L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha aggiornato i criteri da seguire per stabilire se rilasciare o meno le persone che hanno contratto COVID-19. Stando alle nuove raccomandazioni – contenute lo scorso 27 maggio in una guida provvisoria sulla gestione clinica dei pazienti COVID-19 e pubblicate in uno "scientific briefing" specifico il 17 giugno – l'OMS non raccomanda più il doppio tampone negativo per stabilire quando una persona può essere rilasciata dall'isolamento ma è sufficiente calcolare un determinato numero di giorni senza sintomi (tre) da aggiungere a quelli trascorsi da quando si è manifestata la malattia. I pazienti sintomatici saranno da ritenere guariti 10 giorni dopo l’insorgenza dei sintomi, più almeno 3 giorni senza sintomi (incluso senza febbre e senza sintomi respiratori); i pazienti asintomatici, 10 giorni dopo il tampone positivo. Per cui, ad esempio, se un paziente ha avuto sintomi per due giorni, potrebbe uscire dall’isolamento dopo 13 giorni (10 giorni + 3) dalla data di insorgenza dei sintomi; un paziente con sintomi per 14 giorni, potrebbe essere rilasciato dall’isolamento dopo 17 giorni dall’insorgenza dei sintomi (14 giorni + 3 giorni); un paziente con sintomi per 30 giorni, dopo 33 giorni dopo l’insorgenza dei sintomi (30 + 3). Le nuove raccomandazioni, spiega l'OMS, si basano sulle nuove evidenze proveniente da più ricerche scientifiche che dimostrano che "il virus attivo, in grado di replicarsi e di infettare, non risulta presente, se non eccezionalmente, nei campioni respiratori del paziente dopo 9 giorni dall’insorgenza dei sintomi, e in particolare nei casi di infezione lieve, contestualmente alla formazione di anticorpi neutralizzanti. Sebbene l'RNA virale possa essere rilevato dai tamponi naso-faringei dopo la fine dei sintomi, la quantità di RNA virale rilevata è sostanzialmente ridotta nel tempo e generalmente al di sotto della soglia in cui è possibile isolare il virus competente per la replicazione. Pertanto, la combinazione del tempo dopo l'insorgenza dei sintomi e l'eliminazione dei sintomi sembra essere un approccio generalmente sicuro basato sui dati attuali". Appare quindi sicuro liberare il paziente dall’isolamento sulla base di criteri clinici, piuttosto che sulla ripetizione dell’esame del tampone, che può continuare a rilevare tracce non vitali di RNA (non pericoloso) per molte settimane. Inoltre lunghi periodi di isolamento per soggetti senza sintomi incidono sul benessere individuale, sulla società e sull’accesso alle cure sanitarie. I singoli paesi, prosegue l'OMS, possono scegliere di continuare a utilizzare i test per stabilire se far uscire o meno i pazienti dall'isolamento. Quella raccomandazione, stata diffusa all'inizio dell'epidemia, a gennaio, quando ancora poco si sapeva del funzionamento di SARS-CoV-2, si basava su le esperienze con coronavirus simili, come SARS e MERS. Se recepite, le nuove linee guida dell’OMS aiuterebbero a ridurre i tempi di isolamento per molte persone che non comportano rischi per se stessi e gli altri , spiega l'epidemiologo Luigi Lopalco. In questo modo si potrebbero aumentare le risorse per i nuovi tamponi, quelli destinati ai sintomatici. Anche in termini economici ci sarebbe un bel risparmio perché una fetta importante di questi test viene eseguita per certificare "l’uscita dal Covid": «Il tema dell’isolamento di persone che magari si sono ammalate 1-2 mesi fa e non si sono ancora negativizzate è molto importante. Sono moltissime le persone prigioniere in casa per settimane che non manifestano sintomi e capitano anche casi di tamponi positivi dopo due tamponi negativi. Questi esami li stiamo inviando a laboratori specializzati per capire se si tratta di un residuo di Rna non vitale o se il virus cresce in coltura e quindi potrebbe essere ancora contagioso. I Cdc americani hanno recepito le nuove linee guida dell’OMS, vediamo che cosa deciderà l’Italia». [Leggi l'articolo sul Corriere della Sera]