultata contaminata da metalli pesanti per la quale da anni è ancora aperta una procedura presso il Comune di L’Aquila. Quelli sono habitat tutelati a livello europeo che ospitano comunità di fauna e flora protetti dalle normative comunitarie. Gli alpini, dopo aver ottenuto il nulla osta del parco, potranno praticamente fare attività nel 2022 con accampamento di 50 persone ed esercitarsi esclusivamente a piedi. Continuiamo a pensare che un’area protetta non debba essere destinata in generale a queste esercitazioni anche in considerazione dell’esistenza di siti alternativi in zone non tutelate. Ora in ogni caso bisogna imporre il ripristino degli habitat e concludere la procedura di bonifica ancora aperta. Siamo certi che il sindaco di L’Aquila, che oggi plaude all’ok del comitato VIA, si darà da fare con altrettanta solerzia per il restauro ambientale di tutte le aree.

Insomma, la vicenda di Pisa, se la si guarda da un’altra prospettiva, apre uno squarcio più ampio sul nostro paese e sul rapporto con le cosiddette servitù militari. Alcuni degli episodi più emblematici si trovano in Sicilia, soprattutto per via della posizione strategica al centro del Mediterraneo.

Fuori dalla base militare è vietato raccogliere fiori

Nel 2019 The Conservation aveva calcolato, con notevoli difficoltà dovuta alla scarsa trasparenza, l’impronta ecologica dell’esercito USA. Era emerso, tra gli altri aspetti, che “se l’esercito statunitense fosse uno Stato, solo il suo uso di carburante l’avrebbe reso il 47° paese emettitore di gas serra al mondo, facendolo posizionare tra il Perù e il Portogallo”. Lo studio era stato rilanciato non a caso dal movimento No Muos: da più di 10 anni in Sicilia attivisti e attiviste lottano contro la base militare NRTF di Niscemi, di proprietà della marina militare statunitense. Più nello specifico il movimento contrasta il Muos (Mobile User Objective System), il sistema di telecomunicazioni satellitare USA che è stato attivato nel 2014 dentro la base militare, la quale a sua volta si trova dentro un SIC, un sito di interesse comunitario. Una base militare dentro una riserva naturale? Dove l’abbiamo già sentita?

Sarebbe un esercizio troppo lungo in questa sede ripercorrere le varie vicende giudiziarie che hanno interessato la base di Niscemi in merito alle autorizzazioni rilasciate nonostante la presenza di un Sito di Interesse Comunitario. Il fatto però indiscutibile è che una infrastruttura militare, per giunta a uso esclusivo delle forze armate statunitensi, sorge all’interno di un bosco secolare, una delle ultime testimonianze delle querce da sughero che un tempo ricoprivano la Sicilia meridionale. Anzi, per realizzare il mega impianto satellitare è stata rimossa la vegetazione circostante ed è stata sbancata un’intera collina. Nonostante ciò la Soprintendenza di Caltanissetta, competente per territorio, nel 2008 rilasciò un parere positivo, limitandosi a una manciata di prescrizioni:

Con la beffa, come ricorda il movimento No Muos, che “si tratta dello stesso organo che nel corso degli anni ha installato numerosi cartelli con cui si vieta di spostare le pietre e raccogliere i fiori proprio a ridosso della recinzione della base militare USA”.

Foto: Alfonso Di Stefano

La potenza di Belen Rodriguez

In Sicilia quello del Muos è il caso più clamoroso di prevalenza dell’interesse militare rispetto a quello ambientale, ma non è neanche l’unico. Se n’è accorta la scorsa estate perfino Belen Rodriguez, la nota showgirl argentina. Sull’isola per un book fotografico, Rodriguez scopre le bellezze di Punta Bianca, in provincia di Agrigento. E sul proprio profilo Instagram ne scrive in questi termini:

Belen Rodriguez

Il grido di dolore della showgirl argentina viene subito accolto dal presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci. Tanto che a novembre il governo regionale presenta la delibera per istituire la riserva. Anche se, come spiega il giornalista investigativo Antonio Mazzeo, "nella mappa di riperimetrazione della Riserva Naturale di Punta Bianca e Scoglio Patella della Giunta Musumeci la superficie da proteggere è stata ridotta di almeno cinque volte (...) e scandalosamente è rimasto fuori dalla riserva proprio il poligono di Drasy, utilizzato per le esercitazioni a fuoco dei reparti e dei mezzi pesanti dell’esercito italiano e dei marines USA di stanza nella stazione aeronavale di Sigonella".

Ultimamente sembra che le continue esercitazioni militari siano state sospese. Esulta in una nota l’associazione Mareamico, sempre in prima fila nella tutela di Punta Bianca, ma allo stesso tempo ne sottolinea gli impatti ripetuti nel tempo e le conseguenze, è proprio il caso di dirlo, di lunga gittata legate alla tossicità del piombo e alle vibrazioni provocate dalle esplosioni:

L’esercito italiano da 63 anni continua a violare questo territorio che ha sotto l’aspetto paesaggistico, storico, ambientale, una valenza incommensurabile; la sua presenza è inconciliabile con l’istituzione di una riserva naturale. Le esercitazioni militari compromettono l’ambiente: immettono in atmosfera sostanze pericolose come ad esempio i residui di polveri da sparo, rilasciano una grande quantità di piombo, sostanza velenosissima che, come tutti i metalli pesanti, è altamente tossica per la flora e la fauna locale e per l’ecosistema marino. In particolare, la sua permanenza in acqua ad elevata salinità, lo degrada dissolvendolo nell’ambiente marino. Il piombo entra quindi nella catena alimentare, distribuendosi nei tessuti degli organismi della fauna ittica con destinazione terminale l’uomo. Questo causa una serie di danni ad organi e tessuti, spesso irreversibili. I terrificanti boati atterriscono, oltre che le persone, anche gli animali selvatici presenti in queste aree. Anche le forti vibrazioni, provocate dalle esplosioni, hanno già causato numerosissime frane, con un considerevole arretramento della fragile falesia.

Il poligono dove “il mare è del colore dei pavoni”

Per un poligono di tiro che sospende, almeno per il momento, le esercitazioni, ce n’è un altro che potrebbe a breve riprendere le attività. Si tratta dell’ex poligono militare nel comprensorio costiero di Punta Izzo, ad Augusta. Siamo in provincia di Siracusa e, se possibile, qui la vicenda si complica ulteriormente. I primi vincoli militari nella zona risalgono addirittura al 1911. In maniera “informale” le esercitazioni proseguono per alcuni decenni. Negli anni Ottanta viene costruita una struttura in cemento armato, proprio sulla costa, che ospita le esercitazioni di tiro della Marina militare e di altre forze armate. Ufficialmente il poligono resta dismesso dalla fine degli anni ‘90 ma l’accesso resta comunque interdetto alla popolazione. 

Punta Izzo
Punta Izzo, foto di Gianmarco Catalano

Come segnalato da anni dalle associazioni del territorio, che si sono riunite nel 2016 nel Coordinamento Punta Izzo Possibile, l’area militare sorge in un promontorio di rara bellezza dal punto di vista naturalistico, oltre a essere una zona di interesse archeologico. Nel racconto “La Sirena” lo scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa lo definisce “il più bel posto della Sicilia” dove “il mare è del colore dei pavoni”.

Malgrado i vincoli preesistenti di tutela e di inedificabilità assoluta, nel giugno 2012 il Ministero della Difesa, attraverso la Direzione del Genio Militare per la Marina di Augusta, redige un progetto di demolizione, ricostruzione e ampliamento del poligono di tiro. Dopo parecchie pressioni da parte della cittadinanza, nel febbraio 2018 il Consiglio comunale approva all’unanimità una mozione di indirizzo, rivolta all’amministrazione, “allo scopo di evitare la riattivazione del poligoni di tiro”. Il Coordinamento Punta Izzo Possibile però va oltre, e chiede la smilitarizzazione dell’area, affinché venga restituita all’uso comune attraverso la creazione di un parco eco-culturale.

A fine gennaio di quest’anno il Coordinamento inoltra una richiesta di accesso agli atti al ministero della Difesa, per conoscere l’iter del procedimento. In anteprima Valigia Blu è in grado di anticipare la risposta del governo, arrivata tramite lo Stato Maggiore della Marina:

Si rappresenta che il comprensorio, inteso nel suo complesso, riveste particolare interesse per la Marina Militare, essendo utilizzato dalle Forze Armate e dalle Forze dell’Ordine per attività addestrative periodiche che non richiedono l’uso delle armi come, a titolo esemplificativo, le esercitazioni di ricerca e soccorso (anche con mezzi navali ed aerei) e le prove di allenamento e di efficienza fisica del personale militare. Per quanto riguarda la messa in esercizio di un nuovo poligono, il relativo progetto preliminare per la demolizione e rifacimento del poligono, elaborato nel 2012, non è stato ancora approvato definitivamente in quanto non sono state ultimate le fasi relative alle indagini ambientali. A conclusione di tali indagini il progetto potrà essere aggiornato per la successiva approvazione, a valle della quale potranno essere stanziate le risorse per la relativa realizzazione.

È preoccupato Gianmarco Catalano, portavoce del Coordinamento Punta Izzo, che a Valigia Blu sottolinea:

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Il conto alla rovescia per il ritorno, e anzi l’ampliamento, del poligono di tiro ad Augusta è iniziato. Una risposta del genere paradossalmente mette fine alle ambiguità, perché adesso che c’è la conferma ufficiale da parte della Marina la politica dovrà dare risposte nette. Faccio poi notare che c’è un’altra vicenda centrale rimasta irrisolta, quella degli indennizzi per la servitù militare. Recentemente abbiamo inoltrato al sindaco un’istanza di accesso civico per capire se il Comune di Augusta abbia effettivamente percepito o stia ad oggi percependo i contributi e le entrate previste all’articolo 330 del decreto legislativo n° 66 del 2010, nonché per conoscere per quali progetti e finalità tali fondi siano stati eventualmente impiegati. Il sindaco ci ha risposto affermando che il Comune di Augusta non ha mai beneficiato dei finanziamenti statali destinati agli enti locali gravati dal peso di installazioni e attività militari, ma che ha avviato le interlocuzioni istituzionali con il ministero della Difesa per capire quanti e quali contributi eventualmente spettano al territorio. E tutto ciò avviene in un Comune che sta uscendo da un dissesto finanziario e che prima ancora ha dovuto affrontare uno scioglimento per infiltrazioni mafiose.

Foto di Gianmarco Catalano

Intanto da febbraio, lo sappiamo, la tutela dell’ambiente è entrata ufficialmente nella Costituzione. All’art.9, dunque rientrante tra i principi fondamentali della Carta, è stato aggiunto un passaggio fondamentale: “la Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”. Vale anche per le basi militari all’interno delle aree protette?

Immagine in anteprima: Niscemi, Base M.U.O.S. (Mobile User Objective System), foto di Fabio D'Alessandro

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