Oltre 300 attivisti per i diritti umani uccisi nel 2019
7 min letturadi Lorena Cotza*
Safaa al-Saray era un attivista per i diritti umani, un poeta, un musicista e un blogger, con un grande seguito sui social media. Dal 2011 aveva organizzato e partecipato a numerose proteste contro la corruzione del governo iracheno e - con grande coraggio - documentava e denunciava la repressione brutale delle forze dell’ordine. Era stato arrestato tre volte a causa del suo attivismo ed era costantemente sorvegliato e minacciato.
Il 28 ottobre scorso, mentre partecipava a una protesta pacifica a Baghdad, Safaa è stato colpito alla testa da una bombola di gas lacrimogeno lanciata dalla polizia. È morto 7 ore più tardi, in ospedale, per le ferite riportate. Il ritratto del suo viso oggi campeggia su un muro che si affaccia su Tahrir Square, la Piazza della Liberazione, che dallo scorso ottobre è al centro di manifestazioni di massa contro il governo iracheno.
Quello di Safaa non è un caso isolato: nel 2019 oltre 304 uomini e donne attivisti per i diritti umani sono stati uccisi in 31 paesi del mondo, come rivela il rapporto della ONG internazionale Front Line Defenders pubblicato questa settimana. Sono stati assassinati per il loro impegno in difesa dell’ambiente, dei diritti LGBTIQ, dei popoli indigeni, della libertà di espressione, per la loro opposizione a regimi autoritari e corrotti, o per aver partecipato a proteste pacifiche. Due terzi degli omicidi sono avvenuti in America Latina, in quasi totale impunità, e la Colombia con 106 casi si è riconfermata per il terzo anno di fila il Paese più pericoloso per la difesa dei diritti umani. A seguire le Filippine (43 vittime), l’Honduras (31), il Brasile (23) e il Messico (23).
Front Line Defenders è un’organizzazione non-governativa con sede a Dublino che offre supporto pratico ai difensori dei diritti umani a rischio, attraverso training di sicurezza fisica e digitale, fondi per emergenze, advocacy e campagne per dare visibilità agli attivisti e alle attiviste. Secondo i dati raccolti dalla ONG, nell'85% dei casi i difensori avevano già ricevuto minacce prima di essere uccisi, il 13% delle vittime è costituito da donne, e il 40% difendeva diritti ambientali, della terra e dei popoli indigeni. Ma gli omicidi sono soltanto la punta dell’iceberg: l’anno scorso migliaia di attivisti in tutto il mondo sono stati criminalizzati, imprigionati, minacciati e aggrediti.
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Come si legge nel rapporto, il 2019 è stato caratterizzato da un’ondata di proteste di massa in numerosi paesi del mondo e gli attivisti dei diritti umani hanno svolto un ruolo fondamentale nell’organizzare le manifestazioni, mobilizzare la società civile e i cittadini, monitorare e documentare la violenta repressione, assistere i feriti, condividere con il resto del mondo cosa stava avvenendo.
Le cause di queste sollevazioni popolari sono state diverse a seconda del contesto, ma molto simile è stata la risposta delle autorità: uso eccessivo della forza contro manifestanti disarmati (che ha causato vittime in diversi paesi tra cui Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Iraq e Cile), utilizzo di lacrimogeni e proiettili di gomma contro la folla, e blocco di Internet per cercare di frenare le mobilitazioni e la condivisione di informazioni.
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La maggior parte dei casi di omicidi e attacchi riguarda comunità e persone che difendono l’ambiente, si oppongono allo sfruttamento intensivo e spregiudicato delle risorse naturali e si impegnano contro il cambiamento climatico protestando contro progetti ad alto impatto ambientale. Come nel caso dell’attivista messicano Samir Flores Soberanes, assassinato di fronte alla sua abitazione all’alba del 20 febbraio 2019, con due colpi di pistola alla testa. Difensore dei diritti umani, indigeno Náhuatl, giornalista comunitario, si opponeva da anni alla costruzione di una centrale termoelettrica che rischiava di inquinare gravemente le falde acquifere dello stato di Morelos, in Messico. Samir fu ucciso a due giorni da un referendum sul progetto. Secondo l’organizzazione messicana Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra y del Agua si è trattato chiaramente di un omicidio politico, legato all’opposizione dell'attivista alla centrale termoelettrica, ma le autorità hanno archiviato velocemente le indagini senza mai trovare i colpevoli.
L’altro tema chiave che emerge dall’analisi di Front Line Defenders è quello delle donne attiviste, in prima linea nelle battaglie per i diritti ambientali, sociali ed economici, e che spesso pagano un prezzo altissimo per il loro impegno. In Arabia Saudita ad esempio ci sono state alcune riforme positive grazie alle battaglie portate avanti dalle attiviste locali, tra cui l’abrogazione del sistema della tutela maschile, che prevedeva che le donne non potessero viaggiare e spostarsi senza essere accompagnate da un uomo. Tuttavia, attiviste come Lujain Al-Hathloul e Samar Badawi sono ancora in carcere, punite per aver protestato contro le leggi retrograde che limitano fortemente la libertà delle donne saudite.
«Nelle minacce e negli attacchi contro chi difende i diritti umani, è evidente la dimensione di genere: quando l’attivista è una donna, sono frequenti le minacce di violenza sessuale. Le donne attiviste sono perseguitate e punite per la loro visibilità pubblica con continui attacchi che riguardano la loro sfera privata, la loro intimità e i loro corpi, e il loro ruolo come donne, madri, e mogli viene continuamente messo in discussione», ha dichiarato Meerim Ilyas, vicedirettrice del team di Protezione dei Difensori di Front Line Defenders, durante la presentazione dello studio a Dublino il 14 gennaio.
“Women defenders who are on the front lines are punished for their public work by having their private lives attacked and their role as mothers, wives and partners questioned” - FLD Deputy Head of Protection, Meerim Ilyas pic.twitter.com/4W31CzAZyq
— Front Line Defenders (@FrontLineHRD) January 14, 2020
La dimensione di genere emerge non solo negli attacchi fisici e verbali, ma anche negli attacchi online. In Egitto e in Iraq, gli account di numerosi attivisti LGBTI – che devono operare con un basso profilo per evitare ritorsioni – sono stati hackerati e le loro identità sono state pubblicamente rivelate, mettendo a rischio le loro stesse vite e quelle dei loro contatti.
Nel 2019, gli esperti di sicurezza informatica di Front Line Defenders hanno riscontrato tra le minacce più frequenti gli attacchi ad opera di troll, campagne d’odio sui social media, hackeraggio di account email, e la confisca di laptop e telefoni durante raid o arresti. Un’altra preoccupante tendenza è quella del blocco di internet, con il pretesto di misure anti-terrorismo o di sicurezza nazionale, come verificatosi in Kashmir, in Sri Lanka, in Iran e in Iraq. Questi blocchi hanno reso più difficile l’organizzazione di mobilitazioni, la diffusione di notizie all’esterno, il monitoraggio e la denuncia di abusi, e hanno costretto gli attivisti a comunicare attraverso metodi non sicuri come operatori telefonici gestiti e controllati dai rispettivi governi.
Sono inoltre sempre più sofisticati e diffusi gli attacchi mirati attraverso malware (ndr, un software malevolo utilizzato per arrecare danni o sottrarre dati a un dispositivo). Nel 2019, ad esempio, un gruppo di attivisti tibetani ha ricevuto dei messaggi su Whatsapp da contatti che si presentavano come giornalisti o membri di associazioni per i diritti umani, con dei link che una volta aperti installavano automaticamente dei programmi di spionaggio. Spesso i malware sono venduti da aziende che hanno sede in paesi che affermano di essere in prima linea per la difesa dei diritti umani, ma che non controllano come e per quali scopi vengono utilizzati i prodotti di queste imprese. In uno sviluppo positivo, a settembre un tribunale di Monaco ha aperto un’indagine sull’azienda tedesca FinFisherfor, che stava vendendo software di spionaggio senza licenza ed era finita al centro di uno scandalo, con l’accusa che quel programma fosse stato utilizzato per prendere di mira difensori dei diritti umani e giornalisti in Turchia.
Nel rapporto, che analizza gli attacchi contro gli attivisti a livello globale, compare anche l’Italia, dove nel 2019 si è intensificata la campagna diffamatoria nei confronti dei difensori dei diritti dei migranti e delle ONG impegnate in operazioni di salvataggio in mare. Nonostante l’archiviazione delle indagini, l’impatto della “criminalizzazione della solidarietà” ha ripercussioni gravi e a lungo termine: l’immagine nell’opinione pubblica resterà a lungo danneggiata, le donazioni sono crollate, e gli attivisti per i diritti dei migranti hanno dovuto combattere le campagne diffamatorie sottraendo tempo, risorse ed energie al loro prezioso lavoro.
Il quadro globale è preoccupante: non c’è paese al mondo dove chi difende i diritti umani sia completamente al sicuro e anche diritti che sembravano acquisiti sono a rischio di essere negati e calpestati. L’altro lato della medaglia tuttavia è che mai come ora gli attivisti dei diritti umani stanno creando reti a livello locale e globale, si stanno rafforzando la solidarietà internazionale e i meccanismi di protezione per gli attivisti, e sempre più persone – seppur con mezzi e modalità diverse – scelgono di non restare indifferenti di fronte alle ingiustizie e di lottare attivamente per difendere i diritti umani.
E la perseveranza di attivisti, movimenti e comunità nel 2019 ha portato importanti risultati. Nello Stato di Oaxaca, in Messico, dopo anni di advocacy e proteste dei movimenti femministi l’aborto è stato finalmente legalizzato. In Giordania, grazie alla pressione di diverse organizzazioni della società civile, il Parlamento ha ritirato una proposta di legge sui crimini informatici che avrebbe limitato fortemente la libertà di espressione e il diritto alla privacy. Nel sud del Madagascar, nove attivisti di una comunità che si opponeva alla miniera di Base Toliara furono arrestati sulla base di accuse false lo scorso aprile, ma sono stati in seguito scagionati. Inoltre il governo ha deciso di sospendere il progetto, dando ragione alla popolazione locale e riconoscendo che la miniera non avrebbe portato alcun beneficio. Piccole e grandi vittorie, spesso ottenute grazie a immensi sacrifici, ma che confermano la grande forza dei movimenti pacifici e delle lotte in difesa dei diritti umani.
Immagine via Front Line Defenders
*Team "Campagne e Comunicazione" di Front Line Defenders e autrice (insieme a Ilaria Sesana) del libro "Non chiamatemi eroe" (Altreconomia)