Alle decisioni dell’Europa partecipano le aziende, ma non i cittadini
9 min letturaRelazioni internazionali
Il 13 marzo del 2015 il Corporate Europe Observatory (CEO), un'organizzazione no-profit che documenta l'effetto delle lobby aziendali sui processi decisionali dell'Unione europea, invia una richiesta FOI (freedom of information request) alla Direzione DG Trade (Direzione Generale per il Commercio) della Commissione Europea. In particolare chiede:
- la lista degli incontri ufficiali tra i rappresentanti dell'industria del tabacco (compreso lobby e avvocati) a partire dal gennaio 2014;
- la durata di questi incontri;
- la corrispondenza (compreso le mail) tra la Direzione e i rappresentanti suddetti.
La richiesta è inviata in base al Regolamento 1049/2001 che prevede l'accesso ai documenti ufficiali dell'Unione Europea. Secondo la normativa sulla trasparenza l'accesso ai documenti dovrebbe avvenire nei 15 giorni successivi alla richiesta, ma alla scadenza la Direzione si riserva ulteriori 15 giorni, anche per colpa della vacanze (“partly due to the holiday period”).
Una settimana dopo (8 maggio 2015) la nuova scadenza, il CEO riscrive alla Direzione chiedendo per quale motivo la documentazione non gli è ancora pervenuta. La Direzione porge la sue scuse per il ritardo precisando che la documentazione è pronta, ma purtroppo a causa del weekend potrà essere posta alla firma solo il lunedì successivo.
Il 28 maggio il CEO torna a chiedere notizie della documentazione che avrebbe dovuto essere ormai pronta. La Direzione, costernata, precisa che, però, è venuta in possesso di nuova documentazione pertinente alla richiesta e quindi occorre altro tempo per ottemperare. Sfortunatamente questo impedisce di poter precisare una data dell'invio.
Il 3 giugno il CEO riscrive alla Direzione manifestando il timore che le incombenti ferie possano ritardare notevolmente l'ottemperamento alla richiesta. Ma la Direzione rassicura l'interlocutore precisando che i nuovi documenti sono solo pochi, e quindi entro la fine della settimana l'invio sarà effettuato sicuramente.
Infatti, il 12 giugno, appena (!) tre mesi dopo la richiesta FOI, la DG Trade invia finalmente una mail con allegati. La Direzione però comunica che dei 6 documenti pertinenti alla FOI request solo 2 possono essere rilasciati, e di questi due alcune parti devono essere oscurate in base all'articolo 4 del Regolamento 1049/2011.
Art. 4
The institutions shall refuse access to a document where disclosure would undermine the protection of:
(a) the public interest as regards:
— public security,
— defence and military matters,
— international relations
Nella lettera si richiama una sentenza della Corte di Giustizia europea, la quale stabilisce che è possibile rifiutare la divulgazione al pubblico di un documento se, nell'ambito delle negoziazioni con altre parti le cui posizioni rimangono segrete, la divulgazione di tali documenti può rivelare la posizione negoziale dell'Unione Europea e quindi avere un impatto negativo sui negoziati. DG Trade aggiunge, inoltre, che la divulgazione di parti dei documenti potrebbe incidere sulla privacy di alcune persone (ovviamente membri della Direzione e lobbisti).
Infine, i documenti rivelerebbero le strategie commerciali, le priorità e importanti dati economici, e in tal senso potrebbero minare la protezione degli interessi commerciali delle aziende, danneggiando anche le relazione tra dette aziende e i governi coinvolti.
Per quanto riguarda gli altri 4 documenti, questi non possono essere rilasciati in base sempre all'art. 4 del regolamento 1049, poiché potrebbero incidere sugli interessi commerciali dei soggetti coinvolti:
Art. 4 - The institutions shall refuse access to a document where disclosure would undermine the protection of:
— commercial interests of a natural or legal person, including intellectual property
Gli allegati sono, quindi, solo due mail (mail 1; mail 2) col testo parzialmente oscurato, riguardanti entrambe la Japan Tobacco International. I documenti riguardanti la British Tobacco e la Philip Morris non vengono, invece, rilasciati.
Corporate Europe Observatory non ci sta e invia un reclamo alla Direzione chiedendo di rivedere la propria posizione, motivando in base al conflitto di interessi tra l'industria del tabacco e la politica della sanità pubblica, come riconosciuto dal Framework Convention on Tobacco Control (FCTC) dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS o WHO, World Health Organisation), firmato anche dall'Unione Europea.
L'FTCT obbliga i governi a limitare le interazione con l'industria del tabacco assicurando nel contempo la massima trasparenza al pubblico.
Il rifiuto di rivelare documenti riguardanti le tattiche di approccio alle negoziazioni appare assurdo in considerazione del fatto che tali informazioni sono condivise con l'industria del tabacco, e tale circostanza risulta, quindi, una promozione degli interessi di tali compagnie nei negoziati in corso. Il disvelamento della documentazione richiesta, continua la mail del Corporate Europe Observatory, è, invece, essenziale per consentire all'opinione pubblica di valutare la natura della relazioni tra la DG Trade e l'industria del tabacco.
Anche la giustificazione della protezione della privacy degli individui appare illogica nel momento in cui sia i membri della Direzione che i lobbisti partecipanti agli incontri agiscono nel loro specifico ruolo e non certo come cittadini privati per i quali occorre una protezione della sfera individuale. L'opinione pubblica ha il diritto di sapere chi fa il lobbista e quali interessi difende.
Il 25 agosto la DG Trade risponde. Nella lettera la Direzione sostanzialmente conferma quanto precedentemente detto e rigetta le argomentazione del CEO. In particolare sostiene che, pur riconoscendo l'importanza della trasparenza nei confronti dei cittadini, l'interesse pubblico non pesa di più rispetto all'interesse alla protezione delle relazioni internazionali della Commissione e agli interessi commerciali delle aziende.
I quattro allegati (cioè i documenti mancanti al primo invio) sono oscurati al 95%. Nella sintesi dell'incontro con la Philip Morris anche la data dell'incontro è stata cancellata.
Nel pubblicare la notizia sul suo sito, Corporate Europe Observatory si dice profondamente preoccupata per la segretezza delle relazione tra la Commissione e l'industria del tabacco, e in generale sulle negoziazioni per i trattati commerciali.
Mai scoprire le proprie carte
Nella sua mail la Direzione cita una sentenza della Corte di Giustizia europea (caso C-350/12 del 3 luglio 2014). Avvalendosi del Regolamento 1049/2001, nel 2009 il parlamentare europeo Sophie in't Veld chiede alla Commissione Europea, impegnata in negoziati internazionali con gli Usa, l'accesso ad alcuni documenti. Tale richiesta viene ripetuta per altri documenti relativi ai negoziati di Seul. La DG Trade rifiuta l'accesso integrale in base all'art. 4 del Regolamento, concernente la tutela dell'interesse pubblico nelle relazioni internazionali, inviando alcuni documenti solo parzialmente leggibili.
Sophie in't Veld ricorre alla Corte dell'Unione Europea, nella composizione del Tribunale. Nel giudizio la Commissione europea sostiene che la divulgazione delle posizioni negoziali dell'Unione determina un pregiudizio alla tutela dell'interesse pubblico. Secondo la Commissione i negoziati internazionali sono basati sulla reciproca fiducia tra le parti, e i negoziati stessi sono retti da un accordo di riservatezza fino alla chiusura del negoziato. Ma, precisa la Commissione, non è l'accordo di riservatezza a determinate il rifiuto del disvelamento dei documenti, quanto la valutazione del pregiudizio che la pubblicazione degli atti potrebbe portare ai negoziati e in generale ai rapporti internazionali. La cooperazione internazionale pretende un reciproco rapporto di fiducia, in special modo quando si discute di interessi commerciali. Se le parti hanno motivo di credere che le posizioni espresse durante i negoziati possono essere rese pubbliche, ciò impedisce i negoziati stessi facendo venire meno il clima di reciproca fiducia.
La ricorrente Sophie in't Veld, invece, sostiene che la divulgazione ai cittadini delle posizioni negoziali dell'Unione non presenta alcun rischio per l'Unione trattandosi di documenti che sono già stati trasmessi alle altre parti negoziali. Aggiunge che la conoscenza delle posizioni dell'Unione è rilevante per i cittadini europei, i quali hanno il diritto di sapere i dettagli della discussione in corso. Insomma, i cittadini, quali futuri soggetti alle leggi che sorgeranno da quei negoziati, hanno tutto il diritto di controllare come procedono i negoziati, eventualmente partecipando al dibattito.
Il Tribunale europeo deposita la sua decisione nel marzo del 2013 (T-301/10) accogliendo alcune delle argomentazioni del parlamentare europeo e ampliando, anche se di poco, le parti visibili dei documenti. Nella sentenza il Tribunale richiama la posizione della Commissione, confermando che i negoziati segreti non pregiudicano in alcun modo il dibattito pubblico e quindi il controllo dei cittadini, in quanto tale controllo si può sviluppare una volta che l'accordo internazionale è già firmato, nel corso della procedura di ratifica. La segretezza, invece, è necessaria per proteggere la fiducia reciproca su cui si basano le relazioni internazionali.
Il Consiglio d'Europa impugna la decisione del tribunale, in relazione al parziale disvelamento della documentazione. La Corte europea però respinge l'impugnazione. La novità della sentenza sta nel sostenere che la Commissione deve spiegare esattamente come la divulgazione può concretamente danneggiare l'interesse pubblico.
Ma nella pratica la questione non cambia, l'accesso ai documenti è estremamente limitato. E in base alla motivazione di tale sentenza la DG Trade rifiuta l'accesso ad oltre il 95% della documentazione pertinente la richiesta FOI del Corporate Europe Observatory.
Al cittadino non far sapere...
Le decisioni citate riguardano accordi commerciali, e di conseguenze si applicano anche ai successivi accordi, come il TTIP, anche se il TTIP è qualcosa di più ampio, un accordo politico sulla cooperazione regolamentare. In ogni caso è soggetto alle medesime limitazioni riguardanti i negoziati europei e la trasparenza.
La posizione della Commissione europea in merito rimane la stessa, oggi come allora. Non si può permettere che l'avversario veda la tue carte, per questo rifiuta l'accesso a gran parte della documentazione inerente gli accordi negoziali, gli incontri e le valutazioni della Commissione stessa. In realtà l'argomentazione è fuorviante se consideriamo che gran parte dei documenti per i quali si chiede l'accesso è già stato portato a conoscenza delle altre parti (compreso le lobby dell'industria), e che comunque oggi è facile che le altre parti negoziali siano già a conoscenza delle posizioni altrui, grazie ai servizi di sicurezza (vedi NSA). Allora, che senso ha il rifiuto di pubblicazione di documenti se non solo quello di tenere al buio chi non ha partecipato agli incontri? E chi è che non ha partecipato agli incontri? I cittadini.
Altro argomento della Commissione è che è incaricata dai trattati dell'Unione a negoziare per conto dell'Unione stessa. Quindi, sostiene, ha il diritto di farlo come crede. Poi eventualmente il Parlamento ed il Consiglio avranno la possibilità di respingere gli accordi negoziati (come accaduto per ACTA).
È un argomento che non regge perché il Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (TFUE, art. 218.10) prevede che il Parlamento europeo sia immediatamente e pienamente informato di tutte le fasi della procedura. Abbiamo visto sopra in che modo la Commissione rispetta tale norma, anche se bisogna dire che in occasione del trattato TTIP la Commissione ha iniziato a condividere vari documenti, ma non tutti (sul TISA non è stato pubblicato nulla).
Per il TTIP, inoltre, sono state realizzate “camere di lettura” dove membri del Parlamento e del Consiglio possono accedere ai documenti in negoziazione, con il divieto di condividere le informazioni con persone esterne (non sono ammessi dispositivi elettronici nelle camere).
Il problema fondamentale è che tali restrizioni sono richieste generalmente dagli Usa. Ma la Commissione avrebbe potuto (dovuto?) bloccare i negoziati fino alla verifica di conformità di tali obblighi con il Trattato di Funzionamento dell'Unione europea.
Legiferare in segreto
La verità è che anche col TTIP si sta riproponendo il medesimo comportamento della Commissione che abbiamo osservato nelle negoziazioni dei precedenti trattati: muoversi nella più assoluta segretezza. Alcune aperture sulla trasparenza appaiono più che altro fumo negli occhi, operazioni cosmetiche per far digerire il trattato all'opinione pubblica.
Esempio eclatante è la consultazione sulle clausole ISDS (qui per capire di cosa si tratta), che si è conclusa con una massiccia partecipazione dell'opinione pubblica e suoi rappresentanti, che hanno sostanzialmente bocciato le suddette clausole, per il timore che un arbitrato possa stravolgere decisioni politiche democraticamente prese da un governo. E rispondere che tramite i tribunali arbitrali non è possibile ribaltare le decisioni democratiche non rassicura affatto se si considera che una multinazionale potrebbe comunque ottenere risarcimenti miliardari (fino al 2% del PIL) da un governo, al punto da costringere quel governo a preferire la rinuncia ad una certa politica.
Ebbene, gli oltre 150mila contributi alla consultazione non sono stati nemmeno considerati dalla Commissione, che ha ribaltato il tutto sostenendo che la consultazione non è mai stata sull'opportunità di introdurre le clausole ISDS, bensì sulla modalità di introduzione di dette clausole. Insomma, non “si o no all'ISDS?”, ma “come sarà l'ISDS che verrà?”.
Poiché il commercio, specialmente tra Usa e UE, è già “libero”, il TTIP non è e non può essere un trattato sul “libero commercio”, quanto piuttosto un campo di gioco per le grandi società dove potranno sbizzarrirsi a creare nuove regole da calare dall'alto sui cittadini. Nel TTIP si discute dell'organizzazione del lavoro, dell'industria del copyright e farmaceutica, del processo democratico stesso.
La Corte Europea non ha tenuto conto, nella sua decisione a giustificazione del rifiuto di ostensione della Commissione, che le aziende, le compagnie, l'industria, le multinazionali hanno accesso ai testi negoziali, partecipano agli incontri, e spesso riescono a condizionare gli stessi negoziati. L'assenza di un controllo democratico dei cittadini sul processo di conduzione dei negoziati, in tutto è per tutto parte del processo di creazione delle leggi europee, è un vulnus enorme.
Come è possibile sostenere che le decisioni dell'Unione sono prese nell'interesse di cittadini se questi sono tenuti all'oscuro di tutto il processo decisionale fino alla firma finale, quando il trattato viene presentato per la ratifica (senza possibilità di modifiche) al Parlamento?
E, sopratutto, come si raccorda tutto ciò con l'articolo 1 del trattato sull'Unione europea il quale prevede espressamente il diritto di tutti i cittadini a prendere parte in modo attivo e consapevole ai processi decisionali?
“Il presente trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di un'unione sempre più stretta tra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini”.