Agcom e diritto d’autore online: non ci resta che piangere
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Dopo anni di discussioni, il 31 marzo è entrato “finalmente” in vigore il regolamento Agcom per la tutela del diritto d'autore online. Accompagnato da uno spot realizzato per promuovere la fruizione online di contenuti legali, salutato con favore dai titolari dei diritti e dalle associazioni di categoria, il regolamento entra nella sua fase operativa che sarà gestita dalla Fondazione Ugo Bordoni attraverso un'apposita piattaforma digitale, il sito ddaonline.it.
Il regolamento comporta decisioni di una notevole complessità, come l'oscuramento di siti web a seguito di segnalazioni dei titolari dei diritti, introduce nuove definizioni, e implica la necessità di analizzare la realtà del web in continuo mutamento. Il flusso di dati da gestire sarà decisamente importante e di sicuro l'operato dall'Autorità sarà oggetto di numerose attenzioni. Per questi motivi l'Agcom ha preferito esternalizzare l'aspetto tecnico riservandosi il ruolo di supervisore.
La convenzione con la FUB costerà circa 533mila euro l'anno. Ma chi ha richiesto e sponsorizzato il regolamento, e che alla fine ne trarrà beneficio, cioè l'industria del copyright, non ci rimetterà nulla. Il costo del procedimento, invece, sarà interamente a carico degli intermediari della comunicazione, le stesse aziende che saranno chiamate a rispondere alla segnalazioni e a provvedere celermente ad oscurare i contenuti sulla base degli ordini dell'Agcom. Viene da chiedersi se il maggior costo alla fine sarà scaricato sulle spalle dei consumatori, gli utenti degli Isp.
FAQ
Sul sito ddaonline si può trovare un manuale di istruzioni in linea e una pagina di FAQ. È interessante questo approccio riduzionistico a norme e procedere che mirano a tutelare diritti fondamentali. Le risposte sono, però, generiche e alla fine non del tutto informative, non risulta affatto chiaro cosa possono fare realmente gli utenti online. In fondo l'idea non è sbagliata, moltissimi internauti non sono a conoscenza dei loro diritti, di cosa possono o non possono fare con i contenuti online, l'attuazione però non risulta all'altezza. Inoltre non c'è un cenno alle utilizzazioni libere del diritto d'autore, elemento sintomatico della direzione che prende la procedura.
Nella FAQ viene ribadito che “Il regolamento comunque non si rivolge agli utenti finali come destinatari dei provvedimenti adottati sulla base di esso”. Questo non vuol dire affatto che gli utenti finali non saranno toccati dalle ingiunzioni, visto che le rimozioni riguardano i contenuti immessi online e quindi anche dagli utenti finali, ma è solo per ribadire che gli ordini non sono diretti agli utenti finali, anche perché allo stato non sarebbe ammissibile per l'Agcom.
POTERI
Come abbiamo già detto, il regolamento appare generico e sarà necessario integrarlo pesantemente in sede di applicazione, per cui l'Agcom di fatto si è autoassegnato poteri discrezionali estesissimi in materia di tutela del diritto d'autore online.
Sarà quindi essenziale verificare come l'Agcom gestirà questi nuovi poteri. Ad esempio, quanto spesso l'Agcom applicherà la procedura abbreviata (12 giorni invece che 35) piuttosto che quella ordinaria? Non dimentichiamo che i presupposti per l'applicazione della procedura abbreviata sono anch'essi estremamente generici, al punto che in teoria è possibile invocarla praticamente sempre, volendo.
Per quanto riguarda i tempi è interessante notare che l'autorità giudiziaria è in grado di procedere al sequestro di siti che violano il diritto d'autore in tempi brevi, e di tali operazioni in Italia se ne sono fatte tantissime, come il recente blocco di 46 siti, a contrastare la retorica che vuole la magistratura lenta ed inoperosa sul fronte della pirateria. Il punto, semmai, è un altro, come l'operazione di sequestro citata ha evidenziato. L'ordine di sequestro iniziale coinvolgeva anche siti del tutto incolpevoli, sottodomini che nulla avevano a che fare con le attività illecite, quindi si è dovuto modificare l'ordine per evitare effetti collaterali su contenuti leciti.
Una procedura giudiziaria è costruita perché sia massimizzata la tutela delle parti, ed anche di eventuali terzi incolpevoli coinvolti, una procedura amministrativa non è costruita allo stesso modo. Se a questo aggiungiamo che, come ribadito più e più volte, il procedimento Agcom non si rivolge agli utenti finali, questo è sintomatico del fatto che la procedura amministrativa realizzata non porta con sé tutele adeguate né per eventuali terzi incolpevoli coinvolti né per gli stessi utenti finali ai quali vengono oscurati i contenuti.
CORTE DI GIUSTIZIA
Una recente sentenza della Corte di Giustizia europea ribadisce ancora una volta che l'ingiunzione di blocco di un sito deve contemperare i diritti in gioco, quindi non solo occuparsi della tutela della proprietà intellettuale, ma anche della libertà di impresa del provider (chi opera materialmente il blocco, e quindi esegue gli ordini dell'Agcom e ne sopporta i costi) e della libertà di informazione e di espressione dei cittadini.
La sentenza precisa che le misure devono essere mirate, cioè non devono colpire contenuti leciti e comunque il giudice nazionale deve poter verificare che le misure siano proporzionate e adeguate allo scopo (il blocco di contenuti leciti rende la misura ingiustificata).
Questi aspetti non sono contemplati nel regolamento Agcom. È vero che è possibile rivolgersi all'autorità giudiziaria, così bloccando la procedura amministrativa, ma è una possibilità solo teorica visto che non necessariamente al cittadino uploader verrà comunicata la rimozione del contenuto da lui immesso online. E comunque sarà il cittadino a doversi attivare, con spese elevate, per dimostrare di essere “innocente”, così ribaltando il principio di non colpevolezza.
Per quanto riguarda gli ordini dell'Agcom, invece, si prevede che siano impugnabili dinanzi all'autorità giudiziaria amministrativa (TAR del Lazio), e questo apre la strada a possibili contrasti di giudicati tra giudici amministrativi e ordinari.
Ancora una volta viene da chiedersi perchè l'Agcom. Se si tratta di questioni inerenti il diritto civile, non si capisce perché debba essere interessata un'autorità amministrativa che, quando interviene nei rapporti inter cives (come ad esempio fa il Garante per la privacy) lo fa per funzioni di tutela del soggetto ritenuto debole (il cittadino) rispetto al suo interlocutore. In questo caso si ribalta la prospettiva, e si tutela il soggetto “forte” (che ha le capacità economiche di rivolgersi ad un giudice per ottenere giustizia) contro il soggetto “debole” (l'uploader).
Nel caso in cui, invece, si tratta di problematica penale, non si vede come l'autorità amministrativa possa sostituirsi all'attività della polizia giudiziaria e della magistratura, con possibili ricadute di vario tipo, compreso un eventuale inquinamento di prove.
L'assegnazione di tali poteri all'Agcom di fatto accorpa in un unica autorità i tre poteri dello Stato, che in qualsiasi democrazia dovrebbero rimanere divisi.
PRINCIPI E FORMALISMI
Sarà quindi importante verificare come saranno tradotti in pratica i principi di proporzionalità e adeguatezza, poiché la necessità, più volte ribadita dall'industria del copyright, di celerità della procedura, ma anche la gratuità (per i titolari dei diritti), aprono la strada a un utilizzo strumentale delle segnalazioni, con richieste di procedura abbreviata. Quello che la delibera Agcom da ai titolari dei diritti, quindi, è uno strumento che consente di “saltare” la procedure di controllo dell'autorità giudiziaria e in tal senso avere una procedura non solo più veloce, ma soprattutto libera da pastoie burocratiche ed eccessi di formalismi.
Un esempio di “formalismi” lo ritroviamo nel manuale d'uso sul sito, dove tra la documentazione obbligatoria richiesta per poter avviare la procedura troviamo lo “screenshot, ovvero l‘immagine che cattura l’istantanea di ciò che viene visualizzato su un dispositivo video (monitor del pc, televisore, eccetera)”. Purtroppo lo screenshot di fronte all'autorità giudiziaria non è considerato un mezzo di prova in quanto facilmente falsificabile o alterabile, e ha valore di mero indizio da valutare solo in correlazione con altri elementi di prova. Nella procedura regolamentata dall'Agcom, invece, è previsto come unico documento di prova richiesto (altri sono facoltativi), senza nemmeno specificare particolari attenzioni per la cattura (tipo indicare l'orario, la configurazione del computer di cattura...) della schermata.
Per essere una procedura “fully digital” come è stata presentata dall'Agcom, occorre dire che evidenzia scarsa dimestichezza con le prove digitali!
Questi particolari fanno sorgere il dubbio che la procedura, già caratterizzata da regole estremamente generiche che danno un'eccessiva discrezionalità all'autorità, sarà probabilmente anche sommaria.
Insomma, col regolamento Agcom l’industria del copyright raggiunge i suoi obiettivi. Evita di dover ricorrere ai tribunali, perché il ricorso alla magistratura comporta tempo, costi e soprattutto in tribunale occorre provare il diritto e non semplicemente affermarlo. Inoltre un tribunale deve, per legge, tenere conto anche di altri diritti, in particolare quelli relativi alla libertà di espressione e alla privacy degli utenti, per cui in un’aula giudiziaria c’è il forte rischio di non ottenere un provvedimento favorevole. Ecco perché l’industria del copyright vuole tenere fuori dal procedimento i tribunali, amministrativizzando la procedura di rimozione dei contenuti online.
Come osserva ARTICLE 19, l'Agcom, oltre a non avere competenze adeguate per il bilanciamento dei diritti in gioco (per queste cose esistono sezioni specializzate della magistratura), non presenta sufficienti garanzie di attenzione ai diritti fondamentali del cittadini, poiché come regolatore della comunicazione si trova troppo vicino all'industria. Ed è per questo motivo che la competenza dovrebbe essere assegnata in via esclusiva alla magistratura, come accade in altri paesi (Gran Bretagna, Francia, Belgio e Germania), o quanto meno ad un'autorità differente dall'Agcom.
BUON SENSO?
C'è da dire che l'Autorità ha rassicurato tutti asserendo che procederà con “tanto buon senso e con i piedi di piombo”.
Una volta la tutela dei diritti era affidata a buone leggi e interpreti (giudici) legati alla corretta applicazione delle norme, oggi l'ultimo baluardo a difesa dei diritti dei cittadini rimane il “buon senso”, rigorosamente calata dall'alto. Viene da chiedersi cosa accadrà quando anche questo verrà meno...