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Brasile, il giornalista Dom Phillips e l’attivista Bruno Pereira uccisi mentre indagavano sullo sfruttamento illegale dell’Amazzonia

17 Giugno 2022 4 min lettura

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Brasile, il giornalista Dom Phillips e l’attivista Bruno Pereira uccisi mentre indagavano sullo sfruttamento illegale dell’Amazzonia

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Dopo 10 giorni di ricerche, il 15 giugno la polizia federale brasiliana ha trovato i resti dei corpi che dovrebbero appartenere a Dom Phillips e Bruno Pereira, il giornalista inglese e l’esperto brasiliano dell’ente di protezione dei popoli indigeni scomparsi nel Valle del Yavarí, nella foresta amazzonica, durante un viaggio in cui indagavano sulle crescenti minacce a cui sono sottoposte le popolazioni indigene.

Secondo fonti di polizia, il ritrovamento è stato possibile grazie alla confessione di Amarildo da Costa Oliveira, già arrestato come sospetto, che ha ammesso di aver sotterrato i due corpi e ha accompagnato gli agenti nel luogo esatto, non lontano dalla città di Atalaia do Norte, dove i due uomini erano diretti, vicino al confine con il Perù e la Colombia. Insieme a lui è stato arrestato anche il fratello, Oseney da Costa Oliveira, ma le autorità cercano anche una terza persona coinvolta nel delitto.

In conferenza stampa, il sovrintendente regionale della polizia dell’Amazzonia, Eduardo Alexandre Fontes, ha dichiarato che il laboratorio forense di Brasilia sta analizzando le prove, ma è ormai quasi certo che si tratti di Dom Phillips e Bruno Pereira, i cui nomi sono apparsi nell’ultima settimana, insieme ai loro volti, sui cartelli che chiedevano “Dove sono?”, nelle proteste di tutto il Brasile e che hanno fatto il giro del mondo.

Già domenica 12 giugno la squadra di ricerca della polizia aveva trovato oggetti appartenenti ai due uomini scomparsi: vestiti, scarpe, lo zaino e il computer del giornalista. Erano nascosti nei pressi della casa di Oliveira, che era già stato segnalato dall’organizzazione indigena Univaja: l’avevano visto su una barca che aveva incrociato quella di Pereira e Phillips il giorno prima che si perdessero le loro tracce. Si trovava insieme ad altri pescatori illegali e avevano mostrato ai due di essere armati.

“Oggi comincia il nostro cammino verso la giustizia”, ha dichiarato la moglie di Dom Phillips, Alessandra Sampaio. “Spero che le ricerche esplorino tutte le strade e portino risposte definitive il prima possibile”, ha evidenziato. In questi lunghi dieci giorni di incertezza sul destino di suo marito e del collega, aveva già fatto un appello alle autorità brasiliane affinché intensificassero le ricerche. Come lei, diverse organizzazioni e figure politiche hanno criticato la lentezza della risposta statale di fronte alla scomparsa dei due uomini, segnalata già domenica 5 giugno.

Il presidente Bolsonaro è stato duramente criticato per aver favorito durante il suo governo l’impunità nei confronti delle organizzazioni criminali che saccheggiano i beni naturali della foresta amazzonica. Alla notizia della scomparsa di Phillips e Pereira, Bolsonaro aveva parlato di “due persone su una barca in un’area completamente selvaggia”, commentando: “Non è un’avventura consigliabile” e prendendo in considerazione la possibilità di un omicidio. Aveva aggiunto che il giornalista, corrispondente del The Guardian, era “mal visto” nella regione per il suo lavoro di denuncia delle attività illegali nella zona.

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L’organizzazione indigena Univaja ha affermato in un comunicato di aver denunciato già dal 2021 le incursioni di pescatori e cacciatori illegali, di persone legate al narcotraffico, “ma non sono state prese misure con la dovuta celerità. Per questo oggi assistiamo all’omicidio dei nostri amici: Pereira e Phillips”. Dopo la loro scomparsa, avevano cominciato immediatamente a percorrere il fiume Itaquaí con il solo aiuto di un battaglione militare locale. Sono loro che hanno svolto gran parte delle ricerche, addentrandosi nella selva con le loro “équipe di vigilanza.”

La Valle del Yavarí è una riserva di 85mila chilometri quadrati coperta dalla foresta amazzonica, dove non ci sono strade e ci si sposta sul fiume. Si tratta di uno dei luoghi più isolati del pianeta, dove vivono almeno 19 gruppi indigeni che non hanno contatti esterni. Allo stesso tempo, è un territorio ambito per la pesca, la caccia, l’abbattimento degli alberi e l’estrazione mineraria illegale, una minaccia che si è acutizzata con i tagli del governo ai programmi di protezione ambientale. 

La violenza non è una novità nell’Amazzonia: secondo i dati del progetto Tierra de Resistentes, tra il 2009 e il 2020 ci sono stati 139 omicidi di attivisti e difensori dell’ambiente, ma erano quasi inesistenti gli attacchi a funzionari del governo o giornalisti stranieri.

Pereira aveva lavorato per anni con l’ente nazionale per protezione dei popoli indigeni, la FUNAI. Phillips era stato con lui in un viaggio di 17 giorni nella Valle del Yavarí nel 2018, quando il lavoro della FUNAI era focalizzato nell’identificare e proteggere i gruppi indigeni più isolati. 

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Ma nel 2019, sotto il governo di Bolsonaro, sono stati tagliati i fondi e cambiati i dirigenti. Pereira aveva lasciato il posto e stava aiutando l’organizzazione indigena Univaja a formare le squadre di vigilanza territoriale per documentare e denunciare la pesca e la caccia illegali. Nell’ultimo periodo aveva ricevuto diverse minacce per la sua attività, così come accade ad altri indigeni che continuano a proteggere la riserva amazzonica. “Manifestiamo preoccupazione per le nostre vite” si legge nel comunicato di Univaja, che identifica i due arrestati come parte di un’organizzazione più grande. “Cosa ci succederà quando se ne andranno le forze armate e la stampa? Continueremo a vivere sotto minaccia?”.

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La ricerca della verità sul caso di Pereira e Phillips è ancora in corso, ma c’è molto di più da fare: è necessario rafforzare i controlli nell’Amazzonia, perseguire i traffici illegali, preservare uno dei luoghi che possiede la maggiore biodiversità del pianeta. Il loro omicidio è “un crimine politico perché entrambi erano difensori dei diritti umani e sono morti mentre svolgevano attività per la nostra protezione, dei popoli indigeni della Valle del Javarí” conclude il documento.

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