Dagli Stati Uniti all’Europa, la destra cristiana all’attacco di aborto, eutanasia e diritti LGBTQ+
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Dopo il ribaltamento della sentenza Roe v. Wade deciso lo scorso giugno dalla Corte Suprema, che ha messo fine a 50 anni di tutela giuridica dell’aborto negli Stati Uniti, l’assunzione della pillola abortiva RU486 a base di mifepristone è l’unico modo per interrompere una gravidanza in modo sicuro nei 13 stati in cui l’aborto è stato del tutto vietato. Nonostante le leggi anti-aborto riguardino anche la RU486, i singoli stati non hanno infatti il potere di bandire il farmaco, che è stato autorizzato nel 2000 dalla Food and Drugs Administration, le cui decisioni hanno valore di legge a livello federale. Una persona che vuole abortire, anche se si trova in uno stato in cui è vietato, può farsi prescrivere la pillola e riceverla a casa per posta senza violare la legge. Alcuni stati hanno cercato di aggirare l’ostacolo vietando la possibilità di farsi spedire la pillola o imponendo che possa essere prescritta soltanto con una visita di persona, ma a gennaio un decreto del governo ha concesso alle farmacie la possibilità di vendere direttamente la RU486. Il servizio postale ha inoltre ufficialmente confermato che l’invio della pillola non viola una legge del 1873 che impedisce di spedire materiale considerato “osceno”. Da quando è stata ribaltata la Roe v. Wade, l’aborto farmacologico è quindi diventato il metodo più utilizzato negli Stati Uniti per interrompere una gravidanza.
Tutto questo potrebbe finire presto se il tribunale dello stato del Texas darà ragione a quattro associazioni mediche antiabortiste che hanno denunciato la FDA e il Dipartimento della salute per aver legalizzato la RU486. Nel testo della denuncia si legge che la FDA avrebbe “scelto la politica anziché la scienza”, “ignorando le crescenti e sostanziali evidenze che questi farmaci pericolosi fanno del male a donne e ragazze”. In realtà, le linee guida dell’OMS confermano che l’aborto farmacologico è sicuro e che anzi “migliora in maniera significativa l’accesso, la privacy, la convenienza e l’accettabilità delle procedure abortive, senza comprometterne la sicurezza o l’efficacia”. Anche se la causa sembra già persa in partenza (chi l’ha intentata dovrebbe dimostrare di essere stato personalmente danneggiato dal mifepristone), bisogna considerare due fattori che potrebbero avvantaggiare gli antiabortisti: il primo è che il tribunale del Texas è presieduto da un giudice fortemente conservatore nominato da Trump, Matthew Kacsmaryk, che ha già limitato l’accesso alla contraccezione d’emergenza per le minorenni; il secondo è che la causa è sostenuta da una potente lobby della destra cristiana, Alliance Defending Freedom.
Alliance Defending Freedom è stata fondata nel 1993 da un gruppo di leader della destra cristiana americana con il nome di Alliance Defense Fund, cambiato nel 2012. Sin da subito, la sua attività si è concentrata sul sistema giudiziario, sponsorizzando cause di tribunale e aprendo scuole e borse di studio per avvocati e giudici conservatori, con l’obiettivo di diventare il principale oppositore della storica organizzazione per i diritti civili American Civil Liberties Union. Diretta per più di vent’anni da Alan Sears, che ebbe diversi ruoli nelle amministrazioni Reagan e Bush, ADF è stata coinvolta in numerose cause sull’aborto, i diritti LGBTQ+, l’eutanasia e la libertà religiosa e ha diverse connessioni con esponenti della destra statunitense, tra cui la giudice della Corte Suprema Amy Coney Barrett (che ha tenuto dei corsi nella scuola di legge di Adf, Blackstone Legal Fellowship), l’ex vicepresidente Mike Pence, il senatore del Missouri Josh Hawley (marito di una delle principali consigliere della ADF), il deputato della Louisiana Mike Johnson e quello del Minnesota Doug Wardlow.
L’associazione per i diritti civili Southern Poverty Law Center nel 2016 ha classificato Alliance Defending Freedom come un “gruppo d’odio”, “perché promuove l’idea che essere LGBTQ+ dovrebbe essere un crimine negli Stati Uniti e all’estero”. La lista delle cause sostenute dall’organizzazione è molto estesa, ma tra le varie spicca la Dobbs v. Jackson Women's Health Organization, proprio quella che ha portato al ribaltamento della Roe v. Wade. Il team legale dell’organizzazione ha fatto da consulente allo stato del Mississippi per la stesura del Gestational age act che, stabilendo il limite per l’aborto a 15 settimane, aprì il conflitto con la Corte Suprema degli Stati Uniti che portò alla revisione della sentenza del 1973. Gli avvocati della ADF hanno poi seguito l’ex governatore Phil Bryant anche durante il processo alla Corte Suprema. Insieme all’aborto, Alliance Defending Freedom si occupa di tutti i temi che dividono il dibattito statunitense, dall’insegnamento della critical race theory, ai diritti dei minori transgender, al bando dei libri nelle scuole.
Da circa una decina d’anni la ADF si è impegnata in un’aggressiva espansione anche nel resto del mondo, grazie alla fondazione della succursale Alliance Defending Freedom International. Nel 2010, Adf ha ottenuto lo special consultative status alle Nazioni Unite, con la possibilità di esprimere pareri sulle politiche dell’ONU, e nello stesso anno si è iscritta al registro per la trasparenza delle lobby del Parlamento europeo, anche se nel 2018 le è stato negato di entrare nel comitato permanente della Conferenza delle ONG del Consiglio europeo perché non ne rispettava i principi. Tuttavia, secondo il Forum parlamentare europeo per i diritti riproduttivi, ADF ricopre un ruolo sempre più significativo nelle politiche “anti-gender” e antiabortiste in Europa: a fronte dei 657.000 dollari spesi in propaganda nel 2011 si è passati ai 4,36 milioni nel 2018. Con i suoi 23,3 milioni di dollari spesi nell’arco di dieci anni, è il secondo attore della destra cristiana nell’Unione.
La strategia adottata dalla ADF, così come da altre associazioni di matrice simile come l’European Center for Law and Justice, è quella di presidiare da vicino le istituzioni e di costruire un bagaglio di sentenze a proprio favore, possibilmente nei più alti organi di giustizia, in modo da promuovere politiche repressive e conservatrici. Il luogo privilegiato per questa operazione è la Corte europea dei diritti umani, a cui aderiscono tutti gli stati del Consiglio d’Europa che si impegnano a riconoscere le sue sentenze. Secondo la ADF, la CEDU ha perso la sua funzione originaria e sarebbe impegnata in un’opera di promozione dei “valori secolari” sulla base di una libera interpretazione della Convenzione europea sui diritti umani, scavalcando la sovranità dei singoli paesi.
L’organizzazione ha seguito molte cause alla CEDU, tra cui quella che ha sancito la legittimità dei crocifissi nelle aule scolastiche italiane. Nel 2002, la cittadina italiana di origini finlandesi Soile Tuulikki Lautsi aveva chiesto al consiglio d’istituto della scuola media di Abano Terme frequentata dai figli di rimuovere il crocifisso dall’aula. Dopo il rifiuto del consiglio, Lautsi si rivolse al Tar del Veneto e poi al Consiglio di Stato, i quali si pronunciarono entrambi a favore dell’esposizione. La sentenza di primo grado alla CEDU fu invece a favore di Lautsi. Il governo italiano, allora presieduto da Berlusconi, fece ricorso e qui intervenne Alliance Defending Freedom, rappresentando 33 membri del Parlamento europeo, tra cui il fondatore del Movimento per la vita Carlo Casini e altri 12 politici italiani. Nel 2011, la Grande Chambre ribaltò la sentenza di primo grado, sostenendo che la presenza del crocifisso non interferiva con la libertà dei genitori di educare i figli secondo le proprie convinzioni religiose.
Nel 2018 ADF è intervenuta alla Corte di giustizia europea sul caso del mancato riconoscimento del permesso di soggiorno a un uomo americano, sposato con un rumeno a Bruxelles, da parte delle autorità della Romania. Nell’occasione, ADF ha sostenuto che, in caso di decisione favorevole della Corte sulla permanenza del cittadino americano, ciò avrebbe forzato il riconoscimento di un’unione omosessuale. Sempre in Romania, ha fornito assistenza a un’associazione anti-LGBTQ+ che aveva lanciato una petizione per dichiarare incostituzionale il matrimonio fra persone dello stesso sesso. Ha inoltre supportato il gruppo antiabortista tedesco “40 Days For Life” in un processo che ha stabilito che le proteste religiose fuori dalle cliniche abortive sono legittime. La prova più importante è arrivata però nel 2015, quando ha invitato la Corte europea dei diritti dell’uomo a pronunciarsi a favore della sterilizzazione obbligatoria delle persone transgender. Nel documento, i legali criticano i principi di Yogyakarta sull’applicazione dei diritti umani per le persone LGBTQ+ sostenendo che siano discriminatori per le persone che non si identificano in tale sigla. Proprio questo gesto spinse il Southern Poverty Law Center a classificare l’organizzazione come un gruppo d’odio.
La sconfitta della ADF International nella sentenza sulla sterilizzazione obbligatoria sembra aver portato il gruppo a ridimensionare lo scopo dei propri interventi. Negli ultimi due anni, ad esempio, la sua attività si è concentrata su alcuni casi legati alle restrizioni dovute alla pandemia, come nel caso di una 76enne di Liverpool che aveva violato il lockdown per partecipare a una veglia di fronte a una clinica abortiva, o la campagna Let Us Worship (“lasciateci pregare”) sui divieti di partecipare alla messa approvati da diversi stati durante le fasi acute della pandemia. ADF ha preso anche posizione contro l’obbligo vaccinale negli Stati Uniti e ha fornito supporto legale al sito di news di estrema destra The Daily Wire contro i vaccini obbligatori per i dipendenti.
Come già detto, l’obiettivo, anche in Europa, pare quindi quello di collezionare più sentenze possibili in corti di ogni ordine e grado. Da un lato, per costruire una base abbastanza ampia di precedenti legali a proprio favore, dall’altro per promuovere l’idea che i conservatori cristiani siano la vera minoranza perseguitata. Dal 2010 a oggi, la succursale internazionale di ADF avrebbe vinto più di 1500 cause in 104 paesi, ma il via vai nelle aule di tribunale è utile anche quando si perde o si ha quasi la certezza di perdere, come nel caso della RU486 in America. Un’eventuale sconfitta in Texas potrebbe essere facilmente riformulata come l’ennesima prova che la giustizia americana è in mano alle élite democratiche, anche se non è così.
Cause all’apparenza futili o assurde, come quella delle pasticcerie che si rifiutano di confezionare torte di nozze per coppie gay e lesbiche, sono il pane quotidiano per associazioni come ADF. Dopo il primo caso di una pasticceria del Colorado arrivato alla Corte Suprema degli Stati Uniti e uno in California (entrambi conclusi in favore delle pasticcerie), una vicenda simile ha interessato anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo. In questo caso, la pasticceria di Belfast Ashers Baking (sostenuta a processo dal gruppo anti-gender Coalition for Marriage) si rifiutò di fare una torta per un’associazione LGBTQ+ con un messaggio a favore del matrimonio omosessuale. Anche la Corte Suprema del Regno Unito sentenziò a favore della pasticceria, mentre la CEDU non si pronunciò sul caso per inammissibilità.
Fino a qualche anno fa, nessuno avrebbe pensato che nel 2022 gli Stati Uniti sarebbero diventati il quarto paese al mondo che negli ultimi trent’anni ha introdotto restrizioni sull’aborto anziché estenderne la possibilità. Nessuno tranne una capillare ed efficiente organizzazione legale della destra cristiana più fondamentalista, che ha preparato il terreno per tempo, riuscendo ad arrivare alla Corte Suprema nel momento più favorevole possibile. Partendo da una causa, che tutti davano per persa in partenza. Forse conviene prendere sul serio anche questo attacco alla RU486.
(Immagine in anteprima via Flickr)