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Il favoloso mondo di Baricco: la scuola

13 Giugno 2021 9 min lettura

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Il favoloso mondo di Baricco: la scuola

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Ogni tanto in Italia un intellettuale si sveglia la mattina, e siccome non è in Africa e non può rincorrere gazzelle, decide di elargire il suo parere sulla scuola. Stavolta è toccato ad Alessandro Baricco su Repubblica. Baricco viene reputato esperto in materia perché gestisce da anni una scuola di scrittura creativa, la Holden, che da qualche anno ha aperto un percorso “Academy” di “Humanities”, cioè un corso di laurea che poi rilascia un titolo equiparato a Discipline delle arti figurative, della musica, dello spettacolo e della moda. Un DAMS privato, insomma. 

Ma analizziamo nello specifico punto per punto le affermazioni di Baricco e i suoi suggerimenti illuminati. 

La scuola”. Da qualche anno se chiedete ad Alessandro Baricco - 63 anni, scrittore - di cosa dovremmo occuparci prima di tutto per far ripartire l’Italia, dà sempre la stessa risposta: “La scuola”. Nel giugno 2015, dedicò a questo tema il suo intervento alla Repubblica delle Idee di Genova: un monologo appassionato per convincerci che era arrivato il momento di ripensare il metodo di insegnamento. 

La scuola, certo. Ma quale esperienza specifica ha Baricco di scuola? L’esperienza di Baricco, di didattica nella scuola, nei fatti, è limitata al fatto che fa lezione ad un gruppo selezionato di persone di età compresa fra i 18 e i 30, di livello culturale ed economico medio alto, selezionati tramite test di ingresso. Un gruppo dunque di adulti, fortemente motivato a seguire i suoi corsi e probabilmente anche fan di Baricco stesso, in grado di pagare i cospicui costi di iscrizione, e di seguire per tre anni, come viene specificato nel sito della Holden, i corsi in presenza a Torino. Un gruppo inoltre dotato di connessione Internet e strumenti informatici aggiornati per poter condividere file e altro con colleghi ed insegnanti. Diciamocelo, una bolla alto borghese metropolitana che per possibilità economiche, sociali e livello culturale rappresenta una minoranza assoluta nel panorama italico, e come campione statistico di valutazione vale meno di quattro chiacchiere scambiate al bar. 

“È abbastanza ovvio che per ripensare il mondo dobbiamo iniziare dalla scuola. Cosa insegniamo e perché facciamo questo? Bisogna avere il coraggio di eliminare cose inutili o superate, come la divisione in materie e classi”.

La prima cosa che emerge dalle parole di Baricco è l’indeterminatezza dell’oggetto di cui parla: “la scuola”. Nella testa degli intellettuali italici la scuola è un monolite indistinto, dalla materna all’Università. Quando ne parlano non prendono mai in considerazione che in questo organismo complesso ci sono alunni di età diversissime fra loro, e che hanno perciò esigenze diverse in base alla loro maturazione psicologica ed emotiva. Quindi la prima domanda da porre ad Alessandro Baricco sarebbe, banalmente, di quale segmento di scuola sta parlando e per quale sta proponendo queste innovazioni? Per la primaria (6-11 anni)? Per la secondaria di primo grado (11-14)? Per le superiori? O per le università e i gruppi motivatissimi che si iscrivono alla Holden? Perché non è questione di lana caprina deciderlo. 

Stanno studiando come disintegrare il totem classe. Uno dei grandi limiti della scuola attuale è che non è flessibile, ti costringe a una convivenza forzata con un numero molto piccolo di tuoi coetanei.”

Si può fare tutta le retorica che si vuole sugli amici del liceo, ma di fatto quella è una situazione sociale che nella vita non si verificherà mai più. In Italia ci sono già scuole organizzate in questo modo: c’è l’aula di matematica, l’aula di italiano, e gli studenti girano, incrociandosi con altri studenti che fanno la stessa lezione, che seguono lo stesso segmento didattico. Anche di età diverse. E poi servono segmenti didattici più corti, non l’esame dopo tre anni o la pagella ogni quattro mesi: dovremmo fare come nei videogiochi, percorsi in cui vedi la fine, salendo di livello in livello”.

Abolire il gruppo classe, togliere agli alunni il supporto dei coetanei può avere senso solo a partire da una certa età, per esempio, quando si ha a che fare con discenti che sono (o dovrebbero essere) già psicologicamente più strutturati, tipo quelli che vanno all'Università o ai corsi della Holden.

Ma questa visione per i segmenti inferiori, lasciatemelo ricordare, non è condivisa nemmeno da tutti i pedagogisti, che sottolineano invece l’importanza di creare gruppi abbastanza omogenei per età nelle classi, anche delle superiori. Per altro, naturalmente, anche nei licei all’estero dove i gruppi classe sono destrutturati, alla fine i gruppi si ricostituiscono sostanzialmente per età, perché i casi di ragazzi più giovani inseriti in classi successive sono comunque molto rari. Insomma, salvo qualche sporadico alunno particolarmente dotato, le classi sono costituite da coetanei e funzionano grazie all’interscambio di esperienze fra ragazzi della stessa età.

Non è poi chiaro il passaggio sulla “pagella ogni quattro mesi”. Nelle scuole italiane il quadrimestre è una prassi normale, e in molte scuole c’è addirittura il trimestre. Quanto al suggerimento di “fare come i videogiochi”, anche qui non è chiaro a cosa, didatticamente possa fare riferimento. Chiunque abbia un minimo di competenza didattica, e quindi conosca la differenza fra valutazione sommativa e formativa, a sentir dire uno sproposito del genere salta sulla sedia. Gli alunni sono esseri umani complessi, non certo un insieme di livelli sovrapposti che si valutano a punteggio, e l’acquisizione di saperi o persino le fantomatiche “competenze” ministeriali (che in realtà non sono mai state definite precisamente dal punto di vista scientifico, ma sono comunque un insieme di capacità che l’alunno dovrebbe saper applicare in maniera autonoma ed originale) non sono valutabili in alcun modo come traguardi di un videogioco. Insomma, di che diavolo stia parlando Baricco qui lo sa solo lui, ma didatticamente una cosa del genere è bassa macelleria.

La confusione didattica continua poi. Nell’intervista, onestamente, in più punti il ruolo di Baricco è poco chiaro: è intervistato come insegnante, ma in realtà per gran parte del tempo parla da genitore, con una commistione fra i ruoli imbarazzante: 

“La Dad è stata la cosa peggiore che siamo riusciti a produrre. Il difetto principale è stato riversare su uno strumento limitato, il computer, quello che facevi in classe. Quando ho visto che mio figlio faceva educazione fisica in Dad come se niente fosse ho capito che c’era qualcosa che non andava. Colpa anche nostra, dei genitori. Quando vedevamo i nostri figli andare a scuola, restando in camera, per cinque o sei ore davanti ad uno schermo, non ci siamo chiesti perché lo consentissimo quando per una vita abbiamo detto loro di non stare attaccati al computer”.

Cosa avremmo dovuto fare?

“Era evidente che c’era da fare una roba tipo: ok, non più di tre ore in Dad, il resto del tempo facciamo altro, ci inventiamo qualcosa, altri modi di studiare ma non al computer.

Dunque Baricco, a quanto si capisce, sogna classi in cui gli alunni sono inseriti per livello, studiano in autonomia senza neppure l’appoggio del gruppo di coetanei perché sono trattati da individui adulti a partire, ben che vada, dai quattordici anni. Però poi questi stessi alunni-individui, messi di fronte ad una emergenza, hanno bisogno che i genitori intervengano per risolvere loro i problemi. Genitori che protestano al posto dei figli (per altro, protestano contro la DAD in un momento in cui causa una epidemia, non ci sono alternative). Dopo il gatto di Schroedinger abbiamo lo studente di Baricco, che è autonomo e non autonomo nello stesso momento.

Ma andiamo avanti. Quello che colpisce nel discorso è una cosa che nasce da un misto di classismo inconsapevole e scollamento dalla realtà. Il genitore Baricco è, passatemi il termine, baricchesco in tutto e per tutto, ed è uno splendido mammifero borghese. E cioè è un genitore colto, che per altro fa un lavoro con orari flessibili e modificabili per poter seguire i figli quando sono a casa. Infatti dice che spetta ai genitori bloccare le troppe ore di DAD e inventarsi qualcosa per far studiare i figli in altre modalità. 

Che però, in uno Stato serio, non è un compito del genitore, e che molti genitori vincolati, anche in lockdown, ad orari di lavoro non possono fare. Compresi, verrebbe da ricordare, gli insegnanti stessi. Verrebbe inoltre da ricordare, a Baricco, ma non solo, che la scelta di molti istituti di fare l’orario completo in DAD (per altro, solo alle superiori: materne, primaria e secondaria di primo grado sono rimaste in presenza proprio perché i genitori non potevano lasciare i figli a casa da soli) è proprio stata chiesta dai genitori. Quelli che dovevano lavorare, e di cui Baricco non contempla l’esistenza. Sfugge perché Baricco quindi, invece di protestare per la DAD (che ricordiamo, è nata in un momento di assoluta emergenza e spesso grazie alla buona volontà degli insegnanti) non protesti contro lo Stato e il sistema imprenditoriale, che non ha previsto reali aiuti ai genitori lavoratori, limitandosi a pensare che la scuola in DAD servisse a fare ciò che fa da anni in presenza: da babysitter a costo zero per le famiglie in cui i genitori devono lavorare con orari non compatibili con qualsiasi forma di seria cura della prole, non solo durante una epidemia. 

E via, altro giro nel favoloso mondo della didattica baricchiana. 

“Infatti moltissimi hanno semplicemente smesso. Smesso di andare a scuola. E’ stata la loro forma di ribellione. Smettere di studiare è una grandissima forma di ribellione, la più coraggiosa, la più letterale e diretta, io la trovo a suo modo geniale. Il fatto che queste legioni di ragazzi che studiavano male e hanno smesso, siano stati colpevolizzati dimostra che siamo educatori con tanti difetti. Ovviamente non è che a un ragazzo che lascia la scuola devi dire bravo. Ma devi leggerlo dentro. Ci vuole della personalità per staccarsi dalla scuola. Quell’energia lì, quella personalità, va recuperata e utilizzata. Senza santificarli perché il primo valore che dobbiamo trasmettere ai giovani è il senso del dovere: se il tuo lavoro è fare il pane fai il pane, anche sotto il temporale. Ma se il forno non funziona c’è anche il panettiere che dice: 'sapete che c’è?, io mi fermo sennò non lo capirete mai che avete un problema'. La protesta silenziosa dei tanti che quest’anno si sono staccati è una protesta che dobbiamo ascoltare”.

Qui però non si capisce a che dati Baricco faccia di preciso riferimento. Perché a tutt’oggi non mi sono note rilevazioni e studi scientifici che parlino di abbandoni massicci da parte degli alunni in DAD. E se Baricco li possiede, questi dati, sarebbe interessante anche capire a quali zone del paese, classi sociali, ordini di studio stiamo facendo riferimento. Perché quello che pare sfuggire a Baricco è che in Italia le percentuali di abbandono scolastico sono abbastanza forti in determinate aree da sempre, in presenza e durante i “normali” anni scolastici, e non a caso siamo uno dei paesi con più NEET, cioè ragazzi che mollano la scuola senza ottenere nessuna qualifica, e poi non trovano per questo nemmeno lavoro. Ma questo, lo rassicuro, non è dovuto alla DAD, siamo così da decenni e nessuno nel fantastico mondo di Baricco pare essersene mai preoccupato, forse perché chi molla la scuola raramente si iscrive poi ai corsi della Holden. 

Smettere di studiare, caro Baricco, no, non è una forma di ribellione radical chic di ragazzi annoiati di fronte agli schermi. Non è nemmeno una scelta, spesso. È una tragedia ambientale, a cui decine di ragazzi sono condannati loro malgrado, perché vivono in contesti di disagio, di miseria, di totale mancanza di opportunità, o semplicemente in un devastante vuoto culturale che è dovuto a fattori economici e sociali di cui tutti, in questo benedetto paese, se ne strasbattono. 

Questi ragazzi qui, mi creda, non hanno bisogno che lei li legga, o li interpreti, o li psicanalizzi. Hanno bisogno che finalmente in questo accidenti di paese si decida di investire soldi, come si fa altrove, per corsi di recupero, attività alternative nelle zone disagiate e a rischio, sportelli di consulenza dentro le scuole. In mancanza di tutto questo, di un intervento sistemico sul disagio sociale che attanaglia vaste zone ed intere classi sociali, come ci dicono da anni tutti gli studi europei, riformare la scuola (anche qui, “la scuola”, entità astratta e indistinta) non ha senso, perché è come cercare di svuotare il mare con un secchiello. 

Certo che se almeno coloro che si credono intellettuali la smettessero di rilasciare interviste su temi di cui capiscono poco e nulla, blaterando soluzioni che non sono tali, un piccolo miglioramento lo avremmo: noi che dentro la scuola ci lavoriamo, ci incazzeremmo di meno.

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Immagine in anteprima: Ziko van Dijk, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

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