Aumento accise carburante: gli errori del governo
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In questi giorni il governo è di nuovo alle prese con il costo di diesel e benzina alla pompa. Il prezzo dei carburanti infatti è tornato stabilmente sopra l’1,8 euro al litro, causando malcontenti nella popolazione e minacce di scioperi nelle associazioni di categoria. Questo fatto, secondo i critici, sarebbe dovuto alla scelta da parte del governo di Giorgia Meloni di non rinnovare lo sconto sulle accise decise dal governo Draghi a partire dall’1 Gennaio.
Il tema è di fondamentale importanza non soltanto per i cittadini, ma anche per la politica: il fine dei politici è anche quello di massimizzare il loro consenso elettorale. Negli Stati Uniti, per esempio, il supporto al Presidente Biden è correlato con l’aumento di questi beni come fa notare il The Washington Post: "L'approvazione di Biden cala un po' con l'aumento dei prezzi del gas da gennaio a giugno […], poi il suo consenso si riprende con il calo dei prezzi".
Che cosa vuol dire “taglio delle accise”?
È innanzitutto necessario chiarire che cosa siano le accise e in che modo i governi possono influenzarle. Il prezzo del carburante alla pompa infatti si compone di tre componenti: il prezzo industriale, l’iva e le accise. Quest’ultime si applicano all’unità del bene venduto e sono state imposte nel corso degli anni per garantire un gettito allo stato per risolvere determinate problematiche. Al giorno d’oggi molte di queste sono state ormai risolte, ma le accise restano sia perché garantiscono un gettito elevato per lo Stato sia perché funzionano come disincentivo al consumo di beni inquinanti: con il decreto legislativo del 26 ottobre 1995 le accise sono diventate strutturali.
Nel corso degli anni, però, questo problema è stato richiamato dalla politica: d’altronde il livello delle accise nel nostro paese è tra i più alti in Europa. Uno sconto delle accise o una loro cancellazione, come detto prima, diminuirebbe le entrate dello Stato.
Dall’inizio del 2021 si è assistito dapprima a una crescita costante ma contenuta del prezzo del carburante, dovuta in parte alla crescita della domanda globale dopo le restrizioni. Con lo scoppio della guerra in Ucraina però questo aumento è diventato vertiginoso come dimostra il grafico sotto riportato, con benzina e diesel arrivati a costare oltre 2 euro al litro. Per far fronte a una situazione del genere, il governo presieduto da Mario Draghi aveva varato uno sconto di 25 centesimi sulle accise.
Recentemente il governo Meloni, anche grazie a un calo del prezzo dei carburanti sui mercati finanziari, ha dapprima tagliato lo sconto delle accise di 12 centesimi nel novembre del 2022 e ha poi cancellato il rimanente a partire dal 2023.
Come sta rispondendo il governo?
Per difendersi dalle critiche gli esponenti del governo, a partire dalla presidente del Consiglio nei cosiddetti “Appunti di Giorgia”, hanno di fatto utilizzato due argomentazioni. Primo, il fatto che il rinnovo dello sconto sulle accise avrebbe sottratto risorse ad altri interventi del governo per far fronte al caro vita e all’emergenza energetica. Secondo, il fatto che l’aumento del prezzo alla pompa non sarebbe dovuto alle scelte del governo quanto a speculazione da parte dei gestori degli impianti.
Il primo punto è, effettivamente, vero: in una situazione come quella che stiamo vivendo, dove i soldi a disposizione del governo sono pochi e vi è la necessità di combattere il carovita, ogni euro deve essere saggiamente indirizzato. Lo sconto delle accise, d’altronde, poiché queste vanno ad aumentare il gettito dello Stato, rappresenta una voce di spesa corposa: secondo i calcoli di Pagella Politica si parla di 730 milioni di euro al mese e quindi, per la sua durata, si parla di un esborso di 7 miliardi, una cifra paragonabile a quella che lo stato spende per il Reddito di Cittadinanza (9 miliardi).
Il problema è però chiedersi se gli altri interventi del governo Meloni, contenuti nella finanziaria, siano o meno preferibili rispetto al taglio delle accise. Ovviamente questa non è una questione tecnica: non esistono interventi preferibili in assoluto rispetto ad altri. Eppure a passare in rassegna gli interventi voluti dal governo Meloni viene da chiedersi se non sarebbe stato più saggio indirizzare risorse al taglio delle accise piuttosto che a rottamazione cartelle esattoriali (ovvero l’ennesimo condono), i soldi stanziati per far fronte alla situazione finanziaria delle squadre di calcio, l’aumento della soglia per la flat tax degli autonomi che porterà a comportamenti sub ottimali e potrebbe, in linea di principio, aumentare l’evasione IRPEF e quindi diminuire il gettito.
Non solo: la battaglia sul prezzo del carburante è sempre stata uno dei punti nevralgici della proposta di governo della destra italiana, tanto che, oltre alle varie proposte di Salvini per la cancellazione delle accise che ormai risalgono a cinque anni fa, anche il partito di Giorgia Meloni ha proposto nel suo programma un intervento simile.
Il secondo punto invece non lascia spazio a interpretazioni: dati alla mano è falso. Per comprenderlo, fa notare Pietro Saccò su Avvenire, è necessario osservare il prezzo industriale di benzina e diesel sui mercati finanziari, in particolare la piattaforma Platts, e quello dei future s- ovvero i contratti derivati che servono come strategia di copertura nei mercati finanziari- del petrolio greggio, in particolare il Brent per l’Europa. Confrontando i valori con quelli della benzina e del diesel nell’arco di cinque anni si trova una correlazione elevatissima. E infatti l’aumento dei carburanti, come mostrano i dati del Ministero dell’Interno, avviene proprio quando il governo Meloni decide di non rinnovare lo sconto delle accise.
Le proposte del governo, però, prendono per vera la spiegazione: per questo serviranno a poco. L’idea in assoluto più assurda è quella di esporre il prezzo medio dei carburanti in ogni stazione. Si tratta di una proposta la cui logica sfugge completamente, a meno di non accettare la spiegazione di membri del governo che ritengono l’aumento dovuto a speculazione: da sempre i vari impianti presentano fluttuazioni di prezzo, dovute a vari fattori tra cui il tipo di pompa o la posizione geografica, e già precedentemente è verosimile che i consumatori evitassero i distributori con prezzi più elevati. Questa proposta assumerebbe significato soltanto se la tesi del governo fosse vera: a oggi, però, pare più un tentativo di lavarsene le mani, scaricando la colpa su una fantomatica speculazione da parte dei distributori di benzina.
Ma lo sconto delle accise funzionava?
La situazione ha riaperto il dibattito sui costi e i benefici di una proposta come il taglio delle accise. Anche nel resto d’Europa, dove sono stati varati provvedimenti simili, non sono mancati i critici di misure di questo tipo, tra cui il settimanale britannico The Economist.
La critica più gettonata è quella secondo cui lo sconto delle accise voluto dal governo Draghi e revocato da Meloni sarebbe una misura, di fatto, che andrebbe a beneficio dei cittadini più abbienti: i più ricchi possiedono macchine di cilindrata più grossa che richiede quindi, nello stesso intervallo di tempo, una maggior spesa per il carburante. Una critica che ha ripetuto, tra gli altri, anche la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Carlo Cottarelli, ex direttore della ricerca al Fondo Monetario Internazionale e oggi Senatore per il PD, che preferirebbe interventi differenziati, così come Veronica De Romanis, docente alla LUISS.
Molto bene ha fatto il Gov a eliminare sconto sulle accise (non ha alzato i prezzi). E’ una misura 1) regressiva: avvantaggia i + abbienti; 2) distorsiva: toglie il segnale del prezzo. Quindi, nessun risparmio, si consuma uguale tanto paga la collettività @StaseraItalia pic.twitter.com/EaOjnGLzgc
— Veronica De Romanis (@VeroDeRomanis) January 11, 2023
Questa critica sembra confermata dai dati dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio: secondo i risultati della microsimulazione infatti i benefici sono dieci volte più elevati per il decimo decile (quello dei più ricchi) rispetto al primo (quello dei più poveri). Servirebbero, secondo i critici, interventi più mirati, attraverso prova dei mezzi, affinché le risorse stanziate vadano effettivamente a coloro che ne hanno bisogno.
Si tratta però di una critica molto delicata: se è vero che lo sconto, preso rispetto alla quantità di risorse stanziate, garantisce maggiori benefici ai più ricchi, dall’altra è necessario sottolineare come un aumento di beni come i carburanti peggiora maggiormente la situazione delle fasce meno abbienti. I più poveri, infatti, destinano una percentuale maggiore di reddito ai consumi rispetto alle fasce più abbienti. Una persona con mezzi di cilindrata più grossa sicuramente spenderà, in valore assoluto, più soldi per il rifornimento, ma la percentuale di reddito che destina a questa spesa è inferiore rispetto a una persona più povera. Se il prezzo si alza il primo potrà attingere a risorse che altrimenti avrebbe risparmiato, mentre l’altro si ritroverà a dover ridurre i consumi- non necessariamenti quelli riguardanti il carburante.
Non solo: come mostra proprio la già citata relazione dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, anche altre misure portano a maggiori benefici ai ceti più abbienti. Basti pensare alla riduzione IVA sul gas o alla riduzione oneri su elettricità. Nel loro insieme, però, le misure hanno un effetto progressivo- ovvero con benefici maggiori per i più poveri. La strada da seguire sarebbe stata quella inizialmente prospettata proprio dal governo Draghi ma rifiutata dai partiti. Nell’inverno del 2021 per far fronte al caro bollette. il governo Draghi aveva proposto un contributo di solidarietà, con il rinvio della riforma IRPEF per le fasce più abbienti della popolazione, che avrebbe consentito un maggior dispiegamento di risorse per l’emergenza.
La linea seguita dal governo Meloni pare invece l’esatto opposto: le risorse per affrontare la situazione vengono da aumenti che colpiscono indistintamente, come appunto il mancato rinnovo delle accise.
Non solo: le proposte alternative come il potenziamento del trasporto pubblico sono sicuramente lodevoli, ma rischiano di non comprendere l’estrema eterogeneità presente nel nostro paese. Se questa proposta funziona piuttosto bene nelle città, non si può dire lo stesso nelle aree interne che sono meno collegate e in cui il trasporto pubblico è più carente. Si tratta di un tema che richiede anni di investimenti e un ripensamento della mobilità, che può essere di certo catalizzato dalla situazione contingente.
(Immagine in anteprima: grab via Twitter)