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La proposta di pace dell’Arabia Saudita in Yemen, il ruolo degli Usa e la diffidenza dei ribelli

26 Marzo 2021 6 min lettura

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La proposta di pace dell’Arabia Saudita in Yemen, il ruolo degli Usa e la diffidenza dei ribelli

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La coalizione guidata dall'Arabia Saudita, che da sei anni è in guerra contro gli Houthi nello Yemen, ha autorizzato l'attracco nel porto yemenita di Hodeidah di quattro navi da rifornimento, dando seguito all'approvazione da parte del governo del paese riconosciuto a livello internazionale.

La decisione è arrivata dopo che gli Houthi hanno dichiarato che una proposta di cessate il fuoco saudita sarebbe stata vagliata qualora il blocco del traffico aereo e navale fosse stato rimosso totalmente.

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Soltanto qualche giorno fa, infatti, il gruppo di ribelli sostenuto dall'Iran, aveva respinto un'offerta lanciata lunedì scorso dall'Arabia Saudita, successiva a una richiesta del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 18 marzo formulata affinché le parti coinvolte collaborino con l'inviato delle Nazioni Unite per trovare una soluzione politica nello Yemen martoriato dal conflitto armato e da una carestia dalle proporzioni sempre più gravi.

Sono oltre 16 milioni le persone senza cibo – più della metà della popolazione yemenita – e più di 2,3 milioni i bambini sotto i cinque anni che potrebbero essere colpiti da grave malnutrizione nel corso di quest'anno, come dichiarato dalle Nazioni Unite all'inizio del mese di marzo.

Non è la prima volta che l'Arabia Saudita propone un cessate il fuoco unilaterale. Lo aveva già fatto il 9 aprile 2020 per cercare di frenare la diffusione della pandemia di COVID-19. Tentativo non andato a buon fine.

Per mano di un portavoce gli Houthi, che controllano gran parte del nord dello Yemen, hanno replicato all'offerta presentata ai media dal principe Faisal bin Farhan Al Saud, ministro degli Esteri del regno, chiedendo la revoca totale del blocco dell'aeroporto della capitale Sana'a e del porto di Hodeidah, uno dei principali scali del paese, entrambi sotto il controllo dei ribelli.

L'annuncio saudita di cessate il fuoco era arrivato mentre aumentavano le pressioni per favorire l'uscita dalla situazione di stallo della guerra in Yemen – definita dalle Nazioni Unite il peggior disastro umanitario provocato dall'uomo – e dopo che il presidente americano Joe Biden aveva comunicato la decisione del governo di bloccare il sostegno militare statunitense all'Arabia Saudita.

Il principe Faisal, come riportato dai media arabi, aveva spiegato che se gli Houthi avessero accettato una tregua sotto il controllo delle Nazioni Unite, l'Arabia Saudita avrebbe consentito la riapertura dell'aeroporto di Sana'a e l'importazione di carburante e cibo attraverso il porto di Hodeidah. L'accordo avrebbe, inoltre, dato il via alla ripresa dei negoziati tra il governo yemenita e gli Houthi.

«Lavoreremo con la comunità internazionale, con i nostri partner e con il governo dello Yemen per spingere verso l'attuazione di questa iniziativa. Faremo tutto il possibile per esercitare la pressione necessaria sugli Houthi affinché accettino, si mettano al tavolo dei negoziati e depongano le armi, perché crediamo che la fine dei combattimenti e la ricerca di una soluzione politica siano l'unica via da seguire», aveva detto Faisad.

«L'iniziativa entrerà in vigore non appena gli Houthi accetteranno», aveva proseguito. «Ora tocca a loro. Noi siamo pronti a partire da oggi. Ci auguriamo di poter raggiungere immediatamente un cessate il fuoco. Gli Houthi devono decidere se mettere al primo posto i loro interessi o quelli dell'Iran», aveva concluso.

L'Iran ha sempre smentito di aver fornito armi agli Houthi, confermando invece il sostegno politico.

Secondo quanto riportato dall'emittente televisiva Al-Masirah, un portavoce degli Houthi, Muhammad Abdussalam, ha dichiarato che il gruppo non accetterà di sedersi a un tavolo per discutere un cessate il fuoco fino a quando l'Arabia Saudita non revocherà totalmente il blocco aereo e navale.

«L'Arabia Saudita deve dichiarare la fine dell'aggressione e revocare completamente il blocco. Presentare proposte che sono in discussione da più di un anno non aggiunge nulla di nuovo», ha detto poco dopo l'annuncio del ministro degli Esteri saudita.

Abdussalam ritiene che l'Arabia Saudita stia cercando di piegare il popolo yemenita con un inasprimento del blocco per mettere pressione e spingere la controparte ad accettare richieste che finora non è stata in grado di soddisfare militarmente e politicamente.

«L'apertura degli aeroporti e dei porti marittimi è un diritto umanitario e non dovrebbe essere utilizzato come strumento di pressione», ha sottolineato Abdussalam.

Le associazioni che difendono i diritti umani hanno a lungo criticato il blocco navale e aereo guidato dai sauditi, sostenendo che ha esacerbato uno dei peggiori disastri umanitari in un paese dove l'80% della popolazione sopravvive grazie agli aiuti provenienti dall'estero.

Sebbene la coalizione accusi gli Houthi di ostacolare la distribuzione degli approvvigionamenti, le Nazioni Unite hanno denunciato che, nonostante fossero fornite di autorizzazione, quattordici petroliere rimangono bloccate da navi da guerra della coalizione al largo del porto di Hodeidah, come riferito da Reuters.

Intanto, grazie all'intermediazione dell'Oman, gli Houthi hanno avviato contatti con gli Stati Uniti.

Dopo aver rifiutato di incontrare l'inviato delle Nazioni Unite nello Yemen, Martin Griffiths, i ribelli hanno scambiato una serie di messaggi con gli Stati Uniti dopo un incontro che si è tenuto il mese scorso tra Muhammad Abdulsalam e l'inviato statunitense in Yemen, Timothy Lenderking, nella capitale dell'Oman, Muscat.

Lenderking avrebbe spinto gli Houthi a fermare l'offensiva lanciata a febbraio nel governatorato di Marib, nel nord-est dello Yemen, incoraggiando il gruppo a impegnarsi attivamente con Riyadh in colloqui per arrivare a un cessate il fuoco.

I ribelli stanno infatti intensificando sia l'azione contro Marib, ultima roccaforte del governo yemenita nel nord del paese strategicamente importante per il petrolio, colpendo anche aree densamente popolate e provocando sfollamenti di massa – come denunciato da Human Rights Watch – sia una campagna di attacchi di droni e missili contro i siti petroliferi del regno. Nello stesso periodo la coalizione guidata dall'Arabia Saudita ha lanciato raid aerei sulla capitale yemenita e sul porto di Salif che si trova a circa 90 chilometri da Hodeidah.

A pagarne il prezzo più alto i soggetti più vulnerabili. Dall'inizio di marzo sono otto i bambini uccisi e 33 quelli feriti a seguito di una serie di offensive lanciate nei governatorati di Taizz e di Hodeidah, come dichiarato dal rappresentante Unicef in Yemen, Philippe Duamelle.

Secondo i dati illustrati in un rapporto di Save the Children, pubblicato martedì scorso, tra il 2018 e il 2020 più di 2.300 bambini sono stati uccisi. Si tratta di numeri che potrebbero essere al di sotto di quelli reali.

Per alcuni analisti, l'Arabia Saudita, aspramente criticata a livello internazionale per i raid aerei che uccidono civili e per gli embarghi che aggravano la carestia, starebbe puntando a riabilitare la propria immagine agli occhi degli Stati Uniti sotto la presidenza Biden.

Intervistato da Al Jazeera, Ibrahim Fraihat, professore associato di Risoluzione dei conflitti presso l'Istituto di Doha, ha detto che l'iniziativa di pace proposta dai sauditi all'inizio di questa settimana differisce dalle precedenti per la forte volontà politica dell'amministrazione Biden che ha dichiarato pubblicamente che la guerra in Yemen deve concludersi.

«C'è un serio intervento da parte degli Stati Uniti», ha aggiunto Fraihat, sottolineando come la proposta saudita possa essere interpretata "come un modo per conformarsi agli sforzi degli Stati Uniti, lanciando la palla nel campo degli Houthi".

Fraihat ha osservato, tuttavia, che sei anni di guerra hanno provocato una forte sfiducia tra gli Houthi e l'Arabia Saudita.

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«Nessuno si fida di nessuno», ha detto. Ed è per questo che a un'iniziativa priva di azioni concrete nessuno è disposto a replicare in modo positivo.

«Riaprire l'aeroporto di Sana'a, sebbene sia un passo importante, non credo sia sufficiente per ristabilire la fiducia tra le parti. Per recuperarla c'è bisogno di qualcosa di più e di una seria assistenza umanitaria, sia all'aeroporto di Sana'a che altrove».

Foto anteprima fahd sadi, sotto licenza CC BY 3.0  via Wikimedia Commons

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