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Dopo l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, antisemitismo e islamofobia sono in aumento nel mondo

31 Ottobre 2023 8 min lettura

Dopo l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, antisemitismo e islamofobia sono in aumento nel mondo

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La sera del 29 ottobre 2023 centinaia di persone hanno invaso l’aeroporto di Makhachkala – la capitale della Repubblica del Daghestan in Russia – per fare un pogrom contro gli ebrei.

Secondo la ricostruzione del sito indipendente russo Meduza, nel pomeriggio dello stesso giorno si era diffusa la voce su alcuni canali Telegram che fosse in arrivo un aereo da Tel Aviv carico di “rifugiati da Israele”.

L’aeroporto si è dunque riempito di manifestanti, che in un primo momento si sono messi a fermare i veicoli in uscita e controllare le carte d’identità delle persone. Poi hanno occupato l’edificio principale intonando slogan antisemiti e occupato la pista d’atterraggio.

Nei filmati circolati online si vede la folla verso l’aereo, sventolando bandiere palestinesi e cartelli contro Israele. Alcuni manifestanti hanno persino controllato i motori spenti, chiedendo ai tecnici dove “stessero nascondendo gli ebrei”.

La polizia è intervenuta a sgomberare l’area soltanto dopo diverse ore. Il bilancio finale è stato di 60 arrestati – su circa 150 partecipanti – e di oltre venti feriti tra manifestanti e agenti.

Il presidente del Daghestan Sergey Melikov ha parlato di una “grave violazione della legge” e annunciato un rafforzamento delle misure di sicurezza. Stando alle agenzie di stampa, si è addirittura ipotizzata l’evacuazione di circa 800 famiglie ebree dal paese.

Tuttavia, il tentato pogrom all’aeroporto Makhachkala non è isolato: negli ultimi giorni, infatti, l’area del Caucaso settentrionale è stata investita da un’ondata di violenza antisemita.

Il 28 ottobre, sempre in Daghestan, una folla si è radunata di fronte a un hotel nella città di Khasavyurt: credevano che fosse “pieno di ebrei” – anche in questo caso sulla base di false indiscrezioni circolate su Telegram.

E ancora: a Čerkessk, la capitale della Repubblica di Karačaj-Circassia, si è svolta una manifestazione per chiedere l’espulsione dei cittadini di religione ebraica. A Nal'čik, la capitale della Repubblica di Cabardino-Balcaria, un centro culturale ebraico è stato dato alle fiamme e vandalizzato con scritte antisemite.

Come ha detto Ovadya Isakov, il rappresentante della comunità locale di Makhachkala, “la situazione è molto difficile. La gente della comunità ha paura, chiama e non so cosa consigliare. Perché la Russia non è la nostra salvezza. Anche in Russia ci sono stati dei pogrom. Non è chiaro dove scappare”.

“Il periodo più pericoloso dalla Seconda guerra mondiale a oggi”: l’antisemitismo dopo l'attacco del 7 ottobre

Gli episodi di intolleranza antiebraica in Russia sono strettamente collegati all'attacco terroristico del 7 ottobre, compiuta da Hamas e altre fazioni armate palestinesi, e al successivo assedio della Striscia di Gaza.

Naturalmente gli episodi non sono confinati alla Russia. Nella città di El Hamma in Tunisia, ad esempio, una sinagoga è stata data alle fiamme poco dopo il bombardamento dell’ospedale Al-Ahli di Gaza.

In Turchia, il quotidiano filo-governativo Yeni Akit ha chiesto di togliere la cittadinanza alle persone turche di religione ebraica, definendoli “servi sionisti”. La stessa richiesta è al centro di una campagna sui social racchiusa nell’hashtag #TürkiyeYahudileriVatandaşlıktanAtılsın, ossia “togliere la cittadinanza agli ebrei turchi”.

In Germania una sinagoga a Berlino è stata colpita da alcune molotov, mentre fuori dalle abitazioni di alcune famiglie ebraiche sono state disegnate delle stelle di David – uno spaventoso rimando alla pagina più drammatica della storia tedesca.

Più in generale, un rapporto del RIAS (l’Associazione federale tedesca per la ricerca sull’antisemitismo) ha registrato 202 episodi di antisemitismo tra il 7 e il 15 ottobre; per fare un raffronto, nella stessa settimana del 2022 se erano registrati 59.

In Francia, il ministro dell’interno Gérald Darmanin ha comunicato che dal 7 al 24 ottobre si sono verificati 588 episodi di antisemitismo che hanno portato all’arresto di 336 persone. In un quartiere di Parigi, similmente a quanto successo a Berlino, diverse stelle di David sono state disegnate sulle facciate di alcuni palazzi.

In Australia, nel corso di una manifestazione pro-Palestina a Sidney, un gruppo di manifestanti ha intonato il coro “gasate gli ebrei”. La vicenda è stata fermamente condannata dal primo ministro Anthony Albanese, mentre il premier Chris Minns dello stato del New South Wales ha chiesto scusa alla comunità ebraica.

Negli Stati Uniti, la ONG Anti-Defamation League (ADL) ha registrato 312 episodi antisemiti dal 7 al 23 ottobre – tra cui aggressioni fisiche e verbali, discorsi d’odio sui social network e manifestazioni di “supporto esplicito o implicito nei confronti di Hamas, nonché di istigazione alla violenza nei confronti degli ebrei israeliani”. L'amministrazione Biden ha dichiarato che prenderà provvedimenti per contrastare l'antisemitismo nei campus universitari.

Rispetto all’anno scorso, ha sottolineato l’ADL, si tratta di un incremento del 388 per cento. Numeri ancora più alti si sono registrati nel Regno Unito. La polizia ha registrato 218 episodi di antisemitismo tra il primo e il 18 ottobre, rispetto ai 15 dello stesso periodo del 2022: è un aumento del 1353 per cento.  

Secondo un rapporto del Community Security Trust (CST), dal 7 al 24 ottobre ci sono stati 805 episodi in tutto il paese – un incremento del 689 per cento rispetto al 2022, nonché il numero più alto mai registrato in un periodo di 21 giorni da quando sono iniziate le rilevazioni nel 1984.

Oltre alle aggressioni e le scritte sui muri, il CST ha citato anche la rimozione e lo sfregio dei volantini degli ostaggi israeliani a Londra, Manchester e Leeds.

Per il rabbino capo Ephraim Mirvis, questo è uno dei momenti più difficili e preoccupanti per la comunità ebraica “dalla Seconda Guerra mondiale a oggi”.

“È come dopo l’11 settembre”: l’incremento dell’islamofobia e i divieti ai cortei pro-Palestina

In parallelo all’antisemitismo, il conflitto israeliano-palestinese ha causato un aumento dell’islamofobia.

La polizia britannica ha registrato 101 casi nei primi 18 giorni di ottobre; l’anno scorso erano 42. Nello stesso periodo l’ONG Tell Mama ne ha registrati 291 – un incremento di sei volte superiore al 2022.

In un comunicato pubblicato sul sito ufficiale, l’ONG sottolinea come “i musulmani sono stati insultati sia online che offline, chiamati ‘terroristi’ o ‘attentatori’ per il loro sostegno alla Palestina e invitati a ‘tornare in Palestina’”.

Negli Stati Uniti c’è stato un gravissimo caso: l’omicidio di un bambino palestinese-americano di 6 anni da parte di un uomo di 71enne avvenuto nella città di Plainfield Township, a circa 60 chilometri da Chicago. Le forze dell’ordine locali hanno spiegato che l’uomo ha accoltellato la madre e il bambino “per la loro religione” e “in reazione alla guerra tra Israele e Hamas”.

Dal canto suo, il Council on American-Islamic Relations (CAIR) ha registrato 774 casi di islamofobia dal 7 ottobre in poi – il numero più alto dal 2015 a questa parte.

Anche l’FBI ha parlato di un vertiginoso incremento dei reati d’odio legati al conflitto israeliano-palestinese, senza però fornire dati precisi. Il direttore Christopher Wray ha dichiarato che la guerra a Gaza “può ispirare atti di violenza negli Stati Uniti”.

Più in generale, nel dibattito pubblico è tornata in auge la tesi dello “scontro tra civiltà” – che ormai assomiglia a una specie di “cattivo dei film horror” per tutte le volte in cui è scomparso e riapparso, come ha scritto The New Republic.

In sostanza, quello tra Hamas – equiparata ad Al-Qaeda e all’ISIS, nonostante le differenze del caso – e Israele sarebbe l’ennesimo capitolo dell’infinita battaglia tra l’Islam e la civiltà occidentale: un altro 11 settembre, insomma.

La sociologa canadese Jasmin Zine ha scritto sul sito The Conversation che questa narrazione ha pesanti ricadute sulle comunità musulmane nei paesi occidentali: oltre a rappresentare un’ingiusta forma di punizione collettiva, contribuisce alla diffusione di stereotipi islamofobi – su tutti quelli del musulmano ontologicamente “terrorista”, o comunque sostenitore del terrorismo.

A volte, basta semplicemente essere arabo per diventare tale. In Italia ne abbiamo avuto un esempio con l’attivista egiziano Patrick Zaki, che nonostante sia un cristiano copto è stato arruolato d’ufficio da parte dei media tra i fiancheggiatori di Hamas.

In Germania, invece, la scrittrice palestinese Adania Shibli si è vista cancellare una premiazione alla Fiera del Libro di Francoforte. Una decisione che ha sollevato polemiche, anche perché il New York Times ha inizialmente riportato che la decisione era stata presa di comune accordo con la scrittrice - circostanza poi smentita.

Una situazione rischiosa per i diritti civili e la libertà d’espressione

L’associazione automatica tra la violenza, i palestinesi e i musulmani presenta poi altri rischi, tra cui la compressione della libertà di parola e del diritto a manifestare. A tal proposito, per Human Rights Watch le autorità di vari paesi europei “hanno imposto restrizioni eccessive nei confronti delle proteste pro-Palestina”.

In Francia, ad esempio, il governo ha vietato in toto le manifestazione a favore della causa palestinese perché “possono genere turbative dell’ordine pubblico”. Il Consiglio di Stato ha però dichiarato illegittima la decisione dell’esecutivo francese, spiegando che non si può vietare una manifestazione per il solo fatto di voler “sostenere la popolazione palestinese”. Prima della sentenza, però, in tutto il paese sono state vietate ben 64 manifestazioni.

Divieti simili sono stati spiccati anche in Ungheria, a Vienna in Austria, in alcune città del cantone tedesco della Svizzera e soprattutto in Germania – dove il dibattito sul conflitto è particolarmente teso ed emotivo, sia per la responsabilità del paese per la Shoah che per la presenza di una delle più grandi comunità palestinesi d’Europa.

Per contrastare l’antisemitismo, ha scritto il Guardian, la polizia e le autorità politiche tedesche hanno deciso preventivamente di vietare le manifestazioni di sostegno alla Palestina. Alle scuole di Berlino è stata addirittura data la possibilità di proibire agli studenti di indossare la kefiah.

Un approccio così draconiano ha attirato parecchie critiche. E non solo da parte dei manifestanti, ma anche da parte di intellettuali ebrei e di Felix Klein, il commissario del governo tedesco per la lotta contro l’antisemitismo. In un’intervista al Guardian ha spiegato di essere preoccupato da questi divieti, perché “manifestare è un diritto fondamentale”.

Il caso tedesco è probabilmente il più emblematico, perché evidenzia come il contrasto a islamofobia e antisemitismo, se non opportunamente bilanciato o proporzionato, possa sfociare in una restrizione indiscriminata delle libertà.

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Una società che vuole dirsi democratica, ha ricordato Human Rights Watch, deve proteggere i gruppi presi di mira dai discorsi d’odio; al tempo stesso, però, deve difendere il diritto di scendere in piazza e garantire la libertà d’espressione.

Specialmente in un momento così difficile, complicato e teso, in cui la polarizzazione spacca in due l’opinione pubblica e sembra rendere del tutto inconciliabili le diverse posizioni. Anzi: soprattutto in un momento del genere.

È una strada molto stretta, certo. Ma è l’unica strada percorribile.

(Immagine in anteprima: via YouTube)

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