Agcom e web: troppe ombre sul regolamento #ddaonline
9 min letturaIl cerchio si è chiuso. Con la pubblicazione del “Regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica e procedure attuative ai sensi del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70”, l'Agcom addiviene alle richieste dell'industria del copyright, delle quali si è fatto carico l'USTR americano pungolando in più occasioni proprio l'Autorità italiana con frequenti richiami nel famigerato rapporto 301. Il rassicurante titolo non tragga in inganno, in realtà la delibera si occupa esclusivamente delle procedure di rimozione dei contenuti online presunti illeciti.
Il testo finale presenta alcuni aspetti positivi rispetto alla bozza sulla quale si è svolta la consultazione. Sono state espunte le norme che consentivano “l'identificazione del gestore della pagina internet”, obbligando il provider a comunicare i dati personali entro 48 ore. Si tratta di norme che incidono pesantemente sulla privacy di soggetti - è bene ricordarlo - nei confronti dei quali non è stata elevata alcuna formale accusa, norme che quindi determinano un grave contrasto con le norme europee a tutela della privacy.
Del pari è stata rimossa la norma che prevedeva come obbligatorio il passaggio preliminare attraverso, se disponibili, le procedure di autoregolamentazione dei provider. Probabilmente una tardiva presa di coscienza che non è possibile impiantare norme riprese dagli Usa nell'ordinamento italiano, o forse semplicemente per accorciare i tempi della rimozione. Comunque da salutare positivamente perché in tal modo si sottrae la valutazione dell'illecito al dialogo esclusivo tra aziende (da un lato il titolare dei contenuti, parte interessata, e dall'altro il provider, non parte della contesa e quindi del tutto disinteressato, casomai preoccupato che non finisca per incidere sul suo business), che avrebbe aperto la strada alla privatizzazione della giustizia.
Di contro permangono gli aspetti negativi del regolamento che già abbiamo avuto occasione di evidenziare in più occasioni.
Vediamo in sintesi il provvedimento che entrerà in vigore il 31 marzo 2014.
Definizioni
Tra le definizioni non si rinviene più la categoria di “prestatore di servizi della società dell'informazione”, ma solo il “prestatore di servizi” che coincide col “prestatore di servizi intermediari” di cui alla bozza, e cioè i provider che soddisfano i criteri di cui al d.lgs 70/2003 (quindi esenti da responsabilità). In effetti la bipartizione non aveva senso visto che la bozza poi faceva riferimento alla seconda categoria come destinataria degli ordini dell'Autorità. Non vi è, però, differenziazione tra i tre tipi di provider previsti dalla direttiva ecommerce, cosicché, vista la differente natura delle loro attività, è possibile che si realizzino difficoltà in sede applicativa del regolamento.
Si chiarisce che nella definizione di “opera digitale” rientrano anche i programmi per elaboratore (software), cosa che non era immediata nella bozza. Vengono aggiunte le definizione di “streaming” e “torrent”, indicative della direzione che prende il regolamento, a smentire quindi le affermazioni in base alle quali l'Agcom non avrebbe intenzione di prendere di mira il P2P. Il significato dell'articolo 2, comma 3, è semplicemente che l'Agcom non prende di mira direttamente i privati cittadini, ma rivolge i suoi ordini esclusivamente nei confronti dei provider (che bloccheranno i siti che pubblicano torrent).
Segue una parte relativa alle “misure per favorire lo sviluppo e la tutela delle opere digitali”, quindi attività di promozione alla legalità e alla diffusione dell'offerta legale. In un paese dove l'Agenda Digitale risulta ormai perennemente ai margini della politica, il rischio è che rimangano solo belle parole.
L'articolo 3, invece, risulta rilevante per il richiamo all'elaborazione di codici di condotta da parte delle aziende, al fine di favorire “la cooperazione ai fini della tutela del diritto d'autore”. Se, quindi, da un lato la fase preliminare obbligatoria, cioè il ricorso alle procedure di autoregolamentazione, viene espunta, dall'altra permane il richiamo a tali procedure da elaborare. Ovviamente poi starà al titolare dei diritti scegliere se seguire tali procedure oppure adire direttamente l'Autorità amministrativa.
Le procedure di notice and takedown (art. 5) diventano, quindi, una alternativa alla procedura di rimozione amministrativa e non più una fase propedeutica. A sua volta la procedura amministrativa è alternativa al ricorso alla magistratura, nel caso in cui qualcuna delle parti si sia rivolta al magistrato.
Procedura amministrativa
La procedura amministrativa, da svolgersi dinanzi all'Agcom, rimane sostanzialmente uguale a quella prevista nella bozza. L'Agcom comunica l'avvio del procedimento ai provider, “nonché, ove rintracciabili, all'uploader e ai gestori della pagina e del sito internet”. La comunicazione contiene l'individuazione delle opere digitali presumibilmente illecite, l'esposizione sommaria dei fatti e “dell'esito degli accertamenti svolti” (non si comprende di quali accertamenti si tratta, visto che il procedimento deve ancora iniziare).
Il comunicato stampa dell'Agcom sostiene che “Il procedimento è caratterizzato dal pieno rispetto del principio del contraddittorio”, ma già la frase “ove rintracciabili” la dice lunga su come sia organizzato il contraddittorio.
La procedura vede come parti necessarie del procedimento solo il titolare dei diritti (che avvia il procedimento con una istanza -l'Agcom non può procedere d'ufficio-) e il provider, gli altri soggetti (gestore della pagina internet e uploader) sono soltanto eventuali. In effetti si vuol far credere che il procedimento non incida affatto sui singoli cittadini ma solo sui siti che massivamente immettono contenuti illeciti online, ma non dobbiamo dimenticare che la rimozione di un contenuto incide sui cittadini perché è il cittadino (uploader) ad immettere quel contenuto. Nel momento in cui quel contenuto è ritenuto “illecito” dal titolare dei diritti, evidentemente siamo in presenza di una accusa nei confronti dell'uploader.
In realtà “pieno rispetto del principio del contraddittorio” dovrebbe voler dire che l'uploader non solo deve essere sempre avvisato ed informato compiutamente dell'accusa rivoltagli, ma che deve essere garantito il suo diritto di partecipare attivamente al procedimento nel quale è accusato. In caso contrario il principio del contraddittorio semplicemente non è rispettato!
Non dimentichiamo, infatti, che nella contesa l'unico che davvero può dimostrare che quel contenuto è eventualmente lecito (perché ad esempio vi sono diritti concorrenti, perché si applicano le eccezioni al diritto d'autore...) è solo l'uploader e non certo il provider. L'unico interesse del provider, in presenza di una richiesta di rimozione, è quella di eliminare il contenuto per evitare qualsiasi tipo di seccatura (compreso multe salate). Per cui è lecito attendersi “adeguamenti spontanei” da parte del provider.
Per il resto la procedura è analoga a quanto stabilito nella bozza, con l'allungamento del termine per controdedurre da parte dell'uploader (sempre “ove rintracciabile”!) da 3 a 5 giorni. Ricordiamo che i ristretti termini sono uno dei punti sui quali ha avuto da ridire la Commissione europea e che maggiormente ledono la “pienezza” del contraddittorio. Portarli da 3 a 5 giorni probabilmente non risolve il problema.
Rimozione dei contenuti
Dopo l'istruttoria del caso, l'Agcom può ordinare al provider la rimozione selettiva dei contenuti, se ritenuti illeciti. Se si tratta di “violazioni di carattere massivo”, l'ordine può essere anche di “disabilitazione dell'accesso alle opere digitali” (blocco del sito).
Nella bozza i due tipi di ordini erano alternativi, adesso la disabilitazione è possibile solo in presenza di violazioni massive. Ovviamente non c'è alcun parametro di riferimento per la “massività” della violazione, che quindi sarà decisa in sede di applicazione.
Per i siti ospitati su server esteri si prevede solo l'ordine di disabilitazione dell'accesso al sito verso i provider di accesso.
Il provider deve ottemperare all'ordine sempre nel termine di 3 giorni (come in bozza), a pena di una pesante multa. In caso di inottemperanza viene anche data comunicazione alla polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 182 ter della legge sul diritto d'autore. In realtà tale articolo obbliga gli ispettori, in presenza di una violazione delle norme sul diritto d'autore, a trasmettere “immediatamente” agli organi di polizia giudiziaria il processo verbale compilato, sotto pena di “omissione di atti d'ufficio” (art. 328 c.p.), al fine di consentire alla polizia giudiziaria di procedere alle prime indagini e riferire al pubblico ministero la notizia di reato. Obbligo rinforzato dall'art. 331 c.p.p. secondo il quale “i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio che, nell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito”. Quindi l'Agcom, in presenza di una violazione del diritto d'autore (e nel contempo reato), dovrebbe limitarsi a inviare gli atti alla polizia giudiziaria, ma secondo il regolamento lo farà solo e soltanto nel momento in cui il contenuto illecito non viene rimosso a seguito del suo ordine, con ciò modificando la normativa primaria.
Infine viene regolamentato il procedimento abbreviato, così come era già nella bozza della delibera. Anche qui i problemi risultano i medesimi. La genericità delle norme consentirà probabilmente l'attivazione del procedimento abbreviato praticamente in tutti i casi, come avevamo già rilevato (ad esempio basterà che l'istanza di rimozione provenga da un'associazione di categoria). E anche qui troviamo il riferimento all'“incoraggiamento, anche indiretto, alla fruizione di opere digitali diffuse in violazione della Legge sul diritto d'autore”, con richiamo del secondary infringment previsto dalle normative americane e sul quale l'USTR si batte da tempo.
Conclusioni
In conclusione il testo finale del regolamento Agcom, nonostante l'Autorità dica diversamente, non sembra aver tenuto conto affatto delle osservazioni emerse a seguito della consultazione. A parte l'espunzione delle norme in contrasto con la normativa a tutela della privacy, il resto è rimasto più o meno uguale, salvo qualche precisazione minima. Si tratta di un testo estremamente generico che dovrà per forza di cose essere pesantemente integrato in fase di applicazione, quindi da parte della stessa Agcom che si farà legislatore e giudice, lasciando il compito di esecutore alle aziende private. Non c'è traccia di pieno rispetto del principio del contraddittorio, essendo l'uploader soggetto meramente eventuale del procedimento.
Il regolamento prevede espressamente provvedimenti inibitori di web blocking sia per siti italiani che esteri, senza tenere minimamente conto delle indicazioni che vengono dall'Europa in materia. L'Europa ha, infatti, ribadito che tali tipi di provvedimenti, pur essendo in teoria ammissibili, devono bilanciare equamente i diritti in gioco. Il bilanciamento al quale si riferisce l'Europa riguarda i diritti del cittadino e in particolare il diritto alla libertà di espressione, alla privacy e ad un giusto processo. Secondo l'Europa, ma anche secondo l'ONU e l'OSCE, il blocco di siti è da ritenersi illegittimo ogni qualvolta c'è il rischio di bloccare anche contenuti leciti (è rarissimo che un sito presenti tutti contenuti illegittimi), e per questo occorre una approfondita disamina della situazione, non sono per valutare se davvero quel contenuto è illecito, ma anche la proporzionalità e l'adeguatezza del provvedimento inibitorio che deve essere mirato solo nei confronti dei contenuti provati illeciti. Un tipo di valutazione che difficilmente è compatibile con le procedure di un ente amministrativo, sprovviste dalle garanzie minime essenziali. Inoltre i regolatori della comunicazione spesso si trovano troppo vicini all'industria che regolano, e non prestano sufficiente attenzione ai diritti fondamentali del cittadino, oltre a non avere competenze adeguate per il bilanciamento dei diritti in gioco.
Infine mancano effettivi contrappesi. Da un lato la procedura invoglia i titolari dei diritti a chiedere rimozioni in quantità massiccia, perché non esistono sanzioni alle false richieste. Dall'altro manca una effettiva trasparenza in relazione al blocco dei siti. Specialmente in considerazione del fatto che i provvedimenti inibitori incidono pesantemente sui diritti e le libertà dei cittadini, sarebbe auspicabile la pubblicazione della lista dei siti bloccati per consentire all'opinione pubblica di verificare la correttezza dell'operato dell'Agcom (ente che non risponde ai cittadini ma è di nomina politica).
Il regolamento Agcom viene incontro ai più reconditi desideri dell'industria del copyright, cioè ottenere un procedimento che salti completamente la fase giudiziaria che si presenta (per la complessità delle valutazioni dei diritti in gioco, ma anche per le note carenze di risorse) generalmente lunga, che sia quindi veloce e sommario. Ma al di là delle questioni legali, alla fine la domanda che si presenta più immediata è: chi paga tutto ciò? L'Agcom si appresta a gestire un contenzioso che si presenterà, questo sì, massivo, che sarà costosissimo, e quindi scaricato interamente sulle spalle dei cittadini, compreso quelli onesti, al solo fine di tutelare gli interessi economici e particolari di una categoria con possibili gravi lesioni dei diritti “pubblici” dei cittadini. Non dimentichiamo che l'Hadopi francese si appresta ad andare in pensione proprio per l'eccessivo costo.
E parlando di Francia, non possiamo non ricordare che una normativa simile a questo regolamento venne già bocciata dalla Corte Costituzionale francese il 10 giugno del 2009, la quale sancì che:
- un reato (le violazioni del diritto d’autore sono quasi sempre dei reati) deve essere accertato dai magistrati;
- i provvedimenti restrittivi devono essere emessi dai magistrati;
- se è vero che chiunque è innocente fino a sentenza passata in giudicato allora questa presunzione di innocenza deve valere per tutti i reati compresi quelli contro la proprietà intellettuale;
- è necessario tener presenti e rispettare tutti i diritti in gioco e non solo quelli relativi alla proprietà intellettuale come ad esempio: il diritto alla conservazione e diffusione della conoscenza, il diritto di citazione, il diritto di impresa.
Tale pronuncia si basa sulla normativa europea, che è la stessa per l'Italia. Ci aspetteremmo che fosse applicata allo stesso modo sia in Francia (dove le valutazioni degli illeciti e i provvedimenti inibitori spettano ai giudici) che nel nostro paese. Invece non sarà così.