Tra Russia e Unione Europea, l’Algeria dei militari che serve all’Italia per il gas
10 min lettura
È il 3 marzo e da una settimana è iniziata l’invasione russa dell’Ucraina. Ad Algeri, a circa mille chilometri da Roma - gli stessi che separano i confini italiani da quello ucraino - una sentenza definitiva attesa da più di tre anni condanna un giornalista a sei mesi di carcere per “minaccia all’integrità del territorio nazionale” e “istigazione a manifestazione non armata”. A finire dietro le sbarre è Khaled Drareni, rappresentante di Reporter Senza Frontiere (RSF) nel paese, corrispondente per il canale francese TV5 Monde e fondatore del portale Casbah Tribune. Drareni è conosciuto in Algeria e all’estero per la sua copertura della “primavera algerina”, quel movimento di protesta detto hirak - in arabo, appunto, movimento - che nel 2019 ha occupato le piazze portando alla caduta del presidente Abdelaziz Bouteflika e di un regime durato esattamente vent’anni.
#Algeria: il giornalista@khaleddrareni, in libertà provvisoria dal 19 febbraio 2021, è stato condannato a sei mesi di carcere con pena sospesa e a una multa di 50.000 dinari.
Nessun giornalista dovrebbe essere condannato solo per aver fatto il suo lavoro! pic.twitter.com/S31h2eLP1V— Amnesty Italia (@amnestyitalia) March 3, 2022
Amnesty International ha definito l’accanimento giudiziario nei confronti del giornalista “la conferma che in Algeria è in atto un pericoloso giro di vite nei confronti della libertà di stampa”. In questi anni, infatti, il volto di Khaled Drareni è diventato il simbolo della libertà d’espressione negata e della repressione di un movimento cittadino che ha provato a cambiare le sorti del paese. La sua storia è una delle poche ad aver oltrepassato i confini algerini ed esser stata raccontata dai media internazionali, anche in Italia. Purtroppo, però, il suo caso non fa eccezione: sono 333 i prigionieri d’opinione rinchiusi nelle carceri algerine secondo il Comitato per la liberazione dei detenuti, che aggiorna regolarmente il conto sulla sua pagina Facebook. Il loro portavoce, Zaki Hannache, è stato aggiunto alla lista il 21 febbraio.
🇩🇿#Algeria: @mbachelet urges the country “to guarantee its people’s rights to freedom of speech, association & peaceful assembly,” while noting an increase in arrests & detentions of human rights #defenders, #civil society members & political opponents: https://t.co/YD0FILrJFU pic.twitter.com/fy5IfLt6HO
— UN Human Rights (@UNHumanRights) March 8, 2022
Anche se la guerra in Ucraina sta catalizzando tutta l’attenzione mediatica, il contesto politico e sociale dell’Algeria è tutt’altro che marginale in questo momento storico. L’Europa, infatti, cerca soluzioni per ridurre la sua dipendenza dal gas russo e tenta la via della diversificazione delle forniture, tornando a trattare a sud del Mediterraneo. Proprio durante i giorni in cui l’Unione Europea stringeva la mano ai rappresentanti algerini per ottenere più gas, la società civile ha denunciato online una nuova escalation della repressione nei confronti delle voci critiche dell’attuale presidente della Repubblica Abdelmadjid Tebboune, eletto a fine dicembre 2019 e “maschera civile del potere militare, che esercita ancora una grande influenza nel paese”, riassume Moussaab Hammoudi, ricercatore sull’autoritarismo in Algeria all’EHESS di Parigi.
Cosa succede in Algeria, tra repressione e crisi
È con i ministri del contestato governo algerino che Luigi Di Maio, accompagnato dall’amministratore delegato di ENI, Claudio Descalzi, ha trattato durante la prima di una serie di visite destinate a garantire “la sicurezza energetica” del nostro paese. Per l’Italia, l’Algeria è il secondo paese d’importazione dopo la Russia, da cui proviene mediamente il 40% del nostro fabbisogno di gas (con picchi di circa il 45%), secondo i dati del Ministero dello Sviluppo Economico. Dall’Algeria, invece, dipende il 27% del fabbisogno italiano, l’11% di quello europeo. Percentuali destinate ad aumentare, visto che anche il premier spagnolo Pedro Sanchez ha recentemente chiesto aiuto all’Algeria, contribuendo così a complicare ulteriormente l’intricato percorso di import-export del gas nel Mediterraneo occidentale. Da quando Algeri e Rabat hanno rotto i rapporti diplomatici la scorsa estate, in Marocco non arriva più il gas algerino ma, al suo posto, proprio quello spagnolo.
Leggi anche >> Come cambia la strategia energetica dell’Italia con la guerra in Ucraina
Di fronte all’attuale emergenza del gas, i moniti delle organizzazioni per i diritti umani passano ancora una volta in secondo piano, e l’UE si ritrova ancora a trattare con Stati autoritari e repressivi (alcuni di questi anche politicamente vicini a Mosca) come l’Egitto, il Qatar, l’Azerbaigian o, appunto, l’Algeria. La classe politica e militare algerina che ha sfruttato le misure di contenimento della pandemia da COVID-19 per sottrarre ai manifestanti il loro unico potere negoziale - l’occupazione degli spazi pubblici - ne esce così legittimata e solida agli occhi della comunità internazionale che ha bisogno del suo gas. Tra le richieste dei manifestanti dell’hirak, c’era proprio quella di una maggiore redistribuzione della rendita ricavata da gas e petrolio, da cui dipende un terzo del PIL algerino. “La diminuzione del prezzo del petrolio degli ultimi anni ha messo alla prova le finanze pubbliche, obbligando il governo a prendere una serie di controverse misure tra il 2016 e il 2017, in primis un forte contenimento della spesa pubblica e un impopolare aumento della pressione fiscale”, scrive l’economista Clara Capelli per ISPI. Due anni più tardi, i cittadini scendevano in piazza non solo per opporsi a quel sistema che alcuni politologi algerini all’estero definiscono “autoritarismo elettorale”, ma anche a un modello economico che garantisce l’arricchimento di pochi sulle spalle della maggioranza della popolazione.
Il gas algerino basta per tutti?
In un’intervista a Il Sole 24 Ore, l’ambasciatore algerino a Roma Abdelkrim Touahria ha confermato che l’Italia potrà contare su più forniture di gas, evocando cifre ottimiste come “più di 30 miliardi di metri cubi già nei prossimi mesi”, allo stesso prezzo attuale. L’ambasciatore ha citato anche la firma di un possibile futuro accordo tra la compagnia di Stato algerina Sonatrach e l’italiana ENI per l’esplorazione del bacino di Berkine, nel sud-est del paese. Per arrivare in Italia, il gas algerino passerà dal gasdotto Transmed, gestito da Sonatrach ed ENI, che collega i due paesi passando per la Tunisia, altro paese totalmente dipendente dal gas algerino. Il Transmed è in grado di trasportare fino a 32 miliardi di metri cubi di gas all’anno verso l’Europa, quattro volte più della pipeline Medgaz tra Algeria e Spagna. Per ora l’Algeria ha esportato un massimo di 22 miliardi di metri cubi di gas tramite il Transmed, ha spiegato l’ex ministro dell’energia algerino Abdelmajid Attar all’Agence France Presse. Ci sarebbe quindi, sulla carta, un margine di aumento dell’export.
Incontro Min @luigidimaio con Presidente algerino, @TebbouneAmadjid. Focus su:
➡️rafforzamento collaborazione🇮🇹🇩🇿 in ambito economico ed energetico
➡️Ferma condanna aggressione a🇺🇦e centralità coordinamento con partner UE e internazionali
➡️Questioni regionali pic.twitter.com/tYgaJzoM09— Farnesina 🇮🇹 (@ItalyMFA) February 28, 2022
In un’intervista al quotidiano locale Liberté, però, il direttore generale di Sonatrach Toufik Hakkar ha ammesso che l’Algeria non sarà in grado di compensare da sola il calo dell’approvvigionamento di gas russo, non prima di aver soddisfatto la domanda nazionale e gli impegni contrattuali. Molti esperti stanno rimettendo in discussione la reale capacità del paese di aumentare notevolmente la sua produzione di gas. Secondo lo specialista del Nord Africa Jalel Harchaoui, “ciò che è interessante osservare a seguito di questi accordi bilaterali è che l’Algeria, in realtà, ha difficoltà a produrre gas”. Il ricercatore Moussaab Hammoudi fa notare che “anche valutazioni dell’Opep si basano sulle cifre fornite dalle stesse autorità algerine, che spesso risultano essere molto ottimiste”.
Circa la metà della produzione di gas del paese nordafricano viene attualmente utilizzato per il mercato domestico, spiega un’inchiesta del quotidiano Algérie Part, pubblicata all’indomani dell’intesa con l’Italia. “La produzione è stagnante dal 2019 e non progredisce a causa della diminuzione delle riserve esistenti e del costo elevatissimo degli investimenti necessari per sfruttare i giacimenti”, si legge. L’Algeria potrà quindi colmare il vuoto lasciato dalla Russia nell’UE solo in caso di investimenti infrastrutturali massicci e molto rapidi, quindi difficilmente immaginabili. A complicare le cose ci sono gli ostacoli di natura diplomatica: l’Algeria non scende a compromessi solo con i paesi membri dell’UE - per ora bilateralmente - ma anche e soprattutto con la Russia. Ecco perché la rivalità tra Bruxelles e Mosca si gioca anche a sud del Mediterraneo.
Ma l’Algeria è anche un alleato russo
Il 2 marzo, durante il voto della risoluzione ONU sull’invasione dell’Ucraina, l’Algeria si è astenuta. “Sul piano politico, non potendo permettersi una diplomazia internazionale attiva, Algeri sta cercando di mantenere una posizione di neutralità”, spiega ancora Moussaab Hammoudi. Ma sul piano economico, commerciale e militare, non ha mai rinunciato al proprio partenariato storico e pragmatico con Mosca, sempre più influente nel Maghreb e, più in generale, nel continente africano.
Un’alleanza consolidata anche nell’ambito delle energie fossili: a inizio febbraio, la compagnia russa Gazprom in collaborazione con l’algerina Sonatrach hanno annunciato l’avvio per il 2025 della produzione di gas in un giacimento nel sud dell’Algeria. Dopo il riconoscimento da parte di Donald Trump della sovranità marocchina sul Sahara Occidentale - l’ex colonia spagnola controllata dal Marocco dal 1975, la cui indipendenza è rivendicata dal Fronte Polisario, sostenuto proprio dall’Algeria - il Cremlino ha inoltre firmato l’ennesimo accordo militare con Algeri del valore di 7 miliardi di dollari l’estate scorsa. In questi due anni di pandemia da cui il paese nordafricano ha appena rialzato la testa, l’Algeria ha potuto contare sull’alleato russo (e su quello cinese) per far fronte alla crisi economica e sanitaria prima che sull’Europa, a partire dalle forniture di vaccini.
Ukraine-Russie : quels sont les pays africains les plus exposés à la flambée des cours du blé ?
👉Décryptage en cartographie et infographies à lire ici 👇 #UkraineRussie #Poutine #RussieAfrique https://t.co/U4Smrdo2kU pic.twitter.com/8iDHmbna6o— Jeune Afrique (@jeune_afrique) February 26, 2022
A due anni di profonda crisi economica, si aggiunge oggi il rischio di una crisi alimentare che potrebbe colpire in particolar modo il Nord Africa, dove le scorte di cereali di paesi come l’Egitto, la Tunisia o l’Algeria dipendono quasi interamente dalle importazioni di grano ucraino e russo, più conveniente rispetto a quello europeo o a quello prodotto localmente. In Algeria, scrive Jeune Afrique, il grano russo si è imposto sul mercato nel 2016, a seguito di un’annata di cattivi raccolti in Francia, paese esportatore verso l’Algeria. Anche quest’anno la raccolta in Algeria è andata male: 13 milioni di quintali al posto dei 39 milioni della stagione precedente. Chi risponderà, allora, alla crisi alimentare chi si prospetta nei prossimi mesi? Cercando un’alternativa alle importazioni francesi, Algeri tentava di riequilibrare la bilancia dei pagamenti con l’ex potenza coloniale che, accanto alla Russia, continua a mantenere relazioni economiche privilegiate con l’Algeria. A gennaio un comunicato dell’Ufficio interprofessionale algerino dei cereali (OIAC) annunciava la fine delle importazioni di cereali dalla Francia, ma ora l’OIAC potrebbe tornare ad autorizzarle.
La Francia, l’Unione Europea e l’uso politico del passato coloniale
L’UE sembra riunirsi di fronte alla minaccia russa. Lo farà anche a sud del Mediterraneo? Mentre l’Italia e la Spagna cercano di aggiudicarsi una parte del gas algerino, i rapporti politici con l’ex potenza coloniale non vanno a gonfie vele. Dopo mesi di tensione, a ottobre l’Algeria ha deciso di ritirare l’ambasciatore a Parigi. Al centro della (ricorrente) polemica, una serie di affermazioni ritenute offensive nei confronti delle autorità algerine, definite da Emmanuel Macron “un sistema politico-militare alla guida del paese” in un’intervista. Un’espressione giudicata inopportuna perché metterebbe in dubbio la legittimità della classe politica algerina. Il presidente è stato accusato di ingerenza nella politica interna dell’ex colonia, e la tensione è salita fino a sfociare nella chiusura dello spazio aereo francese ai voli militari dell’operazione Barkhane diretti in Sahel. L’ambasciatore algerino è tornato a Parigi a gennaio, ma la querelle tra l’Algeria e la Francia attorno all’elaborazione di una memoria comune del periodo coloniale continua. Il presidente francese ha recentemente deciso di riaprire questo spinoso dossier tabù in occasione sessant’anni dall’indipendenza del paese nordafricano nel 1962, desecretando gli archivi.
Una buona notizia, se non fosse che - in un rischioso gioco da equilibrista - da un lato Macron ha riconosciuto l’esistenza di alcuni dei crimini francesi compiuti in Algeria, ma dall’altro ha chiesto il riconoscimento di quelli perpetrati nei confronti dei pieds-noirs, i cosiddetti francesi d’Algeria poi rimpatriati dopo l’indipendenza. “In vista delle elezioni, il presidente candidato fa l’occhiolino all’elettorato di destra, che ancora sfrutta politicamente la questione dei pieds-noirs. In Francia, il dibattito sui rapporti passati tra Francia e Algeria è un nodo mai sciolto. Una questione di politica interna, non solo di politica estera”, spiega ancora Jalel Harchaoui.
Un discorso che vale anche dall’altro lato del Mediterraneo: il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), partito unico fino al 1990 ancora oggi estremamente influente in Algeria, occupa il monopolio dello spazio pubblico e politico traendo la sua legittimità proprio dal ruolo centrale giocato durante la guerra per l’indipendenza. Sessant’anni più tardi, il giovane movimento di protesta dell’hirak ha puntato il dito proprio contro questo partito-sistema e i suoi leader, ancora oggi ai vertici dello Stato, accusati di impedire un reale dibattito democratico e di alimentare un sistema clientelare insostenibile (anche grazie alla rendita di petrolio e gas). L’elaborazione di una memoria collettiva - o meglio la “difficile riconciliazione di due memorie” - come l’ha definita il quotidiano Le Monde, non è quindi secondaria: si tratta ancora oggi una questione di attualità.
Questo è particolarmente vero in vista delle elezioni presidenziali di aprile 2022. L’inclusione sociale ed economica dei discendenti maghrebini dell’ondata migratoria postcoloniale, quindi l’accettazione di un’identità francese plurale, fanno parte delle questioni che più agitano la società d’oltralpe, specialmente alla luce dell’emergenza di candidati di estrema destra come il polemista Eric Zemmour, tra l’11% e il 15% nei sondaggi più recenti. Zemmour, lui stesso di origine ebreo-algerina, chiede l'annullamento degli accordi del 1968 sul diritto alla circolazione e al soggiorno dei cittadini algerini in Francia, che costituirebbe una provocazione ben più grave della citazione di Macron già all’origine di una crisi diplomatica.
La campagna elettorale francese e soprattutto l’esito delle elezioni potranno influire ulteriormente sui rapporti UE-Algeria, proprio mentre le importazioni di gas nordafricano diventeranno fondamentali, anche se inferiori alle previsioni. Con l’invasione della Russia alle porte dell’Europa, Algeri si ritrova comunque in posizione di influenza al tavolo dei negoziati. Potrebbe sfruttare questo momento favorevole per avanzare sul dossier del riconoscimento del Sahara Occidentale, anche se il ricercatore Moussaab Hammoudi è meno ottimista: il paese deve prima provare di essere in grado di esportare il gas promesso.
Immagine in anteprima via Facebook