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Cosa sappiamo sui contagi di influenza aviaria

28 Novembre 2024 7 min lettura

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Cosa sappiamo sui contagi di influenza aviaria

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Homo sapiens è l'unico animale che vive contemporaneamente in due realtà apparentemente separate. Vive nel mondo degli umani, fatto di cose inventate dagli umani (nazioni, confini, leggi, finanza, cultura, scienza, religioni…), ma anche in un mondo molto più grande che condivide con forme viventi vegetali e animali, grandi, piccole, microscopiche, di cui è poco consapevole e, con poche eccezioni, gli interessa relativamente poco. Il mondo grande ricambia l'indifferenza, le cose là fuori succedono in spazi e tempi che non sono i nostri, con leggi e regole che spesso abbiamo difficoltà a comprendere. 

Però ci siamo inventati che è stato creato per noi.

Ogni tanto succede che il mondo grande irrompe in quello degli umani. E allora siamo costretti a cercare di capire in fretta cosa sta succedendo, allora ci rendiamo conto di quanto sia importante studiarlo, capirlo e conoscerlo quel mondo. Anche se quello che studiamo non riguarda direttamente gli umani, ma forse prima o poi lo farà. E quel giorno ci sarà sicuramente chi, per esempio, si chiederà: "E questo virus, che prima non c'era, da dove esce fuori? Chi lo ha fatto?"

Perché ovviamente è stato qualcuno. 

Quello nella foto è il lago Qinghai, il lago azzurro, in Cina. Più esattamente in Tibet. Il lago è a 3200 metri di quota, nelle foto che ho trovato in rete si vedono acque blu con i monti sullo sfondo, deve essere un posto di notevole bellezza. Ma anche di notevole interesse, a causa della sua posizione strategica al centro di varie rotte migratorie il lago vede un passo di circa 200.000 uccelli l'anno. Che vengono studiati, contati, monitorati da ornitologi che poi li seguono anche nel corso delle migrazioni.

Ma quanto volerà, dove volerà un'oca selvatica che migra passando per un lago in Tibet, interessa a pochi.

In effetti però il lago azzurro è anche un laboratorio dove la natura fa i suoi esperimenti. 

In un report pubblicato di recente su Emerging Infectious Diseases, rivista edita dal CDC, un gruppo di ricercatori cinesi ipotizza che tra gli uccelli del lago Qinghai nel 2022 si sia originato per ricombinazione tra ceppi diversi già circolanti un clade nuovo del virus H5N1, un virus che da quando lo conosciamo periodicamente provoca epidemie tra gli uccelli, tanto che lo chiamiamo virus dell'influenza aviaria. 

Nel 2022 il clade H5N1 2.3.4.4b del virus è stato trovato e caratterizzato nel guano e nelle carcasse di uccelli morti sulle rive del lago, ma fino al 2021 non c'era. E poi è stato ritrovato in sedi veramente molto lontane

Vista l'assenza di allevamenti di uccelli in prossimità del lago che avrebbero potuto iniziare una catena di trasmissioni, la conclusione è che la diffusone del virus sia stata dovuta agli uccelli migratori, che lo hanno portato a migliaia di chilometri dal luogo in cui si è originato. Nel frattempo, tra gli uccelli del lago Qinghai il virus non c'è più. Il timore però è quello di un suo ritorno in popolazioni nuove, che portano altri ceppi dello stesso virus con cui ricombinare per creare nuova variabilità e nuove ondate di infezioni.

La storia ovviamente è più complicata di così. 

Negli anni passati di ondate di H5N1 ce ne sono state diverse, e se non era H5N1 era H5N5, piccole intrusioni nel mondo degli umani, mediamente considerate dagli umani, con gli occhi degli umani, solo come un fattore di danno economico perché hanno ucciso i polli e tacchini dei nostri allevamenti. Ma intanto il virus si diffondeva, circolava e cambiava, e riusciva ad arrivare in Europa, poi in Canada, poi negli USA, poi in Cile, in Argentina, nella penisola di Valdez, fino in Antartico. Che era un segnale molto preoccupante perché si pensava che la letalità del virus fosse un fattore autolimitante, uccelli infettati non potevano volare così tanto. E invece no. 

E poi riguardava gli uccelli. E invece arrivato in Canada, in Argentina, in Cile, ha iniziato a infettare e uccidere i mammiferi, foche, leoni marini, elefanti marini. E studiando quel virus, si è visto che non erano infezioni sporadiche, aveva acquisito mutazioni che gli consentivano di passare da mammifero a mammifero. 

Ma la penisola di Valdez è lontana.

Oggi però, in un crescendo di preoccupazione, lo vediamo diffondersi tra i bovini degli allevamenti in America, e la terra comincia a scottare sotto i piedi, perché gli allevamenti sono economia, e perché coi leoni marini no ma con i polli e con le mucche siamo a contatto e si stanno infettando anche quelli che stanno a contatto con le mucche. Ma vabbè, sono solo sintomi lievi, sono solo congiuntiviti... 

E invece no, in Canada una settimana fa un’adolescente è stata infettata da H5N1, e dopo alcuni giorni di sintomi blandi (congiuntivite, un po' di febbre…) ha avuto un rapido peggioramento ed è stata ricoverata con sindrome respiratoria in condizioni che vengono definite critiche (alla data in cui scriviamo, sembra che la persona sia in leggero miglioramento).

È il primo elemento che ha destato preoccupazione. 

Fino ad ora infatti il virus H5N1 che, ricordiamolo, è un virus aviario, ci stava girando intorno, facendo piccoli passi di avvicinamento, favorito dalla grande diffusione e circolazione, dal contatto ormai trovato coi mammiferi e dalla nostra promiscuità con grandi concentrazioni di animali negli allevamenti. Ma le infezioni di mammiferi le consideravamo eventi sporadici, che non avrebbero avuto seguito. O comunque lontani, non rilevanti per noi, nonostante gli ingenti danni economici.

E ci sono state anche infezioni umane, ma sempre eventi isolati, e con sintomi molto blandi. Nel corso dell'attuale ondata di H5N1 fino ad ora in nessun'altra infezione umana ci sono state complicazioni a livello respiratorio come è successo invece nel caso canadese. 

Il timore è che il virus stia cambiando e, oltre ad aver acquisito la capacità di infettare cellule umane, stia acquisendo un maggiore tropismo per le cellule polmonari che fino ad ora non aveva avuto. La sequenza genomica del virus isolato dal caso canadese è stata messa a disposizione della comunità scientifica dal British Columbia CDC, e dalla sua analisi risultano almeno tre mutazioni o comunque differenze rispetto alla sequenza canonica.  

Due (E202 e Q238) sono nella regione HA, la proteina che, che analogamente alla Spike di SARS-CoV-2, nei virus influenzali lega il recettore tramite cui infetterà la cellula. L’altra in E627 è nella regione che codifica per la polimerasi, ed è in un sito già visto mutare precedentemente in altri ceppi di H5N1che conferisce una maggiore efficienza replicativa al visus in cellule di mammifero.

Quindi si tratta sicuramente di mutazioni che favoriscono l’infezione e la replicazione in cellule di mammifero e potrebbero risultare importanti per far diventare H5N1 un virus umano e non più solo aviario. 

C’è un secondo elemento di preoccupazione, ed è che non si sa come sia avvenuto il contagio. La persona non vive a contatto con bovini (e del resto il suo virus è un po' diverso da quello che sta infettando i bovini negli allevamenti degli USA) e nessuno degli animali con cui è stata a contatto da quello che si sa è risultato positivo al virus. 

Una notizia rassicurante è che, dopo controlli ripetuti, nessun altro umano a stretto contatto è stato contagiato. Questo fa pensare che il virus sia andato incontro a un cambiamento all'interno dell'ospite (forse mediante ricombinazione tra virus coinfettanti, aspetto che si chiarirà solo dopo un’analisi approfondita dei dati del sequenziamento), acquisendo mutazioni che favoriscono l'infezione ed una maggiore velocità di replicazione (e quindi maggiore virulenza e sintomi più severi), ma non avrebbe acquisito la capacità di trasmissione da umano ad umano, che è l'evento temuto, quello che se mai si verificherà, farà la differenza. Bisogna ricordare però che non tutte le mutazioni teoricamente “utili” a un virus aviario per infettare degli esseri umani sono anche funzionali, e molto dipende non da singole mutazioni ma dell’effetto combinato di più mutazioni, che possono essere acquisite nel tempo. Motivo per cui è sempre sconsigliabile lasciar circolare liberamente un virus dandogli la possibilità di acquisire e selezionare nuove mutazioni. 

Quindi per ora è solo un campanello di allarme, un avvertimento che un passettino di più è stato fatto, per ora però possiamo solo restare a guardare sperando che chi deve abbia gli occhi bene aperti.

Nel frattempo, si inizia a testare l'efficacia dei vaccini già esistenti e a lavorare a nuovi vaccini specifici.

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Qui abbiamo solo raccontato una storia che speriamo finirà a breve, ma che non è iniziata un mese fa negli allevamenti di bovini della California (dove circa il 30% delle mucche ormai è positivo al virus, si può seguire Helen Branswell su Bluesky per aggiornamenti) – anche se da allora abbiamo iniziato a parlarne, e a preoccuparci – ma sulle rive di un lago in Tibet.

Come già quattro anni fa, quello che è successo in un posto lontano dai nostri occhi e dal nostro interesse sta improvvisamente diventando una nuova intrusione nel mondo degli umani, che richiederà attenzioni immediate e prontezza di risposta. Impossibile sapere se e quando. Ma se succederà, capiremo cosa abbiamo capito e quanto abbiamo imparato da quattro anni di pandemia.

Immagine in anteprima: frame video cbc.ca

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