Antipirateria? Inutile e costosa, lo dice l’Europa
8 min letturaDue strategie antipirateria
Circa due anni fa in un articolo (Da ACTA alla delibera Agcom: il lobbismo per il copyright online) spiegammo come l'attuale ondata di riforme in materia di copyright e proprietà intellettuale, che interessano più o meno tutto il mondo ma in particolare l'Unione europea, dipende da una strategia portata avanti dagli Usa, tendente all'esportazione delle proprie norme e l'instaurazione di un regime a tutto favore delle aziende americane.
Riduzione della domanda
La politica di contrasto alla pirateria si muove su due binari. Da un lato abbiamo gli interventi sul fronte della domanda (demand-side), cioè le azioni legali intentate contro gli utenti finali per abbattere le richieste di contenuti illeciti. Questo tipo di approccio viene utilizzato, ad esempio, in Francia con la legge (e la corrispondente Autorità) Hadopi.
Di recente l'Hadopi è stata ripensata e modificata, in quanto ci si è resi conto che la graduated response (così viene denominata questo tipo di azione) non solo è estremamente costosa (a carico dei cittadini) ma è anche inefficace (per comprendere l'inutilità dell'Hadopi basta leggere le discussioni sui forum).
Infatti studi (The Effect of Graduated Response Anti-Piracy Laws on Music Sales: Evidence from an Event Study in France, Evaluating Graduated Response) riguardati la graduated response (negli Usa “strikes”), evidenziano sì una riduzione del downloading illegale ma anche, anzi soprattutto, una traslazione verso altre forme di pirateria, lo streaming online e i cyberlocker, con un drastico aumento dei servizi VPN (spessi impossibili da tracciare), realizzando una vera e propria “frammentazione” della pirateria con ovvie conseguenze sulla possibilità effettiva di contrastarla.
Our econometric results indicate that the Hadopi [three strikes] law has not deterred individuals from engaging in digital piracy and that it did not reduce the intensity of illegal activity of those who did engage in piracy (da The Effect of Graduated Response...)
Insomma, la pirateria risponde adeguatamente e si adatta, quindi anche la missione educativa di Hadopi, la formazione del cittadino alla legalità, è fallita. Se qualche effetto c'è stato, è di minima entità, a fronte di un costo economico enorme per la collettività (per non parlare del costo in termini di limitazione delle libertà dei cittadini).
Riduzione dell'offerta
L'altra strategia attuata dall'antipirateria è quella supply-side, cioè l'inibizione dell'accesso ai siti che forniscono i contenuti illeciti (Regolamento Agcom in Italia, Ley Sinde in Spagna, Irish SOPA).
Si tratta di una “priorità alta” per l'industria del copyright (meeting dell'ottobre 2014 sul site blocking), come si ricava dai Sony leaks (email della MPAA nella quale si legge: “We have been exploring theories under the All Writs Acts, which, unlike DMCA 512(j), would allow us to obtain court orders requiring site blocking without first having to sue and prove the target ISPs are liable for copyright infringement”).
Quello che occorre è: “make available research (1) that site-blocking works and (2) that it does not break the Internet (lack of "side effects")”. Ovviamente è necessario che tutto ciò sia fatto nella massima segretezza: “[Do this] in closed-door meetings with policymakers and stakeholders, [but] not necessarily publicized to a wider audience”.
Anche gli interventi di questo tipo usualmente richiedono ingenti risorse pubbliche, in quanto occorre l'ausilio delle autorità di polizia o della magistratura, o comunque di enti pubblici (come le Autorità amministrative) il cui costo è scaricato interamente sui cittadini (l'industria del copyright che usufruisce dei vantaggi di tali interventi non partecipa ai costi).
Possiamo, ad esempio, citare gli interventi dell'italiana Agcom, quale intermediario tra i titolari dei contenuti e i fornitori di servizi di telecomunicazione, con provvedimenti che obbligano questi ultimi a rimuovere contenuti online. Solo la convenzione con la FUB, che gestisce il sito ddaonline che si occupa di ricevere le istanze telematiche e pubblica i provvedimenti, costa circa 533mila euro per un triennio, alla quale sono da aggiungere i costi della campagna informativa e i costi della struttura che l'Agcom ha dovuto impiegare per gestire l'attuazione del Regolamento, tutti costi che finiscono a carico dei cittadini. Si devono considerare anche le maggiori spese a carico dei provider che devono ottemperare in tempi brevi (5 o 3 giorni) gli ordini di rimozione, e devono comunque gestire risorse maggiori per far fronte alle numerose comunicazioni relative alla procedura amministrativa (costi stimati in oltre 50mila euro l'anno).
I costi dei provider è da immaginare che, almeno parzialmente, verranno scaricati sugli utenti.
Oppure la Intellectual Property Crime Unit, parte della City of London Police, nata per contrastare la pirateria online, il cui budget attuale è di 3 milioni.
Il site blocking è efficace?
Nel 2013 il capo economista dell'Intellectual Property Unit inglese, Tony Clayton, ha chiarito che il governo e l'industria non hanno prove che l'approccio basato sull'enforcement funzioni realmente. La politica punta alle misure draconiane stile SOPA e ACTA, ma tali regolamentazioni sono state rigettate dai cittadini perché nessuno può provare che funzionino davvero. Clayton conclude ritenendo necessario giustificare il costo di tali misure.
Già nel novembre del 2014 uno studio della Hadopi ha sostenuto che il blocco di un sito web è una soluzione antipirateria inefficace, perché non produce alcuno spostamento di utenti dal mercato nero a quello legale, rimanendo così del tutto ingiustificato il suo costo. Lo studio rende evidente che l'unico modo di “convertire” utenti è di fornire loro un'offerta più competitiva rispetto a quella illecita. “Competitiva” non solo dal punto di vista economico (qualsiasi prezzo è più alto di zero), ma anche dal punto di vista della fruibilità e della disponibilità dei contenuti e della tempestività.
Infatti, la ricerca di PWC dell'ottobre 2010, "Discovering behaviours and attitudes related to pirating content", evidenzia alcune significative risposte del campione analizzato: "riesco a guardare i film prima che siano disponibili attraverso i canali tradizionali", per il 53% degli intervistati.
In merito al mercato italiano, il rapporto Istat su "Cittadini e nuove tecnologie", del 2008, rileva che l'aspetto che attrae maggiormente i downloaders è quello della maggiore disponibilità di contenuti.
Nel marzo del 2015 interviene uno studio dell'Institute for Prospective Technological Studies, commissionato dalla Commissione europea (Online Copyright Enforcement, Consumer Behavior, and Market Structure).
Lo studio analizza (vedi anche articolo di Fulvio Sarzana) le conseguenze del più importante intervento supply-side in Germania, la chiusura del sito kino.to avvenuta nel giugno del 2011.
Secondo questo studio la chiusura del sito ha condotto ad una significativa diminuzione del consumo di pirateria (circa il 30%) nelle prime 4 settimane dall'intervento, che però non ha portato alla crescita degli accessi a siti di vendita di Dvd, quanto piuttosto un aumento delle visite ai siti di servizi video (quindi con più elevata fruibilità), comunque limitato nella misura del 2,5%.
A partire dalla quinta settimana si è osservata, invece, una ricrescita dell'utilizzo di contenuti illeciti, sia tramite i siti di contenuti illeciti già presenti, ma soprattutto grazie all'ingresso di nuovi siti di contenuti illeciti (cosiddetto effetto Hydra osservato in particolare con The Pirate Bay, chiuso più volte in più paesi, eppure tutt'ora funzionante e con una continua proliferazione di proxy). L'ingresso nel mercato di kinoX ha catturato buona parte degli accessi in pochissimo tempo, forte anche del fatto che è graficamente simile al vecchio kino.
La rinascita di un sito chiuso è fenomeno usuale, ad esempio nel caso di Cricfree.tv, portale di video streaming chiuso dalla Intellectual Property Crime Unit della Polizia di Londra, occorsero solo poche ore dall'intervento per riaprire il sito sotto un diverso nome a dominio.
L'evidenza è che mentre prima dell'intervento kino dominava il mercato illecito, dopo la chiusura il mercato si è ulteriormente frammentato, con l'ingresso di nuovi competitors, riportandosi in poche settimane a livelli uguali a prima della chiusura di kino.
La frammentazione determina ovviamente maggiori difficoltà per le autorità negli interventi antipirateria, con costi crescenti.
In ogni caso la chiusura del principale fornitore di contenuti illeciti non ha portato gli utenti verso i siti di contenuti leciti, perché probabilmente non sono considerati sufficientemente “competitivi”. Ad esempio, ancora nel novembre 2014 l'offerta legale di contenuti in Germania (11.600 film su iTunes, 8.500 su Maxdome, 5.800 su Videoload, 1.000 su Netflix) era di poco superiore rispetto a quanto si poteva trovare nel 2011 su kino (oltre 20mila film).
Appare quindi evidente l'inutilità dei provvedimenti di rimozione. Viene da chiedersi, quindi, perché si prosegue su questa strada. Una risposta è difficile, ma tali politiche di rimozione dipendono in buona parte dalle pressioni di vere e proprie lobby. Così come nel caso del terrorismo, con l'industria della sicurezza che la fa da padrone, ogni volta che un privato adocchia occasioni di guadagno i numeri del fenomeno cominciano a lievitare. Ed è piuttosto facile anche alterare i risultati. Tanto per fare un esempio, nel caso del cyberbullismo l'aumento delle percentuali di minori presumibilmente coinvolti nel fenomeno diventa allarmante semplicemente facendo rientrare nella categoria comportamenti di ogni tipo, dai reati veri e propri fino alle denigrazioni e all'esclusione da gruppi. “Allargando” la definizione del fenomeno, questo diventa più “grave”.
L'industria della sicurezza online esagera con le statistiche portandoci a credere che il 70% dei minori (articolo di Fabio Chiusi) è vittima di cyberbulli (rigorosamente “cyber”). Le istituzioni tendono a dare corda, così si crea il fenomeno, e di conseguenza occorre una soluzione. Nasce in questo modo un nuovo mercato preda di privati.
In conclusione:
- gli interventi di blocco di un sito non riducono l'offerta, in quanto esistono (o nascono) sempre altri siti, per cui ottengono generalmente il solo effetto di trasferire gli utenti da un sito pirata ad un altro (c'è una domanda, quindi nascerà sempre un'offerta, legale o illegale);
- anche se l'intervento ottenesse una effettiva riduzione dell'offerta di contenuti illeciti, se gli utenti non hanno alcuna intenzione di pagare per contenuti leciti (perché ad esempio troppo costosi), il tutto si riduce ad una perdita netta per l'industria del copyright, a fronte di un costo elevato per l'intervento in sé (e quindi della collettività);
- la chiusura di un sito pirata ha importanti conseguenze sulla struttura del mercato illecito, in quanto incentiva l'entrata di nuove piattaforme, più avanzate tecnologicamente, e quindi genera maggiore competizione tra i siti pirata per ottenere una fetta della torta del mercato pirata (rendendo sempre più difficile tali interventi).
L'equazione sulla quale da anni si basa la strategia dell'industria del copyright, cioè “copia pirata = copia regolare non venduta” si dimostra clamorosamente falsa. Non è chiudendo il sito pirata che la gente smette di cercare alternative, la gente non è stupida. Quello che occorre davvero è dare un'alternativa che sia più competitiva. E qui l'industria sconta anni di incapacità nel soddisfare la domanda dei consumatori di aumento dei canali di distribuzione dei contenuti (cosa che, tra l'altro, aumenterebbe anche le possibilità di guadagno della stessa industria).
Il modo in cui la gente scarica contenuti non autorizzati si evolve, una volta si scaricavano direttamente i contenuti, oggi con i siti basati sul cloud è possibile impostare i download automatici nel momento in cui il contenuto viene caricato online. È la pirateria on-demand, e funziona perché è più semplice, più fruibile, più competitiva rispetto alla scarsa e farraginosa offerta legale.
Quindi gli interventi antipirateria restano inutili se la quota di pirati non si converte in una quota di compratori di contenuti leciti. E rimangono solo gli ingenti costi (economici e sociali) degli interventi a carico della collettività.
Our results would suggest that the shutdown of kino.to has not had a positive effect on overall welfare
(da Online Copyright Enforcement, Consumer Behavior, and Market Structure)
Soluzioni?
Rendere l'offerta legale competitiva rispetto a quella illegale.
Occorrono, quindi, contenuti a basso prezzo che siano immediatamente disponibili (con eliminazione delle finestre temporali, vedi il Rapporto di Julia Reda sulla riforma del copyright in Europa (per i dettagli si veda il sito Copywrongs), che sarà votato in Commissione il 16 giugno) e su piattaforme facili da usare.