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L’importanza dell’alfabetizzazione digitale sin dall’infanzia e il ruolo dei genitori

9 Gennaio 2024 9 min lettura

L’importanza dell’alfabetizzazione digitale sin dall’infanzia e il ruolo dei genitori

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Mentre parte dei media coccola i rinomati esperti pubblici che ancora si affannano a spargere allarmi generalizzati sull'uso dei dispositivi digitali nei più giovani, l'alfabetizzazione digitale va avanti fin dall'infanzia, con modalità strettamente dipendenti dal contesto in cui sia capitato di nascere e quindi con estreme disuguaglianze.

Il conservatorismo della visione apocalittica dei dispositivi digitali, sebbene ingaggi gran parte del pubblico e rassicuri illusoriamente alcune famiglie sul fatto che la causa di problemi e conflitti stia altrove, è responsabile di rallentare e confondere l'acquisizione delle competenze digitali di base e della consapevolezza d'uso degli strumenti.

Se fin dall’infanzia si ha la fortuna di capitare in una scuola arricchita di strumenti e progetti digitali, il processo di alfabetizzazione prosegue senza subire la pressione sociale che altrimenti porta a celare le proprie attività digitali o a sentirsi in colpa per integrarle nella vita quotidiana. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, l’alfabetizzazione digitale avviene per autoformazione. Le opportunità di autoformazione si basano a loro volta sull’accesso ai dispositivi digitali che è condizionato dal genere, dallo stato socioeconomico della famiglia di appartenenza e dalla rete sociale con cui si condividono esperienze scolastiche ed extra-scolastiche. Nei primi anni di vita di un infante, i primi approcci con i dispositivi digitali avvengono nel contesto famigliare e dipendono dal sistema di norme più o meno esplicite attorno al quale una famiglia si organizza. Dal trovarsi in famiglie più restrittive o più permissive dipenderà l’estensione e la qualità delle esperienze digitali precoci.

Quando vogliono usare il tablet e altri dispositivi devono chiederceli perché li teniamo in posti inaccessibili [ridendo]

(Italia Famiglia 2, Madre)

Non abbiamo regole rigide su chi usa la tecnologia e come. Sarebbe difficile seguirle…, le regole… non vale la pena porle perché saremmo noi stessi schiavi

(Repubblica Ceca, Famiglia 8)

Quelle sopra citate sono due delle risposte ottenute da Chaudron e collaboratori (2018) in uno studio condotto in sette paesi, tra i quali l’Italia, per esaminare le pratiche digitali di bambini con meno di otto anni nel contesto famigliare. Le interviste a 70 famiglie, coinvolgendo genitori e figli/figlie, hanno permesso di evidenziare che i genitori tendono a ricorrere a un limitato repertorio di strategie rispetto a quanto avviene quando bambini e bambine diventano più grandi.

In generale, all’interno di una famiglia, i dispositivi digitali sono utilizzati per ridurre lo stress genitoriale, per ridurre i conflitti tra fratelli e sorelle e per tenere occupati i propri figli e figlie. La tendenza è prevalentemente quella di restringerne l’uso o di sfruttare i dispositivi come ricompensa e punizione, piuttosto che incoraggiare l’integrazione tra attività digitali e non digitali.

Per arrivare all’idea di un uso integrato c’è ancora molto da fare in educazione digitale alle famiglie.

Il gruppo di ricerca coordinato da Chaudron ha evidenziato che maggiori sono le preoccupazioni genitoriali percepite, più l’ansia è elevata e più restrittive saranno le regole. Le preoccupazioni eccessive derivano da fattori individuali come le scarse conoscenze su come rendere sicuro l’ambiente online e da fattori contestuali come la diffusa ansia collettiva.

I genitori mostrano anche una limitata consapevolezza di essere modelli di ruolo col loro stesso comportamento. Soprattutto nei primi anni, e prima che le influenze dei coetanei diventino rilevanti, il tipo di interazione delle madri e dei padri con i propri dispositivi digitali modella quello che sarà il comportamento dell’infante e le abitudini mantenute nella fanciullezza e nella pre-adolescenza. La minore consapevolezza di questo ruolo, assieme alle insufficienti competenze digitali, restringe lo spazio di una mediazione da parte dei genitori che tenda in modo virtuoso e critico a integrare strumenti ed esperienze nella vita quotidiana piuttosto che a impedirne l’uso. Quest’ultima strategia, che tiene i dispositivi fuori portata, è finalizzata a ridurre l’ansia genitoriale evitando o rinviando ogni decisione.

Lo spostamento nel tempo del problema è un’altra caratteristica dei genitori di infanti alle prese con i primi passi nel mondo digitale. Difatti, le madri e i padri tendono anche a spostare verso un futuro immaginario le preoccupazioni sui rischi attuali per i propri figli e figlie e sullo stabilirsi di abitudini rispetto all’uso dei dispositivi, credendo sia troppo presto perché possano accedere a contenuti inappropriati online. Contrariamente a queste proiezioni, bambini e bambine in tenere età accedono in modo indipendente a diversi contenuti digitali e scaricano app e giochi.

Sono molto birbone con [la] Nintendo...cerco sempre di prendere [la] Nintendo all'ora di merenda, a volte provo a infilarla di nascosto sotto il tavolo.

(Regno Unito, Famiglia 2, bambino di 5 anni)

Questa è una tra le risposte fornite da uno dei bambini intervistati da Chaudron e collaboratori nello studio sopra citato. Se si osservano le pratiche digitali dalla prospettiva dei bambini e delle bambine, si constata come riescano a eludere i divieti o ad approfittare al massimo del tempo loro concesso sugli schermi, ad esempio per accedere a nuovi giochi e nuove app. Inoltre, ogni parente o conoscente in più con cui il bambino entra in contatto più o meno quotidianamente per un tempo sufficiente può in qualche modo agevolare l’accesso a un dispositivo.

Per tutte queste dinamiche, la promozione pubblica di divieti d’uso in base all’età è una strategia comunicativa che riesce a rassicurare tanti genitori ma non sortisce alcun effetto sulle pratiche di alfabetizzazione digitale non viste che continuano a essere messe in atto.

Proprio attraverso l’osservazione delle pratiche digitali di un bambino di 5 anni, la ricercatrice statunitense Laura Teichert ha rintracciato ulteriori prove sul fatto che i bambini ripropongono segni e simboli delle loro comunità, espandono le azioni di conoscenza e continuano a intrattenersi nel gioco digitale anche senza dispositivo.

Si tratta di quelle che sono state identificate come esperienze di:

  • Alfabetizzazione digitale come pratica sociale, che riguarda le competenze che si acquisiscono interagendo con altri membri della propria comunità e utilizzando dispositivi digitali disponibili, con una videochiamata alla nonna, ad esempio;
  • Alfabetizzazione digitale emergente, che si riferisce ai comportamenti digitali che, ad esempio, si sviluppano dalle pratiche di lettura di materiali non stampati in cui, maneggiando il tablet fin dall’infanzia si impara che le azioni di toccare, pizzicare e allargare con le dita su uno schermo si associano all’attivazione di icone e all’espansione del testo;
  • Alfabetizzazioni digitali nascoste, che comprendono tutte le pratiche che passano inosservate o sottovalutate dalla comunità sociale e culturale (ad esempio, a casa, a scuola) ma che sono valide e appropriate nonostante siano difficili da identificare.

In effetti, nell’ampia letteratura sul gioco digitale dominata dalle conseguenze negative del tempo di esposizione, quella che manca è una prospettiva centrata sui bambini ossia su come si strutturano le esperienze di gioco, su come i bambini iniziano, organizzano e regolano il gioco nello spazio digitale e come lo esportano e continuano nello spazio non digitale estendendolo ad attività non esclusivamente correlate al gioco, come il disegno, l’immaginazione e il ragionamento logico.

È sufficiente osservare i disegni spontanei dall’età prescolare in poi per rintracciare di frequente gli elementi, i livelli e la narrazione di un videogioco.

Ne consegue che, se ancora ci si ferma a considerare l’esperienza digitale esclusivamente in termini di tempi di esposizione agli schermi, si accetta di limitarsi a osservare solo in superficie fenomeni complessi e in evoluzione.

Difatti, il tempo di esposizione rappresenta ormai un concetto vuoto, insufficiente per esplorare le esperienze con i dispositivi digitali che si differenziano in base al tipo di fruizione (film, cartoni animati, video, videogiochi, chat, ecc.), al dispositivo (tablet, smartphone, console, pc, TV), al contenuto (educativo, ricreativo, comunicativo), al contesto (con-visione con adulto o bambino/a, gioco, visione individuale, visione di gruppo), al luogo (a casa, a scuola, in biblioteca, in un centro ricreativo). Inoltre, il tempo stimato trascorso davanti a uno schermo è il parametro più utilizzato nelle ricerche in questo ambito ma è viziato dal fatto che in questo tipo di auto percezioni tendiamo a cadere in errori di sovrastima o di sottostima.

Proprio il fatto di considerare tutti gli schermi come equivalenti, di affidarsi al tempo di esposizione auto riferito in assenza di dati telemetrici oggettivi e di basarsi sulla co-occorrenza di fenomeni estrapolati dal contesto (ad esempio, associare videogioco e aggressività alludendo a un inesistente rapporto di causa effetto), costituiscono i problemi sostanziali della maggior parte della ricerca scientifica meno rigorosa finora prodotta sul tema.

Le stesse raccomandazioni che vengono di volta in volta pubblicate, ad esempio dalle associazioni di Pediatri di diversi paesi, si basano proprio su studi che non raggiungono sufficienti livelli di affidabilità e riproducibilità. Pur essendo delle indicazioni rivolte ad aiutare le famiglie nella gestione dei dispositivi e pur portando con sé la preziosa informazione che l’esposizione passiva non ha benefici neuroevolutivi, nell’incardinarsi su divieti arbitrari a 2, 3, 9 o più anni esse mostrano una spinta più ideologica che scientifica.

Se è dimostrato che l’esposizione passiva a contenuti educativi durante l’infanzia non abbia particolari benefici per la crescita, è altrettanto provato che l’interazione con i dispositivi digitali non determina un rallentamento osservabile del neurosviluppo né l’insorgenza di problematiche motorie, cognitive e sociali nelle età successive.

Miller e collaboratori hanno recentemente pubblicato uno studio in cui hanno esaminato i dati di oltre 10.000 pre-adolescenti di 9-12 anni nell’ambito di un’ampia ricerca statunitense (Adolescent Brain Cognitive Development), e non hanno trovato alcuna relazione significativa tra l'uso degli schermi e le misure cognitive e di salute mentale. Attraverso sofisticate analisi statistiche, il gruppo di ricerca ha dimostrato che non c’è una relazione significativa tra l’esposizione agli schermi e uno sviluppo neurologico disadattivo in linea trasversale o nel tempo. Questo risultato è stato ottenuto anche nell’analisi della relazione tra uso dei social media e neurosviluppo. Gli autori concludono che i risultati ottenuti non supportano le politiche incentrate sull’idea che limitare il tempo trascorso davanti agli schermi in generale o sui social media in particolare potrebbe proteggere lo sviluppo neurocognitivo in una popolazione di preadolescenti.

Questo non significa negare la possibilità di effetti negativi ma che questi devono essere studiati in gruppi specifici di diverse età che sono esposti al rischio di problematiche cognitive e comportamentali per una complessità di fattori. Identificare le caratteristiche di chi può avere conseguenze negative dall’uso dei dispositivi digitali è la sfida della ricerca scientifica attuale.

Quello che finora sappiamo è che subito dopo la nascita, bambine e bambini sperimentano e utilizzano un’ampia varietà di strumenti tecnologici e imparano a ricavare e produrre significati in base alle pratiche culturali e alle barriere esistenti nel luogo principale di interazione che di solito è la casa. In quello stesso luogo iniziano a interagire con i dispositivi digitali attraverso la mediazione più o meno consapevole degli altri membri del nucleo famigliare e anche in base ai bisogni e alle risorse disponibili derivanti da un determinato stato socio economico. L’inserimento al nido e poi alla scuola dell’infanzia offrono ulteriori spazi di vita in cui le interazioni digitali possono essere sospese o rinforzate in relazione alle pratiche didattiche e alle barriere che caratterizzano l’istituto. L’ampia disparità nelle prime pratiche digitali non può che incidere in modo diseguale sulle abitudini e sulle regole che vengono interiorizzate oltre che sulle opportunità di sviluppare competenze multimodali.

La resistenza culturale a valorizzare l’alfabetizzazione e le pratiche digitali emergenti fin dai primi anni di vita consegue a una serie di barriere derivanti dalle credenze e dagli atteggiamenti individuali e anche da limiti nell’accessibilità e nella formazione (di genitori e di insegnanti) oltre che dalla carenza di infrastrutture.

Solo superando tale resistenza culturale e incentivando gli studi ecologici a casa e nei contesti educativi si potranno raggiungere maggiori conoscenze sullo sviluppo delle pratiche digitali nella prima infanzia e si potranno identificare le modalità lungo le quali esse supportano l’apprendimento. Ma è garantendo le condizioni strutturali e formative per l’alfabetizzazione digitale fin dall’asilo nido che le disuguaglianze già esistenti in altri ambiti della vita di bambini e bambine potranno essere ridotte.

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"Lo sviluppo delle tecnologie digitali e delle reti telematiche sta producendo un cambiamento rilevante nei modi di apprendere, comunicare, costruire conoscenza e identità. Tra la scuola che tende a confinare le tecnologie mediate dal computer in laboratori specialistici, a insegnare prevalentemente la tecnica informatica e a separare tecnologia e senso dell’umanità, e l’extrascuola che propone una dimensione solo ludica e relazionale delle tecnologie, dobbiamo pensare un luogo di riflessione metacognitiva, costruttiva, creativa sulle potenzialità di questi strumenti. Far scoprire ai bambini che quello con gli strumenti digitali è un dialogo in cui è necessario che l’intelligenza dell’essere umano incontri l’intelligenza dello strumento. Un dialogo in cui le due intelligenze si danno reciprocamente forma, co-evolvono, e in cui le regole del gioco devono essere in mano a entrambi i giocatori." (Sconfinamenti, Paola Cagliari)

Immagine in anteprima via flickr.com

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