All’inizio di marzo, quando è stata dichiarata la pandemia, l’opinione diffusa era che si trattasse di un’infezione respiratoria con sintomi simili all’influenza. Si pensava che una minoranza degli infetti sviluppasse una polmonite atipica e avesse bisogno di un supporto respiratorio, mentre la maggioranza non andasse oltre una combinazione di tosse, febbre e fiato corto che scompariva nel giro di un paio di settimane. Invece COVID-19 si sta rivelando una malattia molto più complessa con sintomi, spesso duraturi, che possono andare dalle irritazioni alla pelle ai problemi neurologici. Linda Geddes su New Scientist (qui tradotto da Internazionale) descrive le diverse patologie provocate dal nuovo coronavirus attraverso le voci di alcune persone che si sono riprese dalla malattia, di medici ed esperti. «Non si tratta di ipocondria o malattie immaginarie. E per quanto ho potuto verificare, questi sintomi sembrano slegati dalla gravità della malattia», dice Danny Altmann, immunologo dell’Imperial college di Londra. La lunga lista di sintomi lascia pensare che esistano diversi sottotipi della malattia, e saperlo potrebbe aiutare a prevedere quei casi che possono evolvere in forme gravi. Tuttavia, non si tratta di qualcosa di completamente sconosciuto. «Tutto ciò che stiamo registrando è già stato notato negli altri coronavirus», spiega Julian Hiscox, virologo dell’università di Liverpool, studioso dei coronavirus dall’inizio degli anni Novanta, incluso quello che causa la MERS. «Grazie agli studi sugli animali sappiamo che un coronavirus può provocare manifestazioni cliniche diverse. Dall’esperienza con la SARS e la MERS, invece, sappiamo che alcune persone si riprendono, mentre altre continuano a star male». "Circa il 28% delle persone che hanno contratto la SARS continua a presentare un’insufficienza polmonare 18 mesi dopo la scomparsa dei sintomi della malattia, con un peggioramento della qualità della vita e della capacità di svolgere esercizio fisico", si legge nell'articolo. "Una meta-analisi recente suggerisce che nei mesi successivi alla guarigione dalla SARS il 10-20% dei pazienti soffriva di depressione, ansia, insonnia e spossatezza". Secondo Ed Bullmore, neurobiologo dell’università di Cambridge e autore del libro The Inflamed Mind, "i disturbi sono il prodotto della nostra risposta immunitaria all’infezione. Quando le cellule immunitarie incontrano un intruso, rilasciano molecole-segnale chiamate citochine per rafforzare la risposta immunitaria. Alcune di queste molecole finiscono nel cervello e innescano un’ulteriore secrezione di citochine e una conseguente infiammazione". Molte persone, racconta ancora Altmann, sono rimaste sorprese che la malattia si trasformasse in un disturbo cronico. Una volta superata la situazione d'emergenza, bisognerà comprendere meglio alcuni dei sintomi a lungo termine di COVID-19 e le conseguenze dell'infezione. Finora la risposta al nuovo coronavirus si è concentrata sul tentativo di evitare il decesso delle persone infette. Ora gli ospedali stanno cominciando ad allestire strutture per i controlli sui sopravvissuti, compresi quelli che sono ancora affetti da disturbi: «Spero che si riesca a comprendere alcuni dei meccanismi biologici della malattia, in modo da trovare soluzioni terapeutiche adatte», conclude Altmann. [Leggi l'articolo su New Scientist]