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Lavoro, stabilità politica, lotta all’emergenza climatica: cosa vogliono i giovani africani

29 Luglio 2022 8 min lettura

Lavoro, stabilità politica, lotta all’emergenza climatica: cosa vogliono i giovani africani

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Da qui al 2030 i giovani africani rappresenteranno il 42% della popolazione giovanile mondiale e il 75% dei giovani sotto i 35 anni. Parlano chiaro i dati del Population Research Bureau (PRB), che pone quesiti centrali: cosa ne sarà di questi giovani? Quali politiche e iniziative specifiche sono in atto per loro?

A fronte di un continente tanto giovane e in controtendenza rispetto all’invecchiamento delle popolazioni di altre regioni, permane una forte emarginazione dei giovani africani negli ambiti decisionali e della politica. Un quadro delle loro aspettative e opinioni lo fornisce un’approfondita indagine - l'Africa Youth Survey - condotta dalla sudafricana Ichikowitz Family Foundation (IFF).

Cominciamo da qui: è assai probabile che più della metà dei giovani africani tra i 18 e i 24 anni sceglierà di emigrare nei prossimi tre anni. Europa e Stati Uniti le mete predilette, ma anche destinazioni interne: Sudafrica, Ghana, Kenya e Nigeria quelle più popolari. Alla base di questa scelta c’è soprattutto la difficoltà di vivere nel paese di origine: problemi come trovare un lavoro, accedere ai servizi di base, lo stato di insicurezza costante, l’intolleranza politica, la corruzione, i sistemi educativi scadenti e l’impossibilità di accedere in modo affidabile a Internet.

Rispetto allo studio rilasciato nel 2020, si registra un aumento del 22% dei giovani che vorrebbero lasciare il proprio paese; la metà di loro non tornerebbe più indietro. In media il 52% della popolazione giovanile africana vuole emigrare, con percentuali più alte in Nigeria e Sudan.

Insomma, la resilienza non basta più, mentre l’afro-ottimismo non è morto, ma certo la fiducia dei giovani (ricordiamo che l’età media in Africa è 19 anni) negli ultimi anni è diminuita o, per meglio dire, oggi incontra la specificità di desideri e aspettative. Se infatti tre quarti degli intervistati sa esattamente cosa vuole, di questi solo 3 su 10 si sentono incoraggiati rispetto al futuro. In particolare, rispetto al futuro del proprio paese solo uno su tre (32%) ha detto di sentirsi ottimista, mentre il 41% ha affermato di sentirsi preoccupato o pessimista. Un calo del 43% rispetto all’indagine precedente.

Non va molto meglio il giudizio sul futuro del continente. In questo caso a essere ottimista è solo il 34% degli intervistati (in cima Ghana, Mozambico, Ruanda); il 55% pensa invece che il continente africano stia andando nella direzione sbagliata. Il declino dell’afro-ottimismo può essere attribuito a diversi fattori, tra questi la pandemia del Covid-19: quasi la metà (45%) dei giovani africani ritiene che le morti da malattie infettive come il Covid - ma anche Ebola, tubercolosi, malaria e HIV/AIDS - siano gli eventi che hanno avuto il maggiore impatto sul continente negli ultimi cinque anni.

Fanno eccezione i giovani etiopi, secondo i quali è l’instabilità politica ad avere maggior impatto sulle loro vite, giudizio probabilmente legato al conflitto in corso nella regione del Tigray dal novembre 2020. Sono tre quarti i giovani africani intervistati (75%) che ritengono che l’instabilità politica sia un fattore che incide notevolmente sulla vita dei cittadini. Addirittura in Kenya (dove ad agosto ci saranno le elezioni in un’atmosfera di tensioni e di allerta) questa preoccupazione sale al 91%. Alta la percentuale anche in Mozambico (89%). Più volte agenzie umanitarie e la stessa UNHCR hanno lanciato l’allarme sulla “crisi invisibile” che sta vivendo questo paese, soprattutto a causa degli effetti della crisi climatica e del conflitto in corso nella provincia settentrionale di Capo Delgado.

Citiamo poi anche questo dato: solo il 40% dei giovani africani crede che il proprio governo stia facendo abbastanza per arginare le instabilità politiche. In Etiopia la percentuale scende al 20%, in Nigeria al 16%. In questi anni, poi, è continuata a crescere la presenza e l’attività di gruppi terroristici - per citarne alcuni, Boko Haram in Nigeria, Al Shabaab in Kenya e Somalia - e almeno la metà dei giovani africani ha sperimentato nella propria vita quotidiana il terrore, le ribellioni, i conflitti. Il 15% è stato contattato per essere reclutato da un'organizzazione terroristica o conosce qualcuno che lo è stato; in Mozambico la cifra sale al 25%. Solo il 55% crede che il proprio governo abbia la capacità di confrontarsi con la minaccia terroristica.

In cima alla lista delle priorità espresse – quasi 9.000 interviste in 19 paesi per le due ricerche finora realizzate – ci sono il lavoro e un’occupazione ben pagata. Oggi il lavoro informale costituisce il 95% dell’occupazione giovanile nel continente. Sei giovani su sette (86%) si dicono preoccupati per la mancanza di opportunità nel loro paese, con percentuali estreme in Zambia (94%), Kenya (94%) e Ghana (93%). Ma nonostante le difficoltà, il 77% degli intervistati crede ancora che la propria vita avrà margini di miglioramento nei prossimi due anni. E più di due terzi sono convinti che condurranno una vita migliore dei loro genitori e hanno intenzione di sposarsi più tardi e di avere meno figli (il 72% ) – le interviste comprendono il 50% di donne e il 50% di uomini.

L’economia e il benessere sono dunque elementi fondamentali per questi ragazzi desiderosi di avere un maggiore controllo sul proprio destino. E se i loro governi non saranno in grado di aiutarli lo faranno da soli: provando a emigrare, come dicevamo, oppure (lo affermano i due terzi degli intervistati) avviando un’attività in proprio. In questo caso - a parte l’accesso al capitale che può essere una difficoltà - sono due le criticità da affrontare: la corruzione (compresa quella dei governi) e l’uso della tecnologia. Il 71% dei giovani africani considera infatti l’accesso a Internet (e il wi-fi libero) come un diritto umano fondamentale, ma per due terzi di loro la connessione risulta molto costosa e solo il 13% è in grado di permettersela ogni giorno.

Va però aggiunto che tre quarti degli intervistati trascorre almeno un'ora al giorno sui social media per leggere le news e il 75% si dichiara convinto di saper distinguere una notizia reale da una fake news. BBC, CNN, Al Jazeera e Google sono considerate le fonti più affidabili. Parlando delle già citate fake news, il 75% dei giovani ritiene che i loro politici le diffondano ad arte e deliberatamente. E hanno più fiducia nei leader religiosi (65%) che in quelli eletti (43%).

Tornando a Internet, è importante ricordare che l’Africa sub-sahariana ha i prezzi di connessione alla rete da cellulare più costosi al mondo - il costo medio è di 6,44 dollari per 1GB, in confronto ai 2,47 dollari che si spendono in Europa occidentale. I giovani africani, comunque, non vivono affatto fuori dal mondo. Sono appassionati di geopolitica e sulle presenze estere nei loro paesi hanno le idee abbastanza chiare o comunque un’opinione precisa. Vedono la Cina come l'attore più influente (54%) – e per molti positivo – del continente, seguita da Stati Uniti, Unione africana (64%) e Unione europea (62%). Per quanto riguarda gli USA, in soli due anni la percentuale di giovani secondo cui gli Stati Uniti hanno molta o una certa influenza è scesa dal 78% nell'indagine del 2020 al 69% in quella di quest’anno. Un peggioramento individuato nelle relazioni durante l’amministrazione Trump.

Per quanto riguarda la Cina, ritengono abbia molta influenza sul loro paese soprattutto in Malawi (77%), Zambia (74%) e Angola (71%). Mentre per gli Stati Uniti l’influenza è ritenuta maggiore - ancora - in Malawi (67%), Etiopia (61%) e Ghana (59%). E poi c’è l’influenza degli ex paesi coloniali. Ritenuta estremamente alta, per esempio, quella portoghese tra la gioventù angolana (85%) e quella mozambicana (73%). Ma c'è anche un sentimento negativo crescente (il 62% delle risposte dei giovani) nei confronti della Cina e delle società straniere che estraggono le materie prime del continente senza reinvestire adeguatamente nei paesi da cui le prelevano. A questo proposito più di un terzo dei sudafricani, ugandesi ed etiopi considera negativa l'influenza straniera. E, in linea generale, il 72% ritiene che le risorse del paese potrebbero beneficiare al meglio le loro economie se gestite da compagnie locali, mentre il 24% preferirebbe fossero compagnie straniere a gestire le risorse.

Quando si parla di democrazie il 74% lo ritiene ancora il sistema migliore di governo, anche se c’è chi sostiene che in alcune circostanze un governo non democratico sia preferibile. Il 53% ritiene che la democrazia “in stile occidentale” non si adatti al contesto africano, che ha bisogno di trovare e applicare propri sistemi democratici e strutture di governo. E se solo il 18% dei giovani ha detto di aver pensato di concorrere per una carica pubblica, il 21% ha partecipato a manifestazioni negli ultimi tempi (in cima il Sudan con il 60%).

Altro aspetto molto interessate che emerge dall’inchiesta dell’IFF è il coinvolgimento nelle questioni ambientali. La maggior parte degli intervistati (72% complessivo) si dice preoccupata per il cambiamento climatico. Preoccupazione purtroppo spesso legata all’esperienza. Solo nel 2020, 1.2 milioni di africani sono sfollati a causa di alluvioni e uragani. Esperienze che hanno fatto crescere anche l’attivismo delle giovani generazioni: Kenya, Ghana e Ruanda sono i paesi con la maggiore presenza di giovani impegnati sul fronte ambientale, ma anche nella lotta per l’accesso a diritti fondamentali, come l’acqua o i servizi igienici. Nel continente sub-sahariano solo il 24% della popolazione ha accesso all’acqua potabile.

Veniamo poi all’uguaglianza di fronte alla legge, anche questo importante parametro per capire cosa pensano (e vivono) le giovani generazioni. Il 78% degli intervistati ha vissuto sulla propria pelle esperienze di discriminazione: a causa dell’appartenenza etnica, della lingua, della posizione sociale, del proprio credo, dell’orientamento sessuale o a causa di disabilità (fisica o mentale). Il 79% si dice preoccupato per la mancanza di protezione dei diritti delle donne, percentuale che sale all’81% per quanto riguarda la violenza di genere. Solo il 38% (evidenziando il grande pregiudizio su questo fronte) ritiene che il proprio paese dovrebbe fare di più per proteggere la comunità LGBTQ+, mentre l’83% vorrebbe che fossero maggiormente protetti i diritti delle minoranze etniche (anche questo un elemento che la dice lunga sulle criticità del continente sub-sahariano).

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Altro dato molto importante sulle relazioni sociali nel continente è quello sui rifugiati: il 64% degli intervistati ritiene che il proprio paese abbia l’obbligo morale di aiutare i rifugiati provenienti da territori confinanti, a prescindere dall’impatto che avranno. Solo il 28% pensa che i rifugiati avranno un impatto negativo e non dovrebbe essere loro consentito di entrare nel paese. Quelli più pronti ad aiutare i rifugiati sono i giovani di Ruanda (91%), Etiopia (75%) e Kenya (74%) mentre quelli del Sudafrica (44%), Repubblica Democratica del Congo (40%) e Nigeria (39%) sono contrari a accogliere i profughi. Va sottolineato che l'Africa sub-sahariana ospita più di un quarto della popolazione mondiale di rifugiati, circa 18 milioni di persone secondo l’UNHCR.

Il lavoro dell’Ichikowitz Family Foundation rappresenta una sorta di barometro delle speranze e delle preoccupazioni, ma anche degli obiettivi dei giovani africani. Giovani assai lontani dal giogo del colonialismo, ma che vivono quello delle economie di mercato, della globalizzazione, di un nuovo assetto geopolitico. Seppure poco coinvolti nelle decisioni che riguardano la loro vita, sembrano orientati verso scelte precise, puntando su loro stessi. Certo, sostenere i loro studi, progetti imprenditoriali, tenere a bada la corruzione, lavorare per creare davvero posti di lavori dovrebbe essere l’ambizione dei governi. Così come degli investitori quella di tenere conto di questo enorme potenziale.

Immagine anteprima via Paul Kagame

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