Sanità in crisi, aggressioni ai medici e le misure del governo che non risolvono il problema
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A settembre 2024, al Policlinico Riuniti di Foggia a distanza di pochi giorni un ragazzo si è presentato in pronto soccorso in uno stato d’ansia e ha tirato calci e pugni contro tre infermieri; il figlio di un paziente in attesa al pronto soccorso ha aggredito fisicamente due infermieri e un vigilante; la famiglia di una donna morta in sala operatoria ha fatto irruzione in reparto e assalito medici e personale sanitario.
A novembre, al pronto soccorso dell’ospedale Santissima Trinità di Borgomanero, in provincia di Novara, una persona in stato di alterazione ha aggredito medici e infermieri. E sempre a novembre, al pronto soccorso dell’ospedale di Lamezia Terme un primario è stato colpito alla spalla con un manganello dal nipote di una paziente.
Questi sono solo alcuni dei tanti casi di violenze e aggressioni gravi nei confronti del personale medico e sociosanitario avvenuti negli ultimi mesi. Il fenomeno delle aggressioni però non è una novità e chi lavora sul campo lo definisce come un problema sempre più urgente.
Di cosa parliamo in questo articolo
Le aggressioni contro il personale sanitario
Secondo il monitoraggio effettuato dall’Osservatorio Nazionale sulla Sicurezza degli Esercenti le Professioni Sanitarie e socio-sanitarie (ONSEPS), istituito nel 2020, nel 2023 sono state segnalate oltre 16mila aggressioni nelle quali sono stati coinvolti circa 18mila operatori. Di queste, due terzi hanno riguardato donne, il 68% sono state di tipo verbale e la categoria più colpita è stata quella degli infermieri. Il maggior numero dei casi sono verificati al pronto soccorso, in area degenza e presso i servizi psichiatrici.
Per quanto rappresenti uno strumento importante e anche innovativo, grazie ad esempio alla scelta di includere le violenze verbali e non solo quelle fisiche, il monitoraggio dell’ONSEPS presenta comunque delle limitazioni: tra queste, la mancanza di alcuni dati regionali e il fatto che, trattandosi di segnalazioni su base volontaria, non è detto che siano state registrate tutte le aggressioni avvenute lo scorso anno. Non solo il numero in sé, ma anche il confronto rispetto agli anni precedenti è poi molto importante. Già un’indagine condotta dall’associazione di medici e dirigenti sanitari (ANAAO Assomed) nel 2020 rilevava ad esempio un aumento delle segnalazioni rispetto al 2018, mentre i dati raccolti dall’INAIL hanno registrato un incremento del 14% tra il 2021 e il 2022 degli infortuni sul lavoro in seguito a violenze, aggressioni e minacce.
Nella sola provincia di Firenze, invece, tra il 2020 e il 2023 le aggressioni sarebbero aumentate del 30%. In Veneto si è passati dalle 663 segnalazioni del 2021 alle oltre 2mila del 2023, e nel 2024 c’è il rischio che vengano superati i 2500 casi. Sono tutti report parziali: INAIL ad esempio non include i medici generici e i liberi professionisti, mentre l’indagine di ANAAO Assomed ha coinvolto poco più di 2mila soggetti da 19 regioni, mentre i dati della provincia di Firenze e del Veneto sono limitati ai territori di competenza.
In ogni caso, però, sono analisi che offrono spunti utili per inquadrare il fenomeno della violenza nei confronti del personale medico e sociosanitario, che non incide solo sulla salute fisica e mentale dello staff ma anche sulla qualità del servizio che medici, infermieri e operatori riescono a offrire in condizioni di disagio e vulnerabilità.
Le cause di questo fenomeno sono numerose così come i fattori di rischio. Secondo INAIL, riguardano l’organizzazione e l’erogazione dei servizi, i tempi di attesa, il contesto sociale ed economico, la tipologia di utenza e struttura e le condizioni di lavoro in solitaria.
Per il Segretario nazionale di ANAOO Assomed Pierino Di Silverio, la violenza crescente è dovuta principalmente a “un sistema sanitario ormai in stato terminale”, di cui medici, infermieri e personale costituiscono “un capro espiatorio a portata di mano”.
“Decenni di disinvestimenti, assenza di programmazione, destrutturazione della professionalità, disinteresse crescente della politica in tutt’altre faccende affaccendata, hanno contribuito al dissolvimento di un servizio sanitario pubblico che si fa fatica a immaginare ancora fruibile in un prossimo futuro”, ha scritto Di Silverio.
Per questa ragione, “la rabbia della gente, che attende ore in sala di attesa per una visita o giorni in accampamenti improvvisati per un posto letto, accentuata dallo stato di malattia che, più o meno grave, produce comunque effetti devastanti sull’equilibrio psichico, non potrà certo essere governata da misure esclusivamente deterrenti o punitive”. Piuttosto, “occorre prendere atto che il rapporto medico-paziente, e lo stesso principio di umanizzazione delle cure, si sono smarriti nei meandri di una crisi di sistema fatta di carenze, di personale e posti letto, di investimenti e attenzione della politica”.
La legge contro le aggressioni
Il governo intanto ha scelto di affrontare il problema della violenza con un decreto legge, convertito poi in legge a novembre 2024, che permette l’arresto di chi commette violenza nei confronti dei professionisti sanitari e danneggia beni destinati all’assistenza sanitaria. La legge prevede che chiunque all’interno di una struttura sanitaria agisca violenza o minacci un membro del personale sanitario o danneggi o distrugga materiali e beni mobili o immobili è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con una multa fino a 10 mila euro.
L’arresto può avvenire anche in flagranza differita, e cioè entro 48 ore dal fatto e nel caso in cui è possibile dimostrare l’aggressione attraverso documentazione specifica (ad esempio video e foto). Associazioni e sindacati hanno accolto in maniera positiva questa nuova legge, ma ciò su cui molte premono è che non è sufficiente.
“Questo provvedimento, necessario e da tempo atteso, rappresenta un passo importante, ma deve essere visto come un punto di partenza, una risposta all’emergenza e non una soluzione definitiva”, ha detto a Valigia Blu Teresa Calandra, Presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Tecnici Sanitari di Radiologia Medica e delle Professioni Sanitarie Tecniche, della Riabilitazione e della Prevenzione (FNO TSRM e PSTRP).
Per Calandra, infatti, “la questione della violenza contro il personale sanitario è complessa e non può essere affrontata unicamente attraverso misure punitive, per quanto indispensabili. L’introduzione di sanzioni più severe rappresenta senza dubbio un passo significativo, poiché riconosce la gravità del fenomeno e invia un messaggio chiaro a chi crede di poter agire impunemente contro chi lavora per il bene della collettività. Tuttavia, è cruciale promuovere un cambiamento culturale profondo”.
Il contrasto alle aggressioni contro medici e infermieri negli anni
Non è la prima volta che si interviene però per provare a contrastare le aggressioni nei confronti di medici e personale sanitario. Beatrice Fragasso, assegnista di ricerca in diritto penale e docente universitaria, ha spiegato a Valigia Blu:
Dal 2020 ci sono stati tre interventi: una legge ordinaria nel 2020 e due decreti legge nel 2023 e nel 2024. In tutti e tre i casi si è provato a rispondere in modo repressivo: nel 2020 è stata introdotta un’aggravante per il caso di lesioni gravi e gravissime commesse ai danni del personale sanitario e sociosanitario, nonché un’aggravante generica per i delitti commessi, nei confronti dei medesimi soggetti, con violenza o minaccia; nel 2023 si è intervenuto anche su lesioni personali semplici, mentre l’ultimo decreto legge poi convertito in legge ha introdotto un’ipotesi di danneggiamento per i beni all’interno o nelle pertinenze di strutture sanitarie, nonché la possibilità di procedere all’arresto in flagranza differita.
Nonostante un approccio simile, ci sono state delle differenze negli obiettivi: “Nel caso della legge del 2020 almeno nelle ambizioni c’era anche un obiettivo di tipo preventivo”, dice Fragasso che cita l’istituzione dell’ONSEPS per monitorare le aggressioni, la promozione di percorsi di formazione e l’introduzione della Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e sociosanitari.
Il problema di questi interventi però, commenta l’esperta, “è che vanno a rispondere a esigenze di allarme sociale, quindi spesso non sono troppo ponderati anche dal punto di vista redazionale”. C’è poi il tema della mancanza di investimenti: “Tutte queste leggi che abbiamo citato, ma non solo, presentano la clausola di invarianza finanziaria, per cui gli interventi proposti non possono prevedere risorse finanziarie aggiuntive”, necessarie invece se si vuole realizzare interventi strutturali e quelle azioni di prevenzione previste ad esempio dalla legge del 2020.
Infine, spiega Fragasso, bisogna tenere conto della modalità con cui queste leggi vengono fatte: “Già nelle scorse legislature, il decreto legge in materia penale è stato ampiamente utilizzato e questo è legato anche allo svuotamento del ruolo del parlamento contro un ruolo sempre maggiore del governo”.
Se infatti in Italia è il Parlamento a detenere il potere legislativo, il decreto legge è uno strumento che permette anche al governo di esercitarlo. Questo ampio utilizzo però rappresenta “un problema di tipo costituzionale e politico, poiché l’intervento in materia penale può determinare una limitazione della libertà personale dei cittadini e, di conseguenza, necessiterebbe di un dibattito parlamentare più ampio di quello consentito dal procedimento di conversione dei decreti legge, che spesso è contingentato anche in forza dell’apposizione della questione di fiducia”. Inoltre, spiega l’esperta, “l’obiettivo principale del diritto penale dovrebbe essere quello di deterrenza, ma interviene alla fine, non aggredisce le cause profonde della criminalità”. Intanto però viene usato “come strumento di ricerca del consenso: permette di occupare le prime pagine dei giornali, fornisce una rassicurazione rispetto a un clima di incertezza e di insicurezza percepito o anche esistente, come nel caso dei medici che si trovano a dover gestire delle situazioni di vulnerabilità e disagio, e offre una percezione di sicurezza all’opinione pubblica, ma non dà una risposta strutturale”.
Le proposte oltre la pena
Anche secondo Marina Tarsitano, dirigente sanitaria all’ospedale Cardarelli di Napoli e Responsabile Dirigenza Sanitaria Campania Anaao Assomed, la legge approvata dal governo non risponde in maniera strutturale al problema delle aggressioni contro il personale medico e sociosanitario: “La pena dovrebbe essere l’ultima cosa, bisogna cercare di intervenire con azioni che prevengano questi atti”, ha detto la dottoressa a Valigia Blu. Per quanto “non giustificabili”, commenta infatti Tarsitano, “se alcune persone vengono poste in condizioni di stress, queste forme di violenza possono accadere e finora non si è fatto nulla per evitarle. Da parte del governo non c’è stato nessun intervento per quanto riguarda la prevenzione”.
Secondo Tarsitano, invece, introdurre “drappelli di polizia e telecamere” e intervenire sull’organizzazione della sanità su più livelli potrebbero rappresentare delle soluzioni. Soprattutto dal punto di vista organizzativo, “ci sono molte cose che devono essere migliorate”. Al momento dell’accoglienza, ad esempio, “sarebbe necessario avere una figura che accolga il paziente e chi lo accompagna, e che tenga informate queste persone nell’attesa”.
Per quanto riguarda il personale, invece, la referente sindacale sottolinea il problema della carenza dello staff: “Assumere del personale può accelerare quei tempi di attesa che generano stress nei pazienti”. Infine c’è un problema di smantellamento della medicina del territorio: “Molto spesso un paziente arriva in ospedale perché non ha ricevuto risposte sul territorio; qui spera di poter fare magari una TAC, ma si accorge di dover aspettare 15-16 ore, durante le quali nessuno dice niente; o nessuno dice niente sui familiari che sono entrati per farsi visitare. La violenza non è mai giustificata, ma bisogna anche capire le cause da cui nasce perché è lì che va posto un rimedio”.
Anche la presidente della Federazione Nazionale TSRM e PSTRP Calandra considera “fondamentale investire in una strategia più ampia”, che per lei vuol dire concentrarsi soprattutto sull’aspetto culturale e preventivo: “È indispensabile puntare sulla prevenzione, attraverso campagne di sensibilizzazione che partano dalle scuole, con l’obiettivo di promuovere un senso civico sin dai primi anni di vita e favorire il rispetto verso il lavoro degli operatori sanitari”.
A ciò Calandra aggiunge “la necessità di un cambiamento strutturale che favorisca un clima lavorativo più sereno e ritmi meno pressanti, adeguando i percorsi assistenziali e, soprattutto, potenziando le risorse umane e valorizzandone il contributo. Infine riteniamo essenziale investire nella formazione del personale sanitario, dotandolo di competenze specifiche per gestire efficacemente le relazioni e affrontare situazioni di crisi”.
Lo sciopero del 20 novembre
Delle aggressioni e del modo in cui vengono affrontate dal governo si è discusso anche durante la manifestazione che si è tenuta a Roma il 20 novembre, in occasione dello sciopero di 24 ore indetto dai sindacati dei medici Anaao Assomed e Cimo-Fesmed e quello della categoria infermieristica Nursing Up. “È stato sottolineato proprio come” questa legge “sembri un contentino”, ha detto Tarsitano. Tra le varie ragioni dello sciopero, vi sono gli scarsi investimenti in sanità previsti nella legge di bilancio, l’assenza di un piano per le assunzioni e i mancati aumenti di stipendio. L’Italia ha speso meno della media OCSE in sanità e non ha adeguato gli stipendi all’inflazione e, come spiegano i medici che hanno aderito allo sciopero, non si sta facendo nulla per cambiare la situazione di crisi in cui si trova oggi la sanità pubblica.
“Il principale messaggio”, ha detto Tarsitano, “è stato quello di difendere la sanità pubblica che si sta sgretolando a vantaggio della sanità privata. Oltre al problema del personale, gli ospedali pubblici sono fatiscenti, le strutture sono vetuste, le migliori strumentazioni sono nelle cliniche private mentre nel pubblico nessuno si è preoccupato di fare un calcolo delle necessità”, ha detto la referente sindacale. “È vero, la giornata dello sciopero ha costituito un disagio per l’utenza, perché i pazienti avranno trovato alcuni ambulatori chiusi e avranno dovuto rimandare ancora delle visite. Il problema però è che se non si risolve la situazione attuale, questo disagio andrà oltre la giornata dello sciopero e verrà percepito sempre. Scendere in piazza è l’unico modo per farci sentire. Non siamo dei fantasmi, non siamo quei famosi eroi di cui tanto si è parlato, esistiamo e nella realtà poi siamo soli”.
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