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L’agente dell’Fbi, a capo del controspionaggio, che prendeva soldi dall’oligarca russo vicino a Putin

16 Febbraio 2023 6 min lettura

L’agente dell’Fbi, a capo del controspionaggio, che prendeva soldi dall’oligarca russo vicino a Putin

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Charles McGonigal è un ex agente FBI e fino al 2018 dirigeva l’ufficio di controspionaggio di New York. Non un ufficio qualsiasi, visto che in città ha sede l’ONU e vivono migliaia di cittadini stranieri di alto rango, nonché decine di grandi comunità straniere – russa e ucraina comprese. Il 23 gennaio McGonigal è stato arrestato con l'accusa di aver preso 225mila dollari nel 2017 da un funzionario albanese. Quello scambio di denaro, secondo Mother Jones, potrebbe essere collegato alla volontà russa di influenzare le elezioni albanesi del 2018 in favore del partito di Lulzim Basha – in questo caso l’ex FBI avrebbe preso soldi dagli albanesi per frenare questa influenza, il che lo rende corrotto pronto a lavorare per chiunque, cosa di cui Mosca avrebbe approfittato in seguito.

La seconda accusa risale a uno scambio avvenuto nel 2018, dopo che il nostro aveva lasciato l’FBI, ed è quella che più ci interessa: McGonigal avrebbe ricevuto soldi da Oleg Deripaska, un oligarca russo sottoposto a sanzioni dagli Stati Uniti. Business Insider rivela che in precedenza McGonigal avrebbe incontrato a Londra un membro dell’apparato di intelligence russo sorvegliato dalle autorità britanniche che, preoccupate, hanno avvisato l’Fbi. L’indagine potrebbe essere partita da questo episodio.

Prima del suo ritiro dall’FBI, McGonigal era il capo di coloro che indagavano su figure come Deripaska, personaggio con entrature al Cremlino e fortemente sospettato di avere legami con la criminalità organizzata. Deripaska è importante nella vicenda Russia-Stati Uniti perché la ragione per cui venne indagato nel 2016 riguarda il tentativo di Mosca di influenzare il voto americano nelle presidenziali. La figura dell’oligarca è già nota alle cronache recenti perché questi aveva a libro paga Paul Manafort, che a sua volta fu a capo della campagna Trump ed è stato condannato già nel 2019 per diversi reati. 

Nell’ottobre 2017, infatti, Manafort veniva arrestato dall'FBI nell'ambito dell'indagine sulla campagna di Trump condotta dallo special counsel Mueller. Manafort era accusato di aver partecipato a una cospirazione contro gli Stati Uniti, di aver riciclato denaro, di non aver omesso dalle sue dichiarazioni sui redditi conti stranieri, di aver rilasciato dichiarazioni false e fuorvianti in documenti depositati e presentati ai sensi del Foreign Agents Registration Act che prevede che quando si lavora per un’entità straniera occorra dichiararlo, e aver rilasciato dichiarazioni false. Manafort avrebbe nascosto alle finanze USA 18 milioni di dollari ricevuti come compenso per servizi di lobbying e consulenza per la campagna dell’ex presidente filorusso ucraino Yanukovych.

Il rapporto dello special counsel sull’intervento russo nelle elezioni americane del 2016 recita: “In numerose occasioni nel corso del suo lavoro per la campagna di Trump, Manafort ha cercato di condividere segretamente informazioni interne alla campagna con Kilimnik. Manafort ha informato Kilimnik sui dati sensibili dei sondaggi della campagna e sulla strategia della campagna per battere Hillary Clinton”. Nei documenti delle indagini del Congresso Kilimnik, braccio destro di Manafort in Ucraina, è una figura in contatto con l’intelligence russa. Nei mesi in cui Manafort era alla guida della campagna Trump, questi avrebbe condiviso con Klimnik – e dunque con l’intelligence russa – dati sui sondaggi e informazioni riservate utili a costruire quella campagna Web e social che Mosca mise in atto per favorire Trump. 

Nel 2019 Manafort venne condannato a 73 mesi di prigione, ma dopo 23 venne graziato da Trump, già sconfitto da Biden ma ancora in carica fino al 6 gennaio - quando, in occasione dell’insediamento del nuovo presidente, ci fu l’insurrezione a Capitol Hill. Tra molti nomi, date e malefatte varrà la pena di fare un breve riassunto: l’agente dell’FBI che indagava su una figura importante collegata alla campagna russa per sostenere Trump è stato arrestato per aver ricevuto soldi da questi per cui, negli anni passati, aveva lavorato l’ex capo della campagna Trump che prima che per l’ex presidente USA aveva lavorato per la campagna del presidente filo russo Yanukovich. Piccolo particolare: dal testo della piattaforma politica repubblicana del 2016 a un certo punto cambiano i toni sulla vicenda russo-ucraina e il giudizio su Mosca si fa meno netto.

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McGonigal non è il primo né l’ultimo americano ad aver lavorato per Deripaska, che per mantenere i propri interessi in occidente ha messo al libro paga lobbyisti, organizzato feste a Davos e molto altro ancora – come del resto tutti i suoi colleghi oligarchi. La differenza in questo caso è il ruolo ricoperto da McGonigal e le mancate indagini FBI nei mesi che precedettero le elezioni presidenziali del 2016, quando Mosca mise in atto una campagna multiforme fatta di fake virali e del furto di email della campagna Clinton. L'atto d'accusa di Mueller descrive un sofisticato tentativo di hacking su larga scala da parte di 12 agenti russi che rubarono documenti da server privati e li diffusero come Guccifer 2.0 e DCLeaks. Compito dell’ufficio di McGonigal all’epoca era la counterintelligence, cioè quel lavoro di “smascherare, prevenire e indagare sulle attività di intelligence (straniera) negli Stati Uniti” come si legge sul sito dell’FBI. All’epoca tutto l’apparato di intelligence USA fu lento e distratto. Lo fu molto meno con le email di Clinton, su cui annunciò un’inchiesta a pochi giorni delle elezioni. 

Non sappiamo se l’ex funzionario arrestato abbia a che vedere con questi ritardi, allo stato non c’è nulla nei documenti che lo legano direttamente a quella vicenda e l’arresto è avvenuto per qualcosa capitata in anni successivi. L’oligarca con entrature al Cremlino nel frattempo si è visto sequestrare l’Hotel di sua proprietà a Sochi dopo aver criticato Putin e nonostante le risorse investite per evitarlo, continua ad essere sottoposto a sanzioni da parte degli Stati Uniti– che al tempo Trump aveva alleggerito. Altra cosa che sappiamo da Business Insider è che McGonigal aveva un’amante amica di Rudy Giuliani e che conduceva una vita al di sopra delle sue possibilità finanziarie.

Questa vicenda segnala molte cose assieme. La prima è che l’apparato di intelligence USA non funziona poi così bene e che la polarizzazione nella società e nella politica rischiano di peggiorarne la qualità: questa è infatti una vicenda nella quale, a prescindere dalle responsabilità individuali, l’apparato si è in qualche modo fatto usare o è stato usato in una furibonda battaglia politica e internazionale - a proposito, qui un report dell’Atlantic Council dove McGonigal parla del livello di corruzione dell’apparato russo. Il secondo aspetto riguarda la tenuta delle istituzioni: la campagna del 2016 è stata influenzata dalle azioni russe (e c’è chi sostiene che senza quelle Trump non avrebbe vinto) e nonostante inchieste di altissimo profilo e meticolosità come quelle del Congresso e di Mueller, ci sono state poche conseguenze.

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L’arresto di Charles McGonigal è uno di quei casi che ci segnalano indirettamente come e quanto Stati Uniti e Russia si confrontino attorno alla vicenda ucraina da prima del 2014. E di come i giochi di spie, il lavoro con gli oligarchi, che a loro giocavano una partita (influenza sul potere ucraino o russo, soldi ed affari all’estero) sia intricato e di lungo corso.

Questa vicenda ci riporta alla mente l’esistenza di legami tra oligarchi, apparato russo (e anche ucraino), figure del partito repubblicano. Il problema, per la politica e la tenuta democratica degli Stati Uniti, è che il partito repubblicano è intenzionato a rilanciare sulla necessità di “rendere più sicure le elezioni”. Ora, negli Stati Uniti la frode elettorale praticamente non esiste, e quando c’è riguarda pochi voti in elezioni di contea. La scelta di rilanciare la questione da parte repubblicana significa proseguire nell’utilizzo di teorie del complotto nella battaglia politica. Esattamente il gioco preferito dell’intelligence russa, le chiamano Aktivnye meropriyatiya (“misure attive”) e fanno parte della tradizione russa fin dai tempi degli Zar.

Immagine in anteprima: l'ex agente FBI Charles McGonigal e l'oligarca Oleg Deripaska - Frame video CNN

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