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Aumentano i suicidi fra i disoccupati? Una ricerca che non era una notizia

9 Gennaio 2012 4 min lettura

Aumentano i suicidi fra i disoccupati? Una ricerca che non era una notizia

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Matteo Pascoletti
@valigiablu - riproduzione consigliata

La settimana scorsa mi sono occupato della notizia ANSA, riportata dai media, sui suicidi e la disoccupazione, il cui leit motiv era la disoccupazione ne uccide uno al giorno. La notizia citava la ricerca (in realtà un comunicato/sintesi della ricerca) svolta dall'istituto EU.R.E.S. e di cui era stata data notizia già nel maggio dello scorso anno. Nell'articolo ho spiegato come l'enfasi usata nel trattare il tema, dati alla mano, sia  stata quanto meno impropria. L'articolo è QUI.

Come si può leggere nel testo, ero in attesa di notizie da parte di Fabio Piacenti dell'EU.R.E.S., cui avevo posto via mail queste domande:

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  1. È possibile visionare la ricerca completa? In rete ho trovato solo questa sintesi. Come mai non è presente sul sito?
  2. Qual è la fonte per l'indice di rischio suicidiario in Europa (pag.6 del comunicato)?
  3. Ho notato che nella fonte originale, l'ISTAT, c'è una tabella che riepiloga la condizione lavorativa dei suicidi (7.2.) e un'altra, da voi riportata, con le motivazioni dei suicidi, in cui la disoccupazione non è menzionata. Il numero 357 da voi menzionato risulta naturalmente sommando le voci della tabella 7.2. "ricerca nuova occupazione" con "in cerca di prima occupazione". Ma nel rapporto ISTAT non c'è nesso causa-effetto tra condizione lavorativa e suicidi, mentre la vostra ricerca lo lascia intendere. Sulla base di cosa stabilite questo nesso?

Piacenti mi ha risposto, e di questo lo ringrazio, perché non sempre mi accade, purtroppo. Ecco la sua risposta (i corsivi nel testo sono miei):

"Le rispondo con un po’ di ritardo, rientrando oggi in ufficio, e contestualmente allego la ricerca completa. Come potrà vedere si tratta di una rilettura descrittiva dei dati Istat ed Eurostat, che in molti casi aggrega i dati per periodi pluriennali proprio per contenere la variabilità connessa al dato annuale. Nel corso dell’analisi abbiamo più volte sottolineato come sia di fatto complesso (se non arbitrario) spiegare le ragioni del suicidio a livello soggettivo e, ancor più, sociale, considerando la multicausalità che ne è alla base (che comprende fattori culturali, storici, materiali, psicologici, familiari, relazionali, fisici, accidentali, ecc.). Continuo tuttavia a ritenere che non per questo sia giusto rinunciare alla conoscenza di un fenomeno così importante, sempre ricordando le cautele metodologiche e interpretative necessarie alla sua lettura. Per quanto riguarda il dato riferito alla condizione professionale si tratta di un dato oggettivo di grande importanza, soprattutto in una prospettiva temporale più ampia, costituendo il 2009 (anno in cui gli effetti della crisi hanno avuto il primo forte impatto nel nostro Paese, in particolare in alcuni settori) un anno record per il suicidio dei disoccupati. Il dato riferito ai motivi economico fa invece riferimento ad una diversa classificazione (quella motivazionale, ovvero la più complessa) ed è stato posto in così forte rilievo soltanto per il fortissimo incremento registrato (quindi, metodologicamente al riparo da eventuali errori non sistematici in fase di classificazione da parte dell’Istat)."

Concludo con alcune osservazioni, alla luce della cortese risposta di Piacentini e a margine del lavoro svolto sull'argomento:

  1. Il comunicato/sintesi EU.R.E.S. reca il titolo: L’ultimo grido dei senza voce. Il suicidio in Italia al tempo della crisi. In quanto comunicato usa un linguaggio che attiri l'attenzione, e dunque si polarizza sulla comunicazione emotiva "ultimo grido", "senza voce", e la stessa espressione "al tempo della crisi", priva di riferimenti temporali precisi; lo stesso vale per il sottotitolo, dove "le donne sole" sono "meno fragili". Il titolo dell'indagine completa, invece, è neutro e si riferisce al contesto: Il rischio suicidario in Italia: caratteristiche, evoluzione e tendenze. Nel secondo caso, dunque, chi legge non è orientato né emotivamente né ideologicamente verso una possibile interpretazione a priori di quanto leggerà. Ciò probabilmente ha inciso sulla lettura data negli articoli.
  2. Sulla complessità di stabilire nessi causa-effetto, Piacentini conferma perplessità da me sollevate sugli articoli letti, molto più espliciti ed enfatici nell'attribuire le cause.
  3. Piacenti non ha spiegato come mai la ricerca non sia stata pubblicata sul sito EU.R.E.S., almeno fino a oggi.
  4. Per scrivere l'articolo ho dovuto cercare, verificare e analizzare alla fonte i dati citati dall'ANSA e dalle testate che hanno menzionato l'indagine EU.R.E.S. Se avessi lavorato solo di riflesso, facendo le pulci a questi articoli e al comunicato EU.R.E.S., non avrei potuto aggiungere nulla, o sarei sicuramente incappato in approssimazioni, errori e analisi arbitrarie, usando dei numeri per condire delle opinioni, invece di elaborare le opinioni dall'analisi dei numeri. Questo mi fa pensare: perché in Italia le testate giornalistiche devono affidarsi per le ricerche all'esterno? Se nelle redazioni ci fossero giornalisti addetti al data journalism le conclusioni verrebbero dopo essersi documentato alla fonte, arrivando a una comprensione dei fatti, più che dei numeri basati sui fatti. Invece in rete, su temi delicati come suicidio, crisi e sovraffollamento carceri abbiamo letto articoli basati su un'ANSA basata su un comunicato/sintesi di un'indagine EU.R.E.S. che fa una rilettura descrittiva dei dati ISTAT e Eurostat; la versione mediatica del telefono senza fili, in pratica.

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