Amnesty International si è scusata per il comunicato con cui accusava l’esercito ucraino di mettere in pericolo i civili
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“A nome dell’International Board, mi scuso profondamente per l’angoscia e la rabbia causate dal comunicato stampa del 4 agosto 2022”. Così scrive Anjhula Mya Singh Bais, presidente del Board Internazionale di Amnesty International, in un comunicato pubblicato lo scorso 17 maggio dal titolo Principali conclusioni e lezioni apprese in relazione al comunicato stampa del 4 agosto 2022 sull’Ucraina.
Il riferimento al 4 agosto è naturalmente al comunicato in cui Amnesty International accusava le forze armate ucraine di mettere a repentaglio i civili. Quel testo aveva attirato da subito numerose critiche, anche da parte di membri della stessa organizzazione (con le dimissioni, tra gli altri, della direttrice di Amnesty International Ucraina). Ne è seguita la decisione di affidare a un’indagine indipendente il compito di esaminare l’analisi giuridica alla base del comunicato del 4 agosto e le prove raccolte.
L’indagine ha accertato che le conclusioni chiave di Amnesty International non erano “suffragate a sufficienza dalle prove raccolte”. Sono stati evidenziati anche errori riguardanti il mancato confronto con le autorità ucraine circa l’effettiva possibilità di mettere al sicuro i civili nei contesti presi in esame, e il linguaggio “ambiguo, impreciso e per certi versi legalmente discutibile” usato nel comunicato.
Come rivelato dal New York Times lo scorso aprile, inizialmente le conclusioni dell’indagine contenevano un giudizio molto più severo (“non suffragate” invece di “non suffragate a sufficienza”), tuttavia la stessa ONG avrebbe esercitato pressioni per far ammorbidire il giudizio. Il rapporto, consegnato a febbraio, inizialmente è stato destinato alla formazione interna, ma dopo l'uscita dell’articolo del New York Times è stato pubblicato sul sito di Amnesty International.
Ora, a distanza di poche settimane da quella pubblicazione, sono dunque arrivate le scuse ufficiali, che accompagnano il Rapporto organizzativo sull’Ucraina. Quest’ultimo, oltre a confermare i rilievi dell'inchiesta indipendente si è occupato in particolare di come siano stati rispettati o meno i principi dell’organizzazione (imparzialità, indipendenza, accuratezza, rispetto reciproco e inclusione) e della gestione degli aspetti comunicativi, sia interni che esterni.
Per quanto riguarda l’imparzialità, è ribadito il dovere, in un contesto di conflitto, di indagare sulle eventuali violazioni commesse da tutti gli attori coinvolti. Ciò “anche quando potrebbe avere conseguenze negative per Amnesty o quando potrebbe non essere strategicamente utile per ottenere cambiamenti” nel paese oggetto di indagine. Allo stesso tempo, il rapporto riconosce la necessità di “assicurare che le violazioni dei diritti umani commesse dalle parti coinvolte in un conflitto siano contestualizzate”, e quindi di evitare, per esempio, di fornire uguale spazio o evidenza a due parti quando una delle due commette un numero considerevolmente maggiori di violazioni.
Nelle ricerche e nella stesura del comunicato del 4 agosto 2022, inoltre, secondo il rapporto organizzativo è stato rispettato il principio di indipendenza di AI. Non sono state ravvisate pressioni esterne o interne, anche se, si legge, “c’è stato uno squilibrio di influenze interne nella struttura di potere” dell’organizzazione.
Sul versante dell’accuratezza, si legge:
Date le questioni interne sollevate durante il processo di revisione del comunicato stampa e dopo la pubblicazione, è chiaro che una discussione più completa e dettagliata delle prove e dei risultati avrebbe dovuto essere inclusa nel comunicato stesso.
Ci sono poi degli aspetti legati al linguaggio usato, come già rilevato dall’inchiesta indipendente. L’aver parlato di uno schema ricorrente (“pattern” in inglese), ha agevolato l’impressione di una sistematicità nell’operato delle forze armate ucraine, ma la scelta linguistica avrebbe dovuto essere in accordo con la rappresentatività del campione esaminato e la possibilità di rendere maggiormente conto delle prove raccolte.
Una delle lezioni apprese, in tal senso, riguarda anche il formato scelto, ossia l’essersi affidati a un comunicato stampa invece che a un rapporto vero e proprio o a un documento informativo. “L'uso accurato del linguaggio e l'utilizzo di un linguaggio tecnico e giuridico devono rimanere fondamentali per la stesura e la revisione di tali documenti”. La brevità e il tono più incisivo di un comunicato stampa, per esempio, o l’assenza di informazioni dettagliate sul diritto internazionale umanitario e sui diritti umani, sono fattori che incidono complessivamente sull’accuratezza.
Per quanto riguarda il rispetto reciproco e l’inclusione, sotto i riflettori è naturalmente il rapporto con Amnesty International Ucraina. C’è stata una generale percezione di mancato rispetto che non è stata affrontata in modo opportuno. Ciò a partire dalla decisione di consultare lo staff ucraino solo dopo il 22 luglio, poco prima della pubblicazione, e non durante la fase di preparazione del comunicato:
Tenere Amnesty Ucraina a distanza dal comunicato stampa è stato considerato un modo per proteggerla dalle reazioni negative, poiché sarebbe stata in grado di negare il coinvolgimento nella produzione del comunicato stampa. C'era la consapevolezza che questo comunicato stampa sarebbe stato controverso e la mancata ricerca preventiva del punto di vista e della comprensione del contesto da parte di Amnesty Ucraina (comprensivo della diaspora ucraina) è stata una considerevole occasione persa, che ha comportato il sentirsi esclusi e non rispettati.
La lezione indicata, al riguardo, è di coinvolgere maggiormente nel processo consultivo “il personale del team e dei gruppi più direttamente interessati” quando può essere fatto in modo sicuro. Questo, si legge ancora nel rapporto, non deve ovviamente influire sulle prove e la loro analisi, “ma potrebbe influenzare l’inquadramento, la tempistica e il lavoro preparatorio che precede la pubblicazione”. Si evidenzia poi la necessità di individuare “un meccanismo chiaro e accessibile per il personale interessato che abbia dei dubbi da sollevare” su un contenuto in via di pubblicazione.
Altri aspetti evidenziati riguardano la gestione della fase di comunicazione. A partire da come non è stato opportunamente garantito il diritto di replica alle autorità ucraine, fatto già evidenziato dall’indagine indipendente. Ma la stessa crisi comunicativa, interna ed esterna, che è seguito la pubblicazione del comunicato, è stata prodotta da una mancata valutazione circa i rischi e le strategie di diffusione. Così Amnesty International si è trovata esposta senza saper reagire con efficacia non solo alle reazioni negative, ma anche a informazioni false che sono circolate sui metodi di ricerca (ad esempio di essersi basati sulle dichiarazioni di persone sotto custodia delle forze di occupazione).
Nel complesso, il coinvolgimento di tutte le parti interessate dai processi decisionali è stato insufficiente, mentre nelle raccomandazioni, tra i vari consigli, si suggerisce di tenere maggiormente conto del team comunicazione. Il riferimento è anche all’infelice tweet della Segretaria Internazionale Agnes Callamard, che commentando le polemiche parlò di “orde di troll”, lasciando intendere che il tutto fosse opera di attacchi coordinati. Un altro aspetto chiave evidenziato nella parte finale riguarda la sicurezza e il benessere dello staff. “In futuro” si legge, “Amnesty deve garantire che tutto il personale sia supportato in modo proattivo e adeguato quando si trova ad affrontare pressioni e tensioni”.
Al netto di tutto, la lezione che sintetizza l’intera vicenda e le varie analisi richieste per processarla è contenuta in una semplice frase: “In futuro le cose dovranno essere fatte diversamente”.
Immagine in anteprima via Flickr.com