AstraZeneca: cosa è andato storto e l’importanza della farmacosorveglianza
14 min letturaAggiornamento 8 aprile 2021: Secondo le ultime valutazioni dell’agenzia europea del farmaco (EMA) “è possibile un legame tra alcuni casi estremamente rari di trombosi e la somministrazione del vaccino prodotto da AstraZeneca è possibile”. Questi casi, prosegue EMA, “dovrebbero essere elencati come effetti collaterali molto rari di Vaxzevria (ex COVID-19 Vaccine AstraZeneca)”. L’Agenzia ha tuttavia ribadito che i benefici offerti dal vaccinazione sono superiori ai rischi degli effetti collaterali e ha ricordato che il vaccino riduce il rischio di ospedalizzazione e morte a causa della COVID-19.
L’EMA è giunta a queste conclusioni dopo un’analisi approfondita svolta dalla Commissione per la valutazione del rischio dell'Agenzia europea del farmaco (PRAC) su 62 casi di trombosi cerebrale e 24 dell'addome riportati al 22 marzo 2021 nel database sulla sicurezza dei farmaci dell'Ue (EudraVigilance), 18 dei quali fatali. La maggior parte dei casi proviene principalmente dai sistemi di segnalazione spontanea dell'UE e del Regno Unito, nelle cui aree sono state vaccinate circa 25 milioni di persone. La commissione ha precisato di aver preso in considerazione tutte le prove attualmente disponibili, incluso il parere di un gruppo di esperti ad hoc.
“Una spiegazione plausibile” di queste trombosi potrebbe essere una risposta del sistema immunitario che “porta a una condizione simile a quella osservata a volte nei pazienti trattati con eparina, definita trombocitopenia indotta dall'eparina”. Finora, la maggior parte dei casi segnalati si è verificata in donne di età inferiore a 60 anni entro due settimane dalla vaccinazione, tuttavia l’età e il genere non sono chiari fattori di rischio.
Il PRAC ha suggerito alle persone vaccinate di chiedere immediatamente assistenza medica se nei giorni successivi alla vaccinazione compaiono sintomi come fiato corto, dolore al petto, gonfiore alla gamba, dolori addominali persistenti (pancia), sintomi neurologici (inclusi mal di testa grave e persistente o vista offuscata), macchie minuscole di sangue sottocutanee oltre al sito di iniezione. Un trattamento medico tempestivo – sottolinea la commissione – può aiutare le persone colpite nel loro recupero ed evitare complicazioni.
Il PRAC ha chiesto ad AstraZeneca nuovi studi di laboratorio “per cercare di comprendere meglio l'effetto dei vaccini sulla coagulazione, esaminare i dati esistenti di studi clinici ravvicinati per valutare se vi siano ulteriori informazioni sui possibili rischi e condurre anche studi epidemiologici”.
Subito dopo la conferenza stampa dell’EMA si sono riuniti i ministri della Salute dei 27 paesi UE che però non sono riusciti ad adottare una decisione comune. L’Italia ha deciso di seguire la linea di quegli Stati che hanno già imposto delle restrizioni (Germania, Spagna e Belgio hanno deciso l'uso sopra i 60 anni, la Francia sopra i 55), raccomandando l’uso del vaccino per chi ha più di 60 anni sebbene l’agenzia europea del farmaco non avesse ritenuto di sconsigliare le somministrazioni per genere o fasce d'età. Chi ha meno di 60 anni e ha già ricevuto la prima dose del vaccino, senza avere problemi circolatori nelle due settimane successive, potrà ricevere la seconda dose di AstraZeneca nei tempi previsti dopo la prima somministrazione, ha spiegato il presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli.
Intanto, nel Regno Unito, l’agenzia britannica del farmaco (MHRA) ha sconsigliato l’uso di AstraZeneca alle persone al di sotto dei 30 anni.
Fermarsi per qualche giorno o continuare a vaccinare e indagare? La vicenda della sospensione per alcuni giorni della somministrazione del vaccino anti-COVID prodotto da AstraZeneca e dall’Università di Oxford da parte di diversi paesi dell’Unione Europea ha diviso esperti e opinione pubblica tra chi ha visto nello stop in via cautelativa una decisione più politica che consolidata da basi scientifiche che poteva esporre al rischio di un’ulteriore erosione della già vacillante fiducia nel vaccino AstraZeneca e nella campagna vaccinale in generale e chi, invece, si è sentito rassicurato da istituzioni che si sono fermate per cercare di capire cosa stesse succedendo.
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Oltre che per le sue implicazioni sul rapporto tra scienza, decisioni politiche, comunicazione del rischio e media, il caso AstraZeneca evidenzia il ruolo della farmacovigilanza, il processo di valutazione della sicurezza dei vaccini, le cui rigorosità sono alla base della fiducia da riporre nelle campagne di vaccinazioni globali.
Quello a cui abbiamo assistito è l’intenso processo di verifica e controllo della sicurezza dei vaccini nel suo svolgimento.
Il caso AstraZeneca
Ai primi di marzo, alcuni paesi hanno iniziato a nutrire alcuni sospetti su possibili eventi avversi in seguito alla somministrazione del vaccino AstraZeneca e a sospendere in via precauzionale il suo utilizzo. Il primo paese a fermare le vaccinazioni di AstraZeneca è stato l’Austria, il 7 marzo, dopo due eventi avversi (con un decesso) tra le infermiere di una clinica. L’11 marzo è stata la volta della Danimarca, il primo Stato a sospendere la somministrazione su tutto il territorio, dopo la segnalazione di una trombosi rivelatasi fatale, seguita il giorno stesso da Norvegia e Islanda. Il 16 marzo il vaccino era stato sospeso in modo totale o parziale in altri 15 paesi dell’Unione Europea, tra cui l’Italia, nonostante appena due giorni prima l’agenzia italiana del farmaco (AIFA) avesse ufficialmente parlato di “ingiustificato allarme” e di “nessuna causalità” tra i casi di decesso verificatisi dopo la somministrazione del vaccino AstraZeneca”, per quella che – per come è stata comunicata – a molti è parsa una inversione a U che ha contribuito a generare ulteriore confusione.
Come comunicato dalla stessa agenzia italiana del farmaco e poi spiegato in un’intervista dal presidente dall’AIFA, Nicola Magrini, la “decisione è stata assunta in linea con analoghi provvedimenti adottati da altri paese europei” in attesa che l’agenzia europea del farmaco (EMA) valutasse se ci fosse un rapporto di causa-effetto tra somministrazione del vaccino AstraZeneca ed eventi avversi. Va specificato che l’EMA non aveva mai parlato di sospensione nelle diverse comunicazioni sulle sue indagini sui casi segnalati di trombosi in seguito alla vaccinazione. Tuttavia, come specificato dallo stesso Magrini sempre nell’intervista a Repubblica, la sospensione in via precauzionale era stata adottata dopo un confronto “con il ministro della Salute, altri paesi, come Francia e Germania, e una riunione all’EMA”, in attesa che quest’ultima si pronunciasse il 18 marzo.
La decisione di fermarsi in via cautelativa è arrivata dopo le valutazioni fatte dal Paul Ehrlich Institut, l’ente federale responsabile per le vaccinazioni e la biomedicina in Germania. In alcune FAQ l’istituto e il Ministero della Salute tedesco hanno spiegato che la segnalazione di alcuni effetti avversi ha consigliato la sospensione dell’uso del vaccino AstraZeneca. In particolare, sono stati rilevati sette casi di trombosi dei seni venosi cerebrali con difetto della coagulazione del sangue in sei donne e un uomo tra i 20 e i 50 anni.
Per quanto, secondo alcuni studi, l’incidenza di questo tipo di trombosi oscilli tra i 13 e i 20 casi ogni milione di persone all’anno, rilevare 7 eventi su 1,6 milioni di persone vaccinate in poco più di un mese e mezzo è allarmante considerato che, spiega il Paul Ehrlich Institut, in quell’intervallo di tempo ci si sarebbe aspettati normalmente al massimo un caso e gli esperti di malattie del sangue e trombosi consultati non hanno escluso una possibile connessione con il vaccino AstraZeneca. Tutto questo ha suggerito di sospendere l’utilizzo dei vaccini per aspettare le valutazioni dell’EMA al riguardo.
Il 18 marzo l’EMA si è effettivamente pronunciata, dichiarando in una conferenza stampa, che il vaccino AstraZeneca è “sicuro ed efficace”, che “i benefici continuano a superare il rischio di effetti collaterali”, che “il vaccino non è associato a un aumento del rischio complessivo di coaguli di sangue (eventi tromboembolici) in coloro che lo ricevono”, e che “non vi è evidenza di un problema relativo a lotti specifici del vaccino o a particolari siti di produzione”, come pure si era pensato in un primo momento.
Tuttavia, l’agenzia europea del farmaco precisava che non poteva escludere ancora una connessione tra il vaccino e “alcuni casi molto rari di coagulazioni intravascolari disseminate e trombosi dei seni venosi cerebrali”. Su circa 20 milioni di dosi somministrate tra Regno Unito e paesi membri dell’UE, erano stati segnalati 18 casi di trombosi (sette in Germania, tre in Italia e nel Regno Unito, due in Norvegia e in India, uno in Spagna). La maggior parte di questi casi si è verificata in persone al di sotto dei 55 anni, prevalentemente donne. Per quanto sia difficile stimare un tasso base da utilizzare come criterio di comparazione perché uno degli effetti della COVID-19 è la coagulazione del sangue, il numero di casi di questa trombosi in quella fascia d’età è comunque superiore (12) a quelli normalmente aspettati su 20 milioni di persone nel periodo di tempo preso in esame (1,35 in media). “Un nesso causale con il vaccino di questi casi non è dimostrato, ma è possibile e merita ulteriori analisi”, ha concluso l’EMA che ha convocato un incontro con un gruppo di esperti per proseguire le indagini su questi casi di trombosi per lunedì 29 marzo.
L’agenzia europea del farmaco ha, inoltre, precisato che avrebbe aggiunto un'avvertenza sui foglietti illustrativi del vaccino per avvisare pazienti e medici dei potenziali effetti collaterali, estremamente rari, e ha invitato a prestare attenzione e a segnalare l’eventuale comparsa di sintomi come affanno, dolore al petto o allo stomaco, gonfiore o freddo a una gamba, sanguinamento persistente, mal di testa grave o vista offuscata dopo la vaccinazione.
Subito dopo il pronunciamento dell’EMA, la reazione dei paesi europei che avevano sospeso la somministrazione dei vaccini AstraZeneca è stata in ordine sparso. Germania, Spagna, Paesi Bassi, Italia hanno immediatamente ripreso le vaccinazioni. La Francia ha deciso di escludere da questo vaccino le persone al di sotto dei 55 anni, la fascia d’età più colpita. Danimarca, Finlandia e Norvegia (uno dei primi paesi a osservare sintomi anomali: coaguli diffusi in tutti i vasi del corpo, basso numero di piastrine ed emorragie interne) hanno preferito mantenere la sospensione in via cautelativa del vaccino e attingere ad altre fonti “fino a quando non ci saranno più informazioni e non sarà possibile valutare una possibile causalità”. Dopo una settimana di pausa, la Svezia ha deciso di riprendere le somministrazioni di AstraZeneca solo per le persone al di sopra dei 65 anni. Dal 29 marzo anche la Finlandia riprenderà la somministrazione del vaccino per i soli over 65.
Gli aspetti sui quali indagare sono ancora tanti. Non è ancora chiaro come mai l’eccesso di questi casi rari di trombosi non si sia verificato nel Regno Unito, dove le dosi somministrate sono state molte di più che nel resto d’Europa. Come detto, l’EMA ha escluso l’ipotesi dei lotti difettosi e sta investigando su composizione demografica delle persone vaccinate tra UK e UE, sull’eventuale incidenza della COVID-19 (che causa coaguli ed espone a rischio di trombosi anche dopo l’infezione) nel caso in cui le persone vaccinate colpite abbiano contratto la malattia in passato, su potenziali effetti avversi legati all’utilizzo della pillola anticoncezionale, nel caso delle donne, associata al rischio di trombosi.
“Secondo me, l’allarme in Germania è stato dettato non tanto dalla rarità della sede di trombosi, ma dal fatto che la trombosi era paradossalmente associata con l’effetto opposto del sistema della coagulazione del sangue: l’emorragia, determinata da una diminuzione del numero delle piastrine. Questa associazione è tuttora inspiegata ed è un fatto nuovo anche per chi come al Centro Emofilia e Trombosi del Policlinico di Milano ha un’esperienza notevole, sia di trombosi che di emorragie. Al momento, l’ipotesi principale è che la piastrinopenia sia determinata da un meccanismo di autoimmunità associato al vaccino, ma i dati alla base dell’ipotesi sono stati comunicati solo alla stampa e ai media, e non vi è per ora niente di pubblicato con revisione critica”, osserva Pier Mannuccio Mannucci, ematologo di fama internazionale e già direttore scientifico del Policlinico di Milano in un’intervista a Scienza in Rete.
Mannucci fa riferimento agli studi condotti da due gruppi di ricerca separati in Norvegia e Germania che hanno parlato di una possibile reazione autoimmune innescata dal vaccino che potrebbe essere la causa della coagulazione del sangue nel cervello, riporta il Wall Street Journal. I ricercatori tedeschi – che si sono coordinati con colleghi austriaci, irlandesi e della Gran Bretagna – hanno affermato di aver individuato alcuni sintomi combinati (come mal di testa, vertigini o disturbi della vista) che possono essere trattati “in qualsiasi ospedale di medie dimensioni”. In presenza di questi sintomi a quattro giorni dalla vaccinazione, sarebbe sufficiente un esame del sangue per diagnosticare l’eventuale trombosi in atto. “Pochissime persone svilupperanno questa complicazione, ma se succede, ora sappiamo come trattare i pazienti”, hanno spiegato i ricercatori tedeschi, le cui analisi sono state esaminate dalla Society for Thrombosis and Hemostasis Research tedesca. I due studi non sono stati ancora pubblicati né sottoposti a peer-review. Il gruppo di ricerca tedesco ha annunciato di aver presentato i suoi risultati a The Lancet.
Fermarsi in via cautelativa o andare avanti con le vaccinazioni?
La decisione di sospendere le vaccinazioni in presenza di casi rarissimi di effetti avversi ha fatto molto discutere e diviso anche il consesso scientifico e medico: fermarsi o andare avanti con le vaccinazioni?
Un’interpretazione “razionale” dei dati avrebbe dovuto suggerire che non c’erano ragioni per sospendere il vaccino – sostengono alcuni – ma potrebbe essere vero anche il contrario, fermarsi potrebbe essere stata la scelta più opportuna per non far perdere definitivamente la fiducia nelle istituzioni che si occupano della salute delle persone, afferma a Science Stephan Lewandowsky, esperto di comunicazione del rischio presso l'Università di Bristol.
È difficile prevedere gli effetti di questa decisione. Come riportava Antonio Scalari su Valigia Blu, secondo gli autori di uno studio dell'Università danese di Aarhus, se da un lato un approccio di “radicale trasparenza” sui vaccini anti-COVID potrebbe diminuire l'adesione ai vaccini, dall’altro potrebbe aumentare la fiducia nelle istituzioni sanitarie. A testimonianza della complessità della questione.
Continuare a vaccinare non era giustificabile di fronte ai casi osservati dagli esperti del Paul Ehrlich Institut (PEI), spiega il Ministero della Salute tedesco nelle FAQ sul suo sito. Fermarsi era doveroso per far sì che, dopo l’esame dei casi da parte dell’EMA e del PEI, i medici e i cittadini potessero riprendere a vaccinarsi in modo informato sui rischi della vaccinazione. “Se si decide di continuare la vaccinazione nonostante le avvertenze, i medici vaccinatori e gli stessi vaccinati devono essere informati sui possibili effetti collaterali. Lo Stato ha doveri speciali di cura per le vaccinazioni raccomandate”.
L’evento avverso è stato analizzato con competenza ed è stato comunicato con chiarezza magistrale, commenta Eugenio Paci su Scienza in Rete. “I ricercatori chiedevano al governo tedesco di fare uno stop per valutare e poter comunicare il rischio a bocce ferme. L’attenzione al rischio basso manifesta un’attenzione all’individuo, e dimostra che le procedure si preoccupano del consumatore e hanno implicazioni legali. Io ho apprezzato, sentendomi rassicurato da tali misure”.
In altre parole, che un rischio sia basso non significa che non vada capito e analizzato anche per prevedere come comportarsi in futuro. “Quello del Paul Ehrlich è un modello causale che convince perché è il frutto di analisi competenti (cioè non di perizie giudiziarie, ma di una valutazione dei maggiori esperti) e di un sistema di monitoraggio di alto livello della vaccinazione e di analisi di inferenza causale. La risposta necessaria deve essere: 1) Conoscenza causale, che è basata sulla fiducia nella competenza; 2) Assunzione di responsabilità professionale e politica; 3) Una comunicazione che risponda alla domanda: e se toccasse a me, cosa farei?”. Al termine di tutto questo giro – conclude Paci – i cittadini ne avranno guadagnato in consapevolezza e fiducia.
D’altronde lo stop ad AstraZeneca non è la prima sospensione di un vaccino anti-COVID. Né l’unica. A gennaio la California aveva sospeso per alcuni giorni la somministrazione del vaccino di Moderna per possibili reazioni allergiche. La notizia non aveva generato toni allarmistici come questa volta. Nei giorni scorsi Hong Kong e Macao hanno fermato l’utilizzo del vaccino Pfizer in via precauzionale per gli imballaggi difettosi di alcuni lotti.
Nel caso di AstraZeneca quello degli effetti avversi è stato l’ultimo di una serie di episodi che hanno contribuito a indebolire la fiducia nel vaccino sviluppato dall’azienda anglo-svedese e a rafforzare l’idea che si tratti di un prodotto di serie B, tralasciando che è il meno costoso, il più agevole da conservare e utilizzare ed è stato pensato per essere distribuito in tutto il mondo, come sottolineato più volte dal direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) Tedros Adhanom Ghebreyesus.
AstraZeneca ci ha messo del suo in diverse occasioni, fa notare Julia Horowitz in un articolo sul sito della CNN, riguardo l’efficacia dei suoi vaccini, i dosaggi, l’arco di tempo intercorrente tra una dose e l’altra, la protezione sugli over 65 (in un primo momento esclusi in Europa perché i dati su questa fascia d’età nei test clinici non erano sufficienti), i ritardi sulle forniture agli Stati dell’Unione Europea e l’impressione che buona parte delle dosi fosse destinata al Regno Unito che hanno generato più di una crisi diplomatica (come nel caso dei lotti destinati in Australia e bloccati, o le 29 milioni di dosi scoperte nello stabilimento di infialamento di Anagni, in Italia, sulla cui destinazione non c’è chiarezza), i dubbi sull’effettiva capacità da parte dell’azienda di poter garantire la produzione promessa e gli impegni contrattuali presi.
Infine, l’episodio più recente, il caso dei dati sull’efficacia del vaccino nei test clinici svolti in Cile, Perù e Stati Uniti su 32mila partecipanti, contestati da un gruppo di esperti medici incaricati di monitorare lo studio svolto dall’azienda. In un primo momento, AstraZeneca ha comunicato che dai test svolti il vaccino era efficace al 79% e che era pronta a chiedere l’autorizzazione per l’uso di emergenza all’agenzia del farmaco statunitense (FDA). In una comunicazione inusuale, dopo la mezzanotte, il gruppo di esperti aveva scritto una lettera in cui definiva i dati obsoleti, accusando l’azienda di aver scelto di omettere i risultati relativi ad alcuni partecipanti in modo tale da far risultare un esito migliore dei propri test. “È come dire a nostra madre di aver preso A al compito quando in realtà la media finale di tutti i test è una C”, ha scritto in un articolo il Washington Post che ha ricevuto o ha potuto visionare la lettera degli esperti.
Il dottor Anthony Fauci, direttore dell’Istituto nazionale statunitense di allergie e malattie infettive, è dovuto intervenire mostrando preoccupazione e definendo quanto accaduto “una leggerezza” che potrebbe erodere la fiducia in un “ottimo vaccino”.
Il 25 marzo AstraZeneca ha aggiornato i suoi dati rivedendo al 76% l’efficacia del vaccino nella prevenzione dei sintomi della COVID-19.
Tutte queste vicende, però, più che minare devono rafforzare la fiducia nei vaccini perché sono la dimostrazione che i processi di valutazione e di farmacosorveglianza funzionano a dovere e hanno a cuore la sicurezza e la salute dei cittadini, commenta sul New York Times Keren Landman, epidemiologa e giornalista.
“La cosa più importante da sapere sul vaccino anti-COVID di AstraZeneca è che è sicuro e funziona, nonostante i passi falsi che hanno rovinato quasi ogni fase del suo lancio. (...) Se il vaccino AstraZeneca merita la fiducia delle persone dopo mesi di inciampi, è grazie al processo di farmacovigilanza”, spiega Landman.
Prima di lanciare un vaccino, prosegue la giornalista, gli epidemiologi elencano le cose che potrebbero andare storte dopo la vaccinazione, indipendentemente dal fatto che i problemi di salute siano causati dal vaccino o meno. Quindi selezionano gli eventi più probabili, che potrebbero includere problemi associati ad altri vaccini o condizioni causate dalla malattia che il vaccino intende prevenire (come la coagulazione del sangue, che è un sintomo noto dell'infezione da COVID-19).
Man mano che le persone ricevono le vaccinazioni, gli scienziati analizzano ripetutamente i dati sugli eventi avversi in tempo reale, cercando tassi che superano quello che normalmente si aspetterebbero. Tassi di eventi elevati, chiamati “segnali di sicurezza”, spesso portano a revisioni approfondite delle informazioni sui pazienti, i cui risultati vengono condivisi pubblicamente in modo tempestivo.
“Può essere difficile spiegare ai cittadini perché alcuni casi di coaguli di sangue tra le milioni di persone che sono state vaccinate costituivano ‘un segnale di allarme’. Diversi esperti hanno affermato che il tasso di coaguli nei destinatari del vaccino AstraZeneca non è superiore a quanto previsto nella popolazione generale. Ma in questo caso, non è con la popolazione generale che i risultati dovrebbero essere confrontati, ma gruppi di persone, non vaccinate e della stessa fascia d’età. Svolgere queste indagini pubblicamente - e spiegare perché i suoi risultati sono preoccupanti - mostra a tutti i cittadini quanto seriamente gli scienziati prendono in considerazione la loro sicurezza”, conclude Landman.
Immagine in anteprima: governortomwolf, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons