Non solo bambini. Un’inchiesta giornalistica svela le deportazioni di anziani disabili ucraini in Russia
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Il presidente russo Putin è stato accusato di crimini di guerra per la deportazione illegale e gli abusi sui bambini. Ma poco si sa dei tanti anziani disabili ucraini portati in Russia quando le forze di Vladimir Putin hanno occupato le loro città nelle prime fasi dell'invasione. Una nuova inchiesta giornalistica di The Telegraph, dopo quella che ha documentato il trasferimento forzato di bambini ucraini in Bielorussia, ha raccolto le testimonianze di alcuni anziani disabili ucraini (e dei loro parenti che li hanno tratti in salvo) deportati in Russia, privati della loro cittadinanza, costretti a donare il sangue e lasciati in agonia a causa di procedure mediche errate. Alcune delle loro famiglie hanno impiegato mesi per riuscire a trovarli e per cercare di riportarli a casa, in Ucraina. Coloro che sono riusciti a tornare in Ucraina hanno raccontato di essere stati “trattati con disprezzo” e maltrattati e di non aver trovato “quasi nulla di umano in loro”.
Come Oleg Andreev, 65 anni, paralizzato, portato via dagli invasori russi che avevano occupato il suo villaggio nell'Ucraina orientale. Andreev si trovava accanto al corpo di sua madre, rimasta uccisa, nella sua abitazione, in uno degli edifici distrutti dai pesanti bombardamenti russi. Andreev ha raccontato di essere stato portato in una struttura di assistenza a Makiivka, nella Donetsk occupata, senza poter far sapere a sua figlia che era ancora vivo. La sua sedia a rotelle è stata presa da un soldato russo e utilizzata per un compagno ferito. In una tasca c’erano tutti i suoi documenti, incluso il passaporto.
“Hanno lasciato una persona paralizzata senza alcun documento di riconoscimento”, ha detto sua figlia, Janin Andreeva, a The Telegraph.
Nella struttura in cui era assistito Andreev è stato insultato dal personale, costretto a rasarsi la testa e radersi il viso senza il suo permesso, umiliato da un’infermiera che lo derideva quando aveva bisogno di aiuto per lavarsi, privato del 70% della sua pensione da parte del personale. Un medico ha deciso di operare le sue dita dei piedi, gravemente congelate dopo essere rimasto in una delle trombe delle scale durante il bombardamento, con una temperatura di -10°C, solo quando il dolore era diventato insopportabile. A causa delle procedure sbagliate le sue ossa sono rimaste scoperte e non gli è stato somministrato alcun antidolorifico. L’unico trattamento ricevuto è stato lo zelyonka, un antisettico dell’era sovietica, ormai in disuso, sia per la sua sostanziale inefficacia rispetto ad altri farmaci, sia per gli effetti collaterali sulla pelle.
Alla fine, il signor Andreev è riuscito a tornare da sua figlia grazie all’intervento dell’associazione di beneficenza Helping to Leave, che aiuta le famiglie i cui parenti sono bloccati senza soldi o cure adeguate nelle zone dell'Ucraina controllate dai russi.
Ad allertare Helping to Leave, la scorsa estate, è stato il caso di un’anziana donna di Hrakove, allora occupata, nella regione di Kharkiv, che non aveva ricevuto cure adeguate per curare una grave cancrena. Quando sono arrivati i soccorsi, la signora aveva le allucinazioni. È morta dopo che i soldati russi hanno rifiutato che un autista dell’associazione la trasportasse in ospedale.
È stato come aprire un vaso di pandora. Helping to Leave ha scoperto casi di tanti anziani e disabili che non ricevevano cure o che, privati dei passaporti, erano stati portati via. Ci sono volute settimane per liberare un gruppo di cinque uomini disabili, di età compresa tra i 20 e i 35 anni, e riportarli in Ucraina perché i loro passaporti erano stati eliminati quando erano stati mandati a Voronezh da Kakhovka. Bogdan ha raccontato che il suo passaporto è stato preso con la scusa di “essere tradotto” in russo, nonostante fosse già scritto sia in ucraino che in russo, per poi scoprire che gli era stata assegnata la cittadinanza russa senza il suo consenso.
Una donna di 75 anni, poi tornata in Ucraina, ha raccontato di essere stata portata via dalla sua abitazione, subito dopo l’invasione russa, da “cinque uomini armati con bracciali bianchi”, di essere stata caricata su un'auto senza che le fosse detto dove la stavano portando, e di essere messa spalle al muro: prendere la cittadinanza russa e andare in una struttura residenziale, oppure rimanere in una stazione ferroviaria vicina. Di fronte alle sue resistenze, la donna ha raccontato di essere stata minacciata di “essere mandata in un ospedale psichiatrico”.
Alla fine Andreev è riuscito ad arrivare a Kiev e a ricongiungersi con la figlia.
È scoppiato in lacrime raccontando la sua esperienza.
“È pietrificante”, ha detto il signor Andreev a The Telegraph ripercorrendo la sua esperienza. ha detto. “Mi sono sempre chiesto perché mia nonna, ogni volta che festeggiavamo, faceva un brindisi: ‘Che non ci sia la guerra’. Ora lo so”.
Immagine in anteprima: Helping to Leave via The Telegraph