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Il giornalista aggredito, una “guerra” di mafia e il silenzio di media e politica

1 Agosto 2017 4 min lettura

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Il giornalista aggredito, una “guerra” di mafia e il silenzio di media e politica

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Afferrato da dietro e, con calci e un pugno, spintonato contro il muro, dove l'aggressore gli ha sbattuto la testa. «Mi è andata bene, un trauma contusivo facciale, un poco di sangue, spavento tanto e qualche ora al pronto soccorso», racconta a Valigia Blu Nello Trocchia, cronista e collaboratore di vari testate come Espresso e Fatto Quotidiano. È successo il 27 luglio scorso, mentre con il film-maker Riccardo Cremona, era a Vieste in Puglia per lavorare a un'inchiesta sulla mafia locale da mandare in onda nella prossima stagione del programma di Raidue, "Nemo, Nessuno escluso".

Il giornalista stava facendo delle inquadrature fuori un bruschetteria nel centro storico dove, alcune ore prima, il titolare di 31 anni, con diversi precedenti penali, era stato ucciso da due sicari. Un omicidio che per gli inquirenti, ha scritto Repubblica Bari, "si inserirebbe nella scia di sangue cominciata a inizio anno con l'omicidio di Onofrio Notarangelo (fratello del boss Angelo, ucciso il 26 gennaio del 2015) e proseguita con la scomparsa del figlio Pasquale, di 26 anni, di cui non si hanno più tracce dal mese di maggio". Già due anni fa Trocchia era stato vittima di intimidazioni quando con un'altra inchiesta fece scattare le indagini su un gruppo criminale.

L'aggressore è stato poi bloccato dai carabinieri ed è stata presentata regolare denuncia. Nei confronti del cronista è poi scattata la solidarietà di persone, singoli colleghi, FNSI e del presidente della Regione Puglia, ma le due notizie sono cadute nel vuoto e nell’indifferenza dei politici e dei media.

Si tratta di un silenzio che non fa emergere – escluse singole inchieste o media locali – quanto da tempo sta accadendo nel territorio della provincia di Foggia: «Dal 28 aprile abbiamo avuto otto vittime di criminalità mafiosa. Se facciamo una media, abbiamo avuto una vittima ogni 11 giorni. E chi lo sa questo? Nessuno», ha denunciato Piernicola Silvis, questore della città pugliese, prossimo alla pensione, pochi giorni fa.

Nell'ultima relazione della Direzione Distrettuale Antimafia (che si riferisce al secondo semestre del 2016) si legge che "un focus merita la provincia di Foggia, area in cui la società foggiana e la mafia garganica continuano ad ingerire, con inusitata violenza, sul territorio" in "un contesto ambientale omertoso e violento (determinato anche dalla matrice di familiarità che contraddistingue gran parte dei clan, in particolar modo quelli dell’area del Gargano), con una sempre maggiore commistione tra criminalità comune e organizzata". La stessa presidente della Commissione parlamentare Antimafia, Rosy Bindi, durante una visita a Foggia della Commissione, il 27 aprile scorso, ha dichiarato che in questo territorio «le mafie hanno potuto insediarsi e crescere perché c'è stata per troppo tempo una sottovalutazione da parte di tutti. Si fa ancora fatica ad ammettere che questa è una terra in cui le mafie hanno avuto la possibilità di crescere e svilupparsi».

Nonostante tutto questo, ci dice Trocchia, «non se ne parla, non c’è un dibattito su questi temi, né un racconto che possa riuscire a smuovere le cose»:

«La domanda ora è: un omicidio di mafia ogni 11 giorni dall’aprile scorso è o no una guerra di mafia da raccontare? È un tema o no che la mafia garganica stia devastando un territorio attraverso l’utilizzo di estorsioni a tappeto dalle quali sfuggono pochissimi imprenditori che hanno il coraggio di denunciare? È una notizia o no che saltano in aria auto per intimidire gli imprenditori? È una notizia o no che si ammazzano le persone in pieno centro in una località tra le più belle d’Italia?».

Per Trocchia, inoltre, a ciò si aggiunge «una ridondanza stantia: ci occupiamo cioè di certi temi, in occasione degli anniversari o di fenomeni mediatici che possono essere collegati a fiction, a film, a libri, però poi la complessità del quotidiano è completamente abbandonata». Ecco perché per il giornalista bisogna creare le condizioni, con un lavoro e un impegno lento, perché certe cose non accadano, a partire dalla violenza subita.

Bisogna quindi uscire dal silenzio per creare un racconto che "illumini a giorno" un territorio, anche per valorizzare quelle sacche di resistenza che continuano a esserci, che giocano un importantissimo ruolo in un possibile riscatto: «Lì ci sono persone che hanno denunciato questi boss non accettando la realtà così com’era. Alle intimidazioni e alle minacce c’è chi si è ribellato».

I motivi di questa grave mancanza di attenzione sono diversi. Uno dei principali, per il cronista, è il fatto che di fondo ci sia un disinteresse nel dibattito pubblico riguardo alle aggressioni ai giornalisti, intimidazioni e libertà d’informazione: «si vede nel numero delle minacce registrate anche da Ossigeno per l'informazione e delle querele temerarie».

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La politica, poi, tolti i possibili attestati di solidarietà, non aiuta ma «ara il terreno della delegittimazione perché meno stampa libera significa meno controllo». In generale, per Trocchia, quello che servirebbe è anche una riflessione più ampia sull’informazione. In questo senso, «il tema della retribuzione è fondamentale: non possiamo far finta di nulla su questo aspetto. Le condizioni contrattuali dei collaboratori sono da fame e spesso non si valorizzano le competenze. Un pezzo sulle mafie, mediamente, con un lavoro d'inchiesta di due/tre giorni, quanto viene pagato? Trenta, quaranta, cinquanta euro? Sarebbe questo il prezzo giusto?».

Foto anteprima via Televisionando.it

Correzioni

Aggiornamento 1 agosto, ore 12:30: Su segnalazione di un lettore sulla nostra pagina Facebook, abbiamo corretto la data dell'aggressione, verificatasi diverse ore dopo l'omicidio in centro a Vieste e non come scritto precedentemente dopo alcuni giorni.

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