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Rocco Siffredi non è una vittima, e di sicuro non è vittima di una brutta intervista

22 Marzo 2024 5 min lettura

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Rocco Siffredi non è una vittima, e di sicuro non è vittima di una brutta intervista

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Se vivi abbastanza a lungo ti capiteranno parecchie cose incredibili, e io da oggi – come del resto un po’ tutti noi – posso dire di aver vissuto abbastanza a lungo da avere visto Michele Serra iniziare un articolo con la frase “Non ho consigli da dare a Rocco Siffredi”, e sì, lo so come finisce la frase, “se non nel settore che meglio conosco”, ma del resto quando Serra ha consegnato la sua Amaca anche a lui mancavano delle informazioni cruciali sul caso che andava ad affrontare, e che forse gli avrebbero risparmiato di scriverla. Il caso, riassumendo per sommi capi è questo: la giornalista Alisa Toaff ha denunciato Rocco Siffredi di averla bersagliata di messaggi osceni a valle di un’intervista. Toaff dice di aver denunciato Siffredi per molestie, e il 22 marzo – stesso giorno in cui su Repubblica è comparsa la rubrica di Serra - ha reso disponibili gli audio dei messaggi, che si presume siano già stati acquisiti dalle autorità. Se la denuncia avrà seguito e ci sarà un processo resta ancora da vedere, ma il fatto, per come è stato raccontato in prima persona dalla donna coinvolta, è documentato.

Ma qual era, insomma, il consiglio che Serra avrebbe voluto dare a Rocco Siffredi? Cito testualmente: “Domande scritte, risposte scritte: è la sola maniera per farsi intervistare senza incorrere in fraintendimenti ed equivoci. Non solamente se si è un divo del porno e a intervistarti è una donna. Parlo proprio in generale.” Il riferimento sembra essere alle circostanze da cui è scaturito l’incidente, e che dagli audio pubblicati da Toaff sembra essere legato a un non gradimento di Siffredi dell’intervista. Da cui prima gli insulti, poi i riferimenti sessuali espliciti. Nel suo articolo, Serra sembra suggerire che il tutto sarebbe stato evitabile se l’intervista fosse stata condotta in modalità no contact.

Un’intervista travisata, trascritta male e riportata peggio può capitare a chiunque: si segnala, se è online e sta circolando molto si chiede una rettifica, sperando che la richiesta non cada nel vuoto. A mia memoria, non ricordo di essermi mai sentita autorizzata a investire una persona che mi aveva intervistata con insulti sulla sua professionalità e allusioni a sfondo sessuale, né ho intenzione di farlo: penso di poter parlare per la maggior parte delle persone, quando dico che qui l’autotutela non c’entra nulla. Anche l’intervista peggiore della storia non merita la reazione che Toaff ha ricevuto, e che ha deciso di denunciare alle autorità. Ci sono modi per tutelarsi che non passano per suggerire a chi ti ha intervistato di incrementare la sua attività sessuale per diventare “normale”.

A leggerla e rileggerla, L’Amaca di Serra del 22 marzo suona sempre più surreale. Dal suggerimento di proteggersi concedendo solo interviste scritte si passa direttamente a postulare che tutti i problemi (vale a dire le dichiarazioni che si suppone fossero state travisate, e non i messaggi vocali che partono con apprezzamenti sulla fisicità della giornalista e virano poi su insulti e allusioni sessuali umilianti) abbiano la loro origine nella disponibilità a concedere interviste a persone che non si conoscono o la cui professionalità non è acclarata. L’insinuazione sulla presunta scarsa professionalità di Toaff – di cui Serra dice di non conoscere il nome – è evidente. “Può avere ragione o può avere torto” è un pronunciamento piuttosto spericolato, a meno che non si pensi che una che va a denunciare una molestia sessuale non sia in automatico una bugiarda, piuttosto che una persona che ha quello che manca a molte donne vittime di molestia, vale a dire i testimoni e le pezze d’appoggio. In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, Toaff dice, infatti, di essersi fatta accompagnare da un’amica.

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Non è difficile intravedere fra le righe di Michele Serra una certa simpatia per Rocco Siffredi, cosa tutto sommato comprensibile (anche se non condivisa da tutti, o perlomeno non da chi trova certi aneddoti personali narrati dall’attore piuttosto discutibili sul piano del consenso). La simpatia, però, non può essere la discriminante nel decidere d’ufficio che quando uno viene accusato in maniera credibile di molestie, il problema è che ha accettato di farsi intervistare dalla persona che avrebbe molestato. E qui il punto non è credere o meno all’accusa, cosa che in assenza di ulteriori elementi è una questione personale: è, piuttosto, decidere di usare il proprio spazio pubblico per dare all’intera faccenda un taglio che getta dubbi sul racconto di una donna e sposa senza questioni la versione di un uomo, nell’assoluta improbabilità che l’episodio si potesse verificare a parti invertite con le stesse identiche modalità.

Le molestie, gli apprezzamenti non richiesti, il rischio di trovarsi da sole con un predatore sessuale sono problemi che le donne devono affrontare nel quotidiano, non un incidente di percorso. Le giornaliste vengono molestate in redazione e fuori in percentuali scandalose (come ha stimato una ricerca del 2019 sul fenomeno), e anche le interviste possono essere una trappola. Incontrare un uomo celebre in un luogo non pubblico, casa sua o una stanza d’albergo, rappresenta un pericolo ben più concreto per una donna che per l’uomo in questione: se la cosa peggiore che ti può capitare quando incontri una donna da solo è di essere travisato, forse quello che ti manca è la percezione del privilegio di cui godi.

Quello che è successo ad Alisa Toaff, e che le è già costato parecchio in termini di sofferenza personale (dopo la denuncia, il nome di Toaff sarebbe stato rivelato in un post su Instagram da un altro collega: la rivelazione le avrebbe causato una raffica di insulti a mezzo social) è ora nelle mani della giustizia, che deciderà nel merito, pure nei limiti di una legislazione lacunosa e non del tutto in grado di tutelare le vittime. Al resto di noi rimane, come al solito, la sensazione di essere sempre considerate delle mezze mitomani, se non proprio delle mitomani intere: creature bugiarde di cui non è il caso di fidarsi, e che possono mettere in seria crisi la reputazione di un brav’uomo. Chissà perché è così difficile denunciare una molestia. Chissà.

(Immagine anteprima via YouTube)

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