L’Argentina di Milei: un laboratorio dell’estrema destra globale
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Il primo luglio, a Buenos Aires, l’invito a manifestare per difendere i siti dedicati alla memoria della dittatura argentina, dopo la notizia di 700 nuovi licenziamenti tra i lavoratori della Segreteria per i Diritti Umani. Il 2 luglio, di nuovo tutti in piazza per chiedere la liberazione delle cinque persone che sono ancora detenute dalla mobilitazione del 12 giugno contro la “Legge delle basi e dei punti di partenza per la libertà degli argentini”, la cosiddetta Ley Bases. Nel frattempo, i sindacati avvertivano sui social dello smantellamento di tutti i programmi di quello che è stato il Ministero delle donne, dei generi e della diversità, con il licenziamento dell’80% del personale ancora a carico della Segreteria contro la violenza di genere.
Questo è il clima che si respira negli ultimi mesi in Argentina, ogni giorno c’è una nuova emergenza, un pezzo dello Stato sociale collassa, troncato dalla motosega di Javier Milei.
Subito dopo l’insediamento, il suo governo ha presentato due ambiziosi progetti normativi: il Decreto di Necessità e Urgenza 70/2023 e la Ley Bases (anche detta Legge Omnibus, come è stata definita dai media). L’ampia portata delle due iniziative legislative lasciano intuire un lavoro strategico svolto già da ben prima delle elezioni dall’Instituto para el Crecimiento (ICAC), un think tank guidato dall’ex segretario del Lavoro del governo di Mauricio Macri, e che si è dedicato a creare le basi per una riorganizzazione dello Stato in funzione delle regole di mercato.
Il quadro normativo in cui ha agito Milei dall’inizio del suo mandato è dunque il mega Decreto di Necessità e Urgenza, un blocco di oltre 350 articoli che ha cancellato per direttissima, senza passare dal Congresso, centinaia di leggi dello Stato che regolavano gli affitti, la maternità, il regime dei lavoratori autonomi, la gestione degli acquisti e rifornimenti statali, solo per fare degli esempi. Tra le misure che hanno destato più clamore c’è stata la chiusura di diversi ministeri, scesi da 22 a 9, licenziando migliaia di funzionari e raggruppando più funzioni e aree di gestione sulle spalle di meno dipendenti. Con l’ossessione di ridurre la spesa pubblica fino a eliminare il deficit nelle casse dello Stato, Milei ha congelato gli adeguamenti salariali nel pieno del picco dell’inflazione, ha bloccato numerosi programmi sociali e tolto i fondi perfino agli ospedali, a cominciare dai piani di sostegno alle cure per i malati oncologici e di altre patologie gravi.
In parte frenato in tribunale nei suoi aspetti più critici - come la riforma del lavoro che però è rientrata dalla finestra nella Ley Bases -, e infine bocciato dal Senato a metà marzo, il Decreto di Necessità e Urgenza è tuttavia ancora in vigore in attesa che venga definitivamente respinto alla Camera dei Deputati.
La Ley Bases (anche detta legge Omibus) – inizialmente bocciata dalla maggioranza del Congresso lo scorso 6 febbraio, mentre in piazza manifestavano le forze sociali, sindacali e i partiti di opposizione – è stata riproposta al Senato, ridotta di due terzi, ed è infine passata anche alla Camera dei Deputati lo scorso 28 giugno: si tratta della prima legge che il governo di Milei riesce a far approvare in sette mesi di mandato e che dovrebbe inaugurare la “seconda fase” del suo programma politico economico.
Anche se ridimensionata e modificata da numerosi emendamenti, la nuova norma permetterà comunque di privatizzare diverse imprese pubbliche e concede superpoteri al presidente: Milei – che dice apertamente di voler distruggere lo Stato dall’interno - avrà infatti facoltà legislative eccezionali in settori amministrativi, economici, finanziari ed energetici dichiarati in emergenza. L’esecutivo avrà maggiori poteri che gli consentiranno di chiudere organismi pubblici: solo una ventina restano in parte tutelati, mentre altri sono già stati smantellati, come è accaduto con l’agenzia di notizie pubblica Telam, chiusa lo scorso 4 marzo, con 700 licenziamenti in tronco.
Tra le misure approvate all’interno della Ley Bases rientra, come detto, una riforma del pubblico impiego destinata a generare maggiore precarietà, una proposta che era già stata avanzata senza successo in passato dal governo Macri. Infine, il pacchetto fiscale approvato insieme alla Ley Bases prevede una amnistia fiscale per gli evasori.
Ma forse la norma più pericolosa è il Regime di Incentivo ai Grandi Investimenti (RIGI) che garantisce benefici fiscali, doganali e valutari ai mega progetti di investimento oltre i 200 milioni di dollari in settori strategici come energia, estrazione mineraria (incluso il litio), agroindustria e tecnologia, di fatto aprendo le porte a un estrattivismo senza freni, con gravi conseguenze sociali ed enormi rischi ambientali. L’obiettivo è attrarre capitali stranieri per lo sfruttamento delle risorse nazionali, a partire dal sito di Vaca Muerta, nel sud del paese, la seconda maggiore riserva di gas non convenzionale al mondo, e la quarta di petrolio.
Probabilmente anche per il peso della posta in gioco, lo scorso 12 giugno quando la Ley Bases e il pacchetto fiscale venivano discussi al Senato, c’è stato un massiccio dispiegamento delle quattro forze di polizia (locali, nazionali e federali) nelle strade di Buenos Aires e una repressione particolarmente violenta, con tanto di lacrimogeni, idranti, spray irritanti, pallottole di gomma e inseguimenti in moto dei manifestanti per le strade attorno al Congresso. Ci sono stati 200 feriti, le persone arrestate arbitrariamente o con accuse sproporzionate – inizialmente 33 - sono state picchiate, maltrattate e portate da un commissariato all’altro per ore senza poter comunicare con nessuno. Il procuratore Stornelli ha chiesto di rimettere in carcere preventivo 14 delle persone finora liberate, mentre da parte del governo si è parlato di “gruppi terroristi” che avrebbero cercato di “compiere un colpo di Stato”.
Numerose organizzazioni sociali, politiche, studentesche si sono mobilitate per chiedere la fine della persecuzione poliziesca, mediatica e giudiziaria contro i manifestanti con una campagna dal titolo “Lottare non è un delitto”. Gli arresti di giugno sono infatti l’ultimo capitolo di una lunga serie di abusi delle forze di polizia, guidate dalla ministra alla Sicurezza, Patricia Bullrich, che aveva già ricoperto lo stesso incarico durante il governo Macri e che ha fatto della mano dura contro chi protesta il suo slogan durante la campagna elettorale per le presidenziali. In questi mesi, da alleata di Milei, si è accanita in particolare contro le organizzazioni sociali. Già in dicembre, a fronte delle prime misure economiche di emergenza che avrebbero fatto esplodere l’inflazione, aveva confezionato un protocollo anti-picchetti che ha sollevato la preoccupazione delle organizzazioni per i diritti umani come Human Rights Watch, arrivando a dichiarare che il costo delle forze dell’ordine impiegate durante le manifestazioni dovrebbe essere pagato dagli organizzatori, e che i cortei dovrebbero sfilare sui marciapiedi per non impedire la circolazione del traffico.
In realtà, l’ampiezza delle mobilitazioni contro le politiche governative sta impedendo di fatto l’applicazione del protocollo: centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza in dicembre contro la Ley Omnibus, poi nella giornata internazionale della donna l’8 marzo, quindi in difesa della memoria della dittatura il 24 marzo e dell’università pubblica ad aprile con un oceanico corteo di 800 mila persone solo nella capitale, oltre a due scioperi generali a gennaio e a maggio. Anche nelle province c’è malcontento, soprattutto da quando Milei ha chiuso il rubinetto dell’erogazione dei fondi che spettano alle 23 zone del paese federale. In particolare nel nord, nella città di Misiones, la protesta per i salari da parte della polizia e quella sindacale del corpo docente si si sono unite in un’occupazione della principale arteria urbana che è durata quasi due settimane, un primo assaggio del tipo di sollevamento che possono scatenare le politiche di questo governo.
Per arginare le proteste, il governo ha optato per la mano dura con episodi gravi in termini di tenuta delle più basiche regole democratiche. È il caso dello scorso 13 maggio, quando sono state perquisite decine di mense popolari, associazioni e i domicili di dirigenti sociali con un mandato basato su presunte denunce di estorsione subite dai cittadini; le stesse che, dall’inizio dell’anno, hanno visto con preoccupazione interrompersi la consegna degli alimenti che distribuiscono nei quartieri più vulnerabili, sostenendo una vasta rete di aiuti sociali che funziona da anni, sotto tutti i governi. Questa volta, protagonista dello scandalo è stata la responsabile del nuovo Ministero del Capitale Umano, Sandra Pettovello, che ha dovuto infine ammettere di aver tenuto bloccate per 6 mesi 5mila tonnellate di cibo già assegnate dal governo precedente. L’inchiesta che ha scoperchiato il caso dei magazzini stipati di alimenti ha messo in luce anche un meccanismo di corruzione in cui funzionari del governo si arricchivano attraverso l’attribuzione di salari dell’Organización de Estados Iberoamericanos (un’organizzazione di cooperazione che si occupa di educazione, scienza e cultura) a personale inesistente. Tutto questo mentre l’ultima ricerca dell’Observatorio Social de la Universidad Católica Argentina pubblicava dati allarmanti sulla povertà in aumento: a maggio aveva raggiunto il 55,5% della popolazione rispetto al 44,7% di sei mesi fa, mentre l’indigenza è raddoppiata, passando dal 9,6% al 18% nell’ultimo anno.
D’altronde, Milei si vanta di aver fatto i tagli più drastici della storia dell’umanità, equivalenti a cinque punti del PIL in un mese. Nella realtà mediatica che Milei costruisce attraverso i social e le sue dichiarazioni pubbliche, l’economia argentina sarebbe già in ripresa, ma i numeri non gli danno ragione. Non c’è stata nemmeno la reazione che il governo sperava da parte dei mercati dopo l’approvazione della Ley Bases. Il piano di stabilizzazione economica dovrebbe entrare ora in una seconda fase, ha spiegato il ministro dell’economia Luis Caputo in conferenza stampa, in cui lo Stato deve arrivare a pareggiare i conti e non emettere più moneta, con l’obiettivo di ridurre l’inflazione, per poi far ripartire l’economia in una terza fase, non ancora calendarizzata.
Già il 22 aprile scorso Milei si vantava di aver raggiunto l’equilibrio finanziario in soli tre mesi di governo, di aver cioè ridotto la spesa pubblica fino a eliminare il deficit, ma questo risultato non l’ha pagato la casta politica, come prometteva in campagna elettorale, bensì la popolazione lavoratrice e soprattutto i pensionati. La ex presidente Cristina Kirchner ha anche sottolineato che si tratterebbe di un equilibrio finanziario fittizio poiché basato sul fatto che Milei è in debito con le università, con le province, con le opere pubbliche e con l’impresa che gestisce le centrali termiche nazionali.
La fotografia dell’economia reale argentina è insomma decisamente diversa dagli annunci di un Milei convinto che gli daranno il Nobel in Economia: sebbene l’inflazione sia scesa a maggio (4,2%), si attende l’effetto dei rincari di luce e gas nei prossimi mesi, mentre i consumi sono in discesa (meno 7,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso). L’attività economica è in recessione, il PIL è caduto di 5,1 punti rispetto al primo trimestre dell’anno scorso, e solo tra gennaio e marzo hanno perso il lavoro 437 mila persone, una media di quasi 5.000 al giorno. Costruzioni, industria e commercio sono le attività che hanno risentito più fortemente delle misure ultraliberiste di Milei, ma chi ha pagato il prezzo più caro sono i pensionati che hanno perso fino al 37% del loro potere d’acquisto, una quota che corrisponde a circa un terzo dei tagli alla spesa pubblica imposti finora, mentre anche i salari hanno sofferto un duro colpo con una caduta del 17%.
Il quadro attuale della crisi argentina ricorda da vicino le misure shock messe in atto negli anni Novanta da Carlos Menem, di cui Milei è un esplicito ammiratore. La ricetta neoliberista che il presidente argentino sta applicando senza anestesia al suo paese è vecchia come le teorie della Scuola Economica Austriaca a cui fa riferimento, e come l’anarco-capitalismo di Murray Rothbard, nonostante Milei si presenti come un trasgressivo innovatore dalle tinte messianiche che salverà l’Argentina dalla decadenza in cui l’avrebbe trascinata il socialismo negli ultimi cento anni.
Anche in politica estera, Milei segue le orme di Menem proseguendo i rapporto con gli Stati Uniti, dove si è già recato quattro volte, di cui due per corteggiare Elon Musk, mantenendo il sostegno incondizionato a Israele e, inoltre, sta rafforzando le relazioni con le destre internazionali. Di recente è stato ben accolto anche dalla presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, al G7 in Puglia.
Non è nuova, infine, neanche la sua “battaglia culturale”, intrisa di revisionismo storico, guerra al femminismo e rivendicazione di una libertà intesa sostanzialmente come autoregolazione del mercato. La Mont Pelerin Society fondata da Friedrich Hayek dopo la Seconda guerra mondiale per combattere l’espansione del socialismo è l’antecedente illustre di una proliferazione di fondazioni che hanno progressivamente sostituito la capacità di elaborazione ideologica dei partiti e che sono ben ramificate anche in Argentina. Da questi laboratori vengono le linee guida del neoliberismo di cui Milei si è fatto paladino e con cui è arrivato alla presidenza, aiutato dal modo di fare eccentrico e aggressivo alla Trump, dall’uso spregiudicato dei social network per la sua comunicazione politica e dall’immagine da outsider contro la casta, caratteristiche che si ripetono anche tra le figure politiche di estrema destra che ormai da anni stanno guadagnando terreno a livello globale. La risonanza ottenuta dal suo intervento al convegno di Vox in Spagna, lo scorso 18 e 19 maggio, conferma l’appartenenza di Milei al gruppo, anche se al suo progetto manca la componente nazionalista.
L’Argentina oggi sembra piuttosto essere il laboratorio dell’estrema destra globale in cui sperimentare fino a dove si può spingere il limite di sopportazione della società, come in America Latina hanno già fatto le dittature nel secolo scorso.
Immagine in anteprima: frame video La Nacion via YouTube