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La causa antitrust contro Facebook e il futuro dei social network

4 Novembre 2021 18 min lettura

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La causa antitrust contro Facebook e il futuro dei social network

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FTC vs Facebook

A ottobre 2020 negli USA, a seguito di un’indagine durata 16 mesi, la sottocommissione antitrust della Camera pubblica un rapporto sullo stato della concorrenza nel settore online, nel quale si accusa il monopolio delle grandi aziende tecnologiche: Apple, Amazon, Facebook e Google. Secondo il rapporto queste avrebbero iniziato come startup perdenti (scrappy underdog) per poi assumere un dominio sul loro settore anche grazie a pratiche anticoncorrenziali, finendo per diventate i guardiani del commercio e delle comunicazioni nell’era digitale.

Il rapporto, scritto dai democratici ma non approvato dai repubblicani – i quali sostengono invece che i Big Tech hanno dei pregiudizi contro di loro e li sfavoriscono cancellando contenuti per i conservatori (in realtà basta seguire Facebook’s Top 10 per vedere che spesso sono i commentatori conservatori a essere ai primi posti) –, giunge alla conclusione che l’attuale legislazione dovrebbe essere rivista, cercando di imporre separazioni strutturali alle aziende dominanti. Ad esempio, si potrebbe impedire ad Amazon di vendere i propri prodotti nel proprio marketplace, in diretta concorrenza con i venditori che dipendono dalla piattaforma per raggiungere i clienti. A Google potrebbe essere vietato l'utilizzo dei dati che il sistema operativo Android raccoglie sugli utenti. A Facebook potrebbe essere impedito di acquisire un altro concorrente, dopo le preoccupazioni su quanto accaduto con l'acquisizione di Instagram e WhatsApp.

Sulla scorta del rapporto, a dicembre 2020 la Federal Trade Commission americana, con un voto di 3 a 2, intenta una causa contro Facebook sostenendo che mantiene un monopolio sul mercato dei social network mediante una condotta anticoncorrenziale che perdura da circa un decennio. L'indagine ha visto la collaborazione dei procuratori generali di 46 Stati che hanno intentato una causa separata. Secondo l’accusa, Facebook avrebbe intrapreso una strategia sistematica per impedire il sorgere di concorrenti, in particolare attraverso l’acquisizione del rivale emergente Instagram, nel 2012, e della app di messaggistica Whatsapp nel 2014, ma anche tramite l’imposizione di condizioni onerose agli sviluppatori di software per eliminare minacce al suo monopolio.

Nella denuncia si descrive, ad esempio, come Instagram fosse considerato un social network vivace e innovativo, quindi una minaccia all’esistenza di Facebook, e dopo una prima fase nella quale Facebook ha cercato di competere con esso alla fine ha preferito acquisire Instagram per 1 miliardo. Stesso discorso sostanzialmente per Whatsapp, acquisita per 19 miliardi, che era una minaccia anche perché l’aggiunta di funzionalità social avrebbe posto l’app di messaggistica in diretta concorrenza con Facebook.

Si descrive, inoltre, come Facebook avrebbe reso disponibili le API di connessione solo alle terze parti che si astenevano dallo sviluppare funzionalità concorrenti e promuovere altri social network. Ad esempio, Facebook avrebbe interrotto l’accesso alle API alla app Vine di Twitter che consentiva la pubblicazione di brevi video. Emerge un comportamento predatorio da parte di Facebook, preoccupata principalmente di mantenere la sua posizione di dominio, per cui l’azienda avrebbe assunto una strategia “buy or bury” (acquista o seppellisci) nei confronti dei concorrenti o potenziali tali. L’intento è di dare un messaggio chiaro all’intero settore: non calpestare il territorio di Facebook.

Secondo la FTC la condotta portata avanti da Facebook per anni danneggia la concorrenza, priva i consumatori di scelte e gli inserzionisti dei vantaggi della concorrenza. La richiesta della FTC ai giudici è, quindi, di imporre la cessione di Instagram e Whatsapp e di vietare condizioni anticoncorrenziali per gli sviluppatori di software.

La difesa di Facebook

Facebook risponde sul suo blog con le parole della vicepresidente e consigliere generale, Jennifer Newstead, che ricorda come le acquisizioni di Instagram e Whatsapp erano state approvate dai regolatori federali, come previsto dalle leggi vigenti, e che adesso, senza alcun riguardo delle norme, vorrebbero disfare. Seguendo tale tesi nessuna vendita sarebbe mai definitiva e questo porrebbe seri dubbi allo Stato di diritto e all’innovazione: “Non è così che dovrebbero funzionare le leggi antitrust”. Inoltre, sostiene che comunque Facebook si trova in un mercato con una feroce competizione, dovendo combattere con aziende del calibro di “Apple, Google, Twitter, Snap, Amazon, TikTok e Microsoft”.

Secondo Newstead l’errore alla base dell’accusa della FTC è di non considerare che Instagram all’epoca dell’acquisizione non era l’azienda fiorente che è oggi, così come divenuta grazie agli investimenti di Facebook, ma un’azienda senza una propria infrastruttura, con 13 dipendenti, il 2% degli utenti e nessun reddito. Stesso discorso per WhatsApp, acquisito, migliorato e reso gratuito in tutto il mondo da Facebook, aggiungendo nuove preziose funzionalità come le chiamate vocali e video e rendendolo più sicuro con la crittografia end-to-end: “Quando abbiamo acquisito Instagram e WhatsApp, credevamo che queste società sarebbero state un grande vantaggio per i nostri utenti di Facebook e che avremmo potuto aiutarle a trasformarsi in qualcosa di ancora migliore. E l'abbiamo fatto”. Tutto ciò ha reso enormi benefici ai consumatori, ad esempio un'alternativa gratuita agli SMS a pagamento.

In realtà la FTC ha tutto il diritto di rivedere le transazioni di Facebook. Nel 2012 il monopolio di Facebook non era chiaro e si vedeva Google+ come un concorrente. Oggi sappiamo che Google+ non era rilevante e che il monopolio di Facebook è consolidato. Oltre a ciò sono venute fuori nuove prove, email, testimonianze del comportamento anticoncorrenziale di Facebook.

In particolare, quando gli utenti si sono iscritti per la prima volta a Facebook gli è stato promesso un certo livello di privacy, ma questo è diminuito man mano che la posizione dominante di Facebook si consolidava, una volta soppresse le aziende concorrenti o potenziali concorrenti. Facebook ha abbandonato la promessa di ottenere il consenso prima di raccogliere i dettagli di pagamento e di rendere anonimi i dati degli utenti condivisi con gli inserzionisti. Con Whatsapp Facebook dichiarò che non avrebbe unificato i dati con quelli di Facebook, ma anche qui è venuta meno alla sua promessa. Quindi la FTC ha tutto il diritto di rivedere gli accordi.

Ovviamente il caso non è semplice perché, in base alle leggi vigenti, la FTC dovrà dimostrare cosa è cambiato dalla data delle acquisizioni, sarà vista come un’agenzia che ha fatto previsioni sbagliate o non ha capito il quadro del problema. E dovrà anche dimostrare che le comunicazioni interne che porta in giudizio non le aveva già all’epoca delle acquisizioni.

“A Facebook mancava il senso degli affari...”

Il 28 giugno 2021 la Corte distrettuale della Columbia respinge le denunce della FTC. Il giudice Boasberg ritiene che l’accusa non sia riuscita a dimostrare che Facebook ha un monopolio sui social network, i quali sono gratuiti e possono includere una varietà di servizi a seconda dell’azienda. In un contesto del genere l’affermazione della FTC che Facebook avrebbe una quota di mercato di “più del 60%” risulta vaga e non supportata. Inoltre, sostiene il Giudice, sarebbe passato troppo tempo dalle acquisizioni contestate. Tuttavia concede alla FTC del tempo per ripresentare le denunce.

La FTC insiste con una integrazione di denuncia, basata sostanzialmente sugli stessi argomenti, ma aggiungendo nuove prove a sostegno della sua tesi. Secondo la FTC, nel 2010 Facebook si sarebbe trovata in crisi, incapace di adattarsi alla transizione agli smartphone e tablet, e quindi temeva di essere eclissata da un altro social che emergesse nel mercato mobile. Dopo aver subito una serie di fallimenti significativi, incapaci di mantenere monopolio e profitti pubblicitari, Facebook avrebbe deciso di affrontare la minaccia esistenziale acquisendo i concorrenti che, a differenza di Facebook, erano riusciti a farsi una posizione nel mercato mobile.

Secondo Holly Vedova, direttrice dell’FTC Bureau of Competition Acting, “a Facebook mancava il senso degli affari e il talento tecnico per sopravvivere alla transizione al mobile. Dopo aver fallito nel competere con i nuovi innovatori, Facebook li ha acquistati o seppelliti illegalmente quando la loro popolarità è diventata una minaccia esistenziale”. Facebook in sostanza non sarebbe riuscita da sola ad apportare innovazioni significative alla sua app mobile, preferendo comprare i concorrenti.

La FTC descrive come Facebook avesse prima attirato gli sviluppatori sulla sua piattaforma grazie a politiche di accesso ai dati, per poi imporre nuove limitazioni all’interoperabilità e restrizioni sui dati. Poi insiste sulla quota dominante di Facebook, citando dati ComScore (società di ricerca che tiene un monitoraggio costante di tutti i flussi dati che appaiono in internet per studiare il comportamento della "Rete") che mostrano che dal 2012 il social network ha superato l’80% e la quota di utenti mensili è stata superiore al 65%. Secondo la FTC il potere di mercato di Facebook sarebbe provato anche dal fatto che ne è uscita senza significative perdite di utenti o consenso dalle varie crisi (ad esempio Cambridge Analytica).

Leggi anche >> Guida al caso Facebook-Cambridge Analytica: gli errori del social, la reale efficacia dell’uso dei dati e il vero scandalo

Poche ore dopo Facebook risponde con un thread su Twitter. E, nella memoria difensiva presentata al tribunale, sostiene che la FTC non ha portato alcun elemento nuovo che possa modificare i fatti e quindi supportare le accuse già dismesse dal giudice distrettuale. La decisione si attende per novembre.

Il mercato dei social network

Le cause intentate contro Facebook si concentrano sulla posizione dominante di Facebook (quella dell’FTC) e sulla pratiche anticoncorrenziali (quella degli Stati). In particolare, la seconda ha articolato una teoria convincente sul danno: le politiche di Facebook sono peggiorate col tempo, più diminuiva la concorrenza più peggioravano le scelte e le impostazioni per gli utenti.

Il fulcro delle cause antitrust americane (e non solo) sta nel provare il danno per i consumatori. Aziende come Facebook e Google finora sono sfuggite alle norme antitrust perché offrono servizi gratuiti, quindi non ci sarebbe alcun danno per i consumatori. Ma, come sostenuto dai procuratori generali, il danno oggi risiederebbe nella progressiva perdita di scelte e nel peggioramento dell’esperienza utente (riduzione della privacy, ecc...). Dopo una prima fase nella quale si fanno delle promesse attirando gli utenti, quando la concorrenza viene progressivamente eliminata, anche le promesse vengono meno. E se non c’è concorrenza gli utenti non possono andare da un’altra parte, non possono davvero scegliere.

Nel 2015 Facebook copia le funzionalità video dell’app Periscope di Twitter. Quando il video di gruppo dal vivo ha successo con Houseparty, Facebook copia anche quello, e Houseparty poi è costretta a vendere a Epic Games. Nel 2016 Instagram copia le “Stories” da Snapchat. Sono tutte operazioni commerciali che di per sé non costituiscono condotta anticoncorrenziale, anzi. Però finiscono per essere una sorta di messaggio che Facebook invia al mercato avvertendogli gli imprenditori che qualsiasi cosa minacci la sua esistenza sarà in qualche modo bloccata: buy or bury, appunto. In questo modo si scoraggiano gli investimenti concorrenti. Ed è questa la tesi di base della causa antitrust della FTC.

A differenza di quanto sostiene Facebook (in un documento finanziato da Facebook, tesi poi però ripetuta dal New York Times) non è vero che il governo in una causa antitrust ha l’obbligo di dimostrare che Instagram o Whatsapp sarebbero divenuti concorrenti significativi in assenza della fusione con Facebook, quello che importa è verificare se l’esclusione delle minacce nascenti configura una condotta in grado di contribuire in modo significativo al potere monopolistico di un’azienda.

Ma ottenere il risultato non sarà facile. Sostenere che Facebook ha una posizione di monopolio è complicato, nella causa manca un quadro complessivo della realtà odierna nella sua dinamicità, e il mercato di riferimento come tratteggiato dalla FTC appare definito ad arte per la causa. E qui torna alla mente il famoso caso Microsoft, azienda sanzionata alla fine degli anni ‘90 per abuso di posizione dominante, e alla quale fu imposto di non associare in forma esclusiva il suo browser al sistema operativo Windows, consentendo così maggiori scelte agli utenti. Poi, però, qualche anno dopo arrivarono gli smartphone e il mercato di riferimento si è più che raddoppiato relegando quasi all’oblio il browser Microsoft, della quale azienda oggi non preoccupa più il potere sul mercato dei PC.

Oggi, infatti, il maggiore concorrente di Facebook nel mercato dei social media è probabilmente TikTok. Lanciato negli USA con la fusione con Musical.ly, TikTok è per molti l’app di video brevi più divertente in circolazione. È una delle poche app che è riuscita a sopravvivere alle differenze culturali tra oriente e occidente, e ha costretto le grandi aziende statunitensi a rincorrere e ricopiare le sue funzionalità. Infatti, quando l’India ha vietato TikTok per motivi di sicurezza nazionale, un post interno a Facebook rivelava che gli utenti giornalieri di Instagram erano aumentati del 9% e avevano trascorso il 19% del tempo in più nell’app.

Scrive Eugene Wei: “La gente farà causa a Instagram copiando la funzione Storie di Snapchat fino alla fine dei tempi, ma il fatto è che il formato non sarebbe mai stato un fossato difendibile. L'effimero è una nuova dimensione intelligente su cui variare i social media, ma è facilmente copiabile. Questo è il motivo per cui gli effetti di rete della creatività di TikTok sono importanti. Per clonare TikTok, non puoi semplicemente copiare una singola funzionalità. È tutto questo, e non solo le funzionalità, ma anche il modo in cui gli utenti le distribuiscono e il modo in cui i video risultanti interagiscono tra loro sul feed FYP. Sta replicando tutti i cicli di feedback integrati nell'ecosistema di TikTok, che sono tutti interconnessi. Forse puoi copiare alcuni atomi, ma la magia vive a livello molecolare”.

Il governo sostiene che app come TikTok non sono rilevanti per il mercato di riferimento: “Il social network personale è distinto e non ragionevolmente intercambiabile con servizi incentrati sul consumo di video o audio online come YouTube, Spotify, Netflix e Hulu”, scrive, sebbene TikTok stesso non venga mai menzionata. Forse per mantenere il mercato ristretto ad uso e consumo di una prova della posizione dominante di Facebook, o forse perché la differenza culturale tra Cina e Usa mai in passato ha permesso il successo ad app di culture diverse.

Il problema principale, sostiene Eugene Wei, è che la prima generazione dei social network si è dimostrata impreparata e mal equipaggiata ad affrontare le differenze culturali (Facebook nasce all'interno del campus universitario di Harvard, e quindi in un ambiente piuttosto ristretto). Molte delle problematiche che oggi additiamo, a torto o a ragione (come la disinformazione), ai social network, dipendono proprio da differenze culturali. Facebook funziona meglio con gli americani perché i suoi moderatori ne comprendono la cultura, gli usi e i costumi, peggio con le altre culture, anche considerando che spesso non ci sono moderatori (o non sono sufficienti) che siano della lingua specifica di quel paese (pensiamo all’Africa). L’algoritmo di TikTok, a differenza degli altri social, personalizzando i feed di tutti ha contribuito a mantenere separate le sottoculture distinte con i loro diversi gusti. Ciò ha consentito la presenza di moltissime sottoculture in TikTok che ne ha alimentato l’appetibilità e quindi il successo.

TikTok fa paura a Facebook, al punto che l’azienda ha provato a schierare un concorrente chiamato Reels all’interno di Instagram. Al momento Facebook sta lottando ferocemente all’interno di un mercato di riferimento non proprio coincidente con quelle tratteggiato dalla FTC per mantenere la sua posizione e in particolare per non perdere la prossima generazione di utenti. Clubhouse ha raggiunto oltre 10 milioni di download. È una app solo audio, ma celebrità come Elon Musk e lo stesso Zuckerberg hanno fatto apparizioni su Clubhouse conferendole uno status culturale in breve tempo. La rapida ascesa di Clubhouse ha preoccupato Facebook al punto di studiare un clone (Twitter ne ha già uno: Spaces). Mai come oggi Facebook ha una competizione così ampia e varia nell’ecosistema digitale.

Cosa è un social network?

L’errore che si fa nello stabilire un “mercato di riferimento” per i social è dato dalla difficoltà di comprensione di cosa sia un social. Facebook, e in misura minore Twitter, basano il loro funzionamento sul grafo sociale, cioè la rete dei contatti, che in Facebook è bidirezionale (chiedi l’amicizia, ottieni l’amicizia). Gli ingegneri hanno passato ore a costruire sistemi di incentivo per l’ampliamento del grafo sociale: segui questo, vuoi seguire quello, vuoi caricare tutti i tuoi contatti, quali argomenti ti interessano, ti piace il calcio, ecc... E tutto per realizzare un minimo di grafo sociale valido per gli algoritmi di corrispondenza.

Twitter è già un po’ oltre, ma è con TikTok che il concetto viene ribaltato, saltando il grafo sociale per passare direttamente al grafo degli interessi (Instagram è un ibrido tra grafo sociale e di interessi, probabilmente per questo è preferito dai giovani). La differenze è enorme, perché generalmente apprezzi solo alcuni aspetti di una persona, non tutti, ma hai degli interessi in comune. L’effetto negativo del grafo sociale è che amplifica le nostre relazioni sociali senza possibilità di distinguere tra lavoro e divertimento iniettando un aspetto sociale anche nella parte delle nostre vite dove non c’è, mischiando irrimediabilmente anche quelle parti delle nostre vite che vorremmo tenere separate (quante volte vi è capitato che l’algoritmo vi suggerisse di seguire proprio il politico che non sopportate o non votate?). Il risultato di un ambiente così costruito è che i troll sono gli unici che ne beneficiano, costringendo chi ha interessi in comune a rifugiarsi in ambienti protetti (podcast, newsletter).

TikTok, invece, da un lato fornisce ottimi strumenti di creazione video, dall’altro un flusso di intrattenimento che diventa col tempo sempre più personalizzato (il feed degli altri social è realizzato in verticale, quindi hai molti contenuti e l’algoritmo in realtà non è in grado di capire se ti piacciono o meno se non utilizzi espressamente i pulsanti di feedback, quello di TikTok si incentra su un contenuto alla volta, c’è più “attrito” ma il segnale di feedback -piace, non piace- è facile da leggere). In tal modo non si imbatte negli effetti di rete negativi semplicemente perché non ha un grafo sociale, il suo è un puro grafo di interessi derivanti dai contenuti video, e l’algoritmo lo assembla senza alcun onere per l’utente. Un algoritmo di raccomandazione (l’algoritmo FYP è particolarmente efficiente nell'abbinare i video con coloro che li troveranno divertenti e, cosa altrettanto importante, nel sopprimere la distribuzione di video a coloro che non li troveranno divertenti) tra i più sofisticati (del resto dietro c’è la cinese ByteDance), definito come percettivo e in grado di funzionare senza un grafo di follower esplicito. Quindi, TikTok è un social network o solo una app di consumo di video?

Vogliamo davvero una soluzione giusta?

Il risultato delle cause antitrust potrebbe essere quello di costringere Facebook a separare parti della sua attività o affrontare delle restrizioni. Dopo anni di laissez-faire nei confronti dei giganti tecnologici, i regolatori hanno cominciato a preoccuparsi per l’influenza che tali aziende hanno sulla società (elezioni, pandemia, ecc...) e le conseguenze della loro posizione dominante (minore privacy, minori scelte...). Le attuali leggi antitrust, scritte per uomini chiamati Rockefeller e Carnegie, oggi devono affrontare sfide completamente diverse, devono essere aggiornate all’era digitale.

La posizione dominante di Facebook è protetta da barriere all'ingresso del mercato, gli utenti di un social network creano connessioni e sviluppano esperienze condivise che non possono trasferire facilmente a un altro social network. Per cui diventa impossibile sviluppare un concorrente valido per un social network consolidato in cui gli utenti hanno già realizzato reti di connessione. Ecco perché tra gli esperti l’idea più gettonata è di imporre un certo livello di interoperabilità, ad esempio consentire agli utenti di esportare elenchi di contatti e altri dati sulle piattaforme rivali. In questo modo sarebbe più facile lasciare Facebook se gli utenti non sono contenti di come sta gestendo le cose.

Leggi anche >> Perché “spezzare” i colossi tecnologici non è la soluzione

Ma imporre una maggiore condivisione di dati con gli sviluppatori di terze parti solleva reali problemi di privacy. Facebook, infatti, proprio per l’eccesso di condivisione dei dati è stata sanzionata con una multa di 5 miliardi dalla FTC. Ed è la stessa FTC che ora afferma che imporre restrizioni al flusso di dati degli utenti da Facebook a sviluppatori di terze parti è anticoncorrenziale e illegale. In fondo Cambridge Analytica è proprio quello, un eccesso di condivisione di dati.

Allora, quale è soluzione giusta? Prima di scegliere una soluzione è indispensabile analizzare e comprendere a fondo il problema che si vuole affrontare. Specialmente sui media editoriali, che in realtà sono in concorrenza con Facebook e Google per la pubblicità online e quindi sono interessati ad attaccare i Big Tech e strumentalizzare qualsiasi informazione, si fa spesso strada l’idea di imporre una sorta di responsabilità editoriale alle aziende tecnologiche, che quindi dovrebbero rispondere dei contenuti che veicolano tramite i loro servizi. E tale idea, presente anche in alcune bozze normative sia americane che europee, è basata principalmente su una narrazione portata avanti dai grandi editori (un monopolio di fatto). In questo modo Facebook viene rappresentato a seconda dei punti di vista come uno strumento molto popolare per tessere contatti con altri, un incubatore di teorie cospirative e bufale di destra, o il braccio illiberale del Partito Democratico americano.

Ed è una narrazione spesso basata su presupposti sbagliati. Ad esempio, i cosiddetti Facebook Papers o Facebook Files che i giornali brandiscono per sollevare l’indignazione popolare spesso non sono altro che post e thread di commenti dei dipendenti. Internamente a Facebook (c’è uno spazio apposito) chiunque può pubblicare qualsiasi cosa in qualsiasi momento, e tali commenti possono essere (proprio come accade sul social Facebook per gli utenti) conseguenza di un momento di rabbia, possono essere non sufficientemente pensati o anche semplicemente al di fuori del contesto di riferimento. È descritto come un “dibattito interno” ma non lo è, spesso sono solo conversazioni improvvisate tra persone che non sono coinvolte nei processi decisionali interni ma vorrebbero esserlo.

Ci si è tanto indignati per il fatto che Facebook porrebbe al primo posto i profitti (perché le altre aziende non fanno lo stesso? Nelle aziende quotate in borsa un CEO che non mettesse i profitti al primo posto sarebbe cacciato a pedate), anche qui il tutto orchestrato dai giornali maestri nel sollevare panico morale, senza nemmeno preoccuparsi di scavare nei documenti. Ad esempio, adesso sappiamo che Facebook provò a disattivare il tanto vituperato algoritmo di classificazione dei feed di notizie e che ciò ha portato a un’esperienza peggiore. Le persone passavano più tempo a scorrere il feed alla ricerca di cose interessanti e ciò portava a vedere più annunci, il che determinava addirittura maggiori entrate per l’azienda (quindi non è vero che mettono i profitti davanti a tutto?!).

In realtà Facebook è semplicemente un’azienda tecnologica come un’altra, dove i suoi dipendenti si preoccupano delle conseguenze dell’uso del prodotto e dove il capo concede ai lavoratori l’opportunità (copiata da Google, che però ha smesso nel 2019 al primo leak) di sollevare regolarmente le preoccupazioni e rivolgerle a lui direttamente. Dai Q&A settimanali, che traboccano regolarmente di indignazione e dissenso, emerge piuttosto chiaramente che è in atto uno scontro anche dentro i 50mila dipendenti di Facebook, tra le opinioni della forza lavoro conservatrice e quella liberale, esattamente come accade nella società. Secondo Casey Newton, i dipendenti di Facebook non provano un particolare risentimento per l'azienda, vedono il bene e il male, il rassicurante e il terrificante. La maggior parte ha cercato di spingere Zuckerberg verso un'azione più decisa e una politica più progressista, mentre la base di utenti di Facebook lo ha spinto nella direzione opposta. Lo stallo risultante sembra non soddisfare nessuno.

Ma rimuovere le norme che stabiliscono esenzioni per i Big Tech (imponendo quindi una responsabilità diretta per i contenuti) consentirà a queste aziende di selezionare i contenuti in misura maggiore di quanto fanno oggi perché la responsabilità editoriale è proprio questo: è l’editore che sceglie cosa pubblicare. Vogliamo davvero che siano i Big Tech a stabilire cosa è giusto leggere online? Vogliamo davvero che sia Facebook a stabilire cosa è vero e cosa non lo è? Non è affatto detto che la “selezione” sia favorevole ai cittadini, in casi del genere (basta vedere giornali e televisioni) i contenuti che non soffrono problemi di censura sono proprio quelli dei “potenti”, cioè delle persone che, a differenza dei normali cittadini, possono creare danni alle aziende.

Forse è molto più utile agire sul piano antitrust, ma per fare questo occorre un cambio di prospettiva. Un tempo la concentrazione di potere nelle mani dei privati era malvista, ma poi per anni è stata promossa. Sono le stesse norme che certe volte favoriscono una concentrazione di potere in determinati settori (ad esempio la direttiva copyright europea determina una barriera all’ingresso del mercato imponendo sostanzialmente l’utilizzo di algoritmi di filtraggio dei contenuti, che sono piuttosto costosi), e quindi le nostre attività sono rese possibili, e quindi monitorate, da una piccola manciata di aziende. Facebook, ad esempio, è fonte di notizie per miliardi di persone, ospita gran parte del discorso politico globale e gestisce un mercato per i beni fisici. Se imponessimo obblighi di controllo del discorso online a Facebook (responsabilità editoriale) finiremmo per dargli addirittura maggior potere.

Ma deve essere chiaro che la concentrazione non è un problema del solo settore tecnologico, l’assenza di competizione è presente in moltissimi mercati, come ad esempio quello televisivo, quello delle telecomunicazioni, il settore editoriale e quello dell’intrattenimento. Paradossalmente l’ascesa dei monopoli nel settore tecnologico è proprio una risposta alla concentrazione di potere nel settore dell’intrattenimento e delle telecomunicazioni, solo ingrandendosi le Big Tech hanno potuto resistere all’assalto delle altre aziende. Come dimenticare, ad esempio, l’ex avvocato di Verizon messo da Trump a capo della Federal Communications Commission, il quale avviò una campagna per la cancellazione del regolamento sulla neutralità della rete. Milioni di commenti si riversarono sui server della FCC a sostegno della proposta, peccato che moltissimi di questi (circa l’82%), tutti uguali tra loro, risultarono provenienti da identità rubate e da morti. Erano falsi, ed erano il tentativo di corruzione da parte dell’industria delle telecomunicazioni, per il quale le aziende del settore spesero milioni.

Per fortuna negli ultimi anni sembra che ci sia maggiore consapevolezza che favorire le concentrazioni di potere non è più un’opzione auspicabile, dato il peso che le grandi multinazionali (non solo quelle tecnologiche, basti pensare all'industria editoriale che ha fortemente voluto e ottenuto la direttiva copyright) hanno sull’intera società. Inoltre, con Lina Khan alla FTC, sembra che il focus delle indagini si stia spostando dalla questione degli aumenti dei prezzi. La regolamentazione degli anni ‘60 si basa sull’idea di danno ai consumatori, misurato in gran parte attraverso l’aumento dei prezzi, oggi si è finalmente compreso che il danno può essere di diverso tipo.

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C’è una nuova sensibilità da parte dei regolatori, e anche se la causa della FTC non dovesse portare ad alcun risultato, in un modo o nell’altro sta ponendo grosse pressioni sulle grandi aziende tecnologiche, e questo favorirà l’emersione di reali concorrenti che, consci degli errori passati, forse potranno creare degli ecosistemi digitali più salubri. Speriamo solo che la regolamentazione che è in arrivo sia negli USA che in Europa non si limiti a ridimensionare i Big Tech lasciando che gli editori e le aziende dell’intrattenimento occupino gli spazi da loro liberati. Altrimenti continueremo a commettere sempre gli stessi errori, sostituendo un monopolio con un altro.

Immagine in anteprima via Pixabay.com

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