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COVID-19, in Africa ancora pochi casi ma ci si prepara al peggio

8 Aprile 2020 9 min lettura

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COVID-19, in Africa ancora pochi casi ma ci si prepara al peggio

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Il primo caso di nuovo coronavirus SARS-CoV-2 in Africa – dove vivono più di 1 miliardo e 200 milioni di persone – è stato annunciato dall’Egitto lo scorso 14 febbraio. Secondo quanto dichiarato dal Ministero della Salute egiziano si trattava di un cittadino straniero. Undici giorni dopo, il 25 febbraio, l’Algeria ha comunicato il secondo caso nel continente africano: un italiano, arrivato la settimana precedente nel paese. Successivamente, il 28 febbraio, è stato dichiarato il primo caso in Africa sub-sahariana. Il ministro della Salute in Nigeria, Osagie Ehanire, aveva affermato che la persona risultata positiva era un uomo proveniente per lavoro dal Nord Italia. 

A più di un mese e mezzo dal primo caso, secondo gli ultimi dati ufficiali, in Africa risultano oltre 10mila infetti (con quasi 500 morti e 989 guariti) in 52 Stati su 54. Ma il timore è che quelli non tracciati siano molti di più. 

Rispetto ad altre zone del pianeta, con un altissima diffusione di COVID-19 (la malattia provocata dal nuovo coronavirus) e migliaia di morti legati alla pandemia, a oggi "il contagio in Africa resta controllato", ha sottolineato il 6 aprile la rivista specializzata Africa e Affari. Questo però non significa che il peggio sia scampato. Lo scorso 19 marzo, il direttore generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l'etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus, aveva avvertito il "suo" continente di non cullarsi sui bassi casi ufficiali registrati fino a quel momento ma di "svegliarsi" e di "preparasi al peggio". Come scrive Linda Nordling su Science Magazine, il timore degli esperti è che in Africa l'epidemia possa "devastare i paesi con sistemi sanitari deboli e una popolazione colpita in maniera differente da HIV, tubercolosi (TB) e altre malattie infettive"L'OMS riporta infatti che il continente africano, oltre che con COVID-19, deve fare i conti anche con altre malattie e crisi umanitarie.

In media la popolazione in Africa ha un'età più bassa rispetto a quelle di altri paesi – un terzo di tutti gli africani ha meno di 30 anni – e questo dovrebbe essere un vantaggio nella lotta contro un virus che ha dimostrato di colpire maggiormente le persone anziane, sottolinea Al Jazeera, che però aggiunge che questo vantaggio potrebbe essere superato nel lungo periodo proprio a causa delle condizioni critiche dei diversi Stati africani, dovute alle varie epidemie già presenti nel continenti.

Inoltre, si legge sempre su Al Jazeera, "l'arrivo del virus in aree urbane affollate – dove esiste uno scarso accesso all'acqua pulita per lavarsi le mani con il sapone (ndr, una delle pratiche indicate dall'OMS per prevenire il contagio) e dove le politiche di auto-quarantena sono difficili da attuare – rischia di creare un'epidemia molto più estesa". Il ministro della Salute del Sud Africa, Zweli Mkhize, ha dichiarato che la bassa crescita numerica di casi positivi «potrebbe essere la calma prima della tempesta».

Per questo motivo, l'Organizzazione mondiale della sanità e i governi di diversi Stati africani hanno cercato di bloccare in anticipo la diffusione dell'epidemia e tentato di potenziare i sistemi sanitari del continente, che presentano disparità tra uno Stato e l'altro.

L'OMS il 20 febbraio aveva comunicato che il numero di paesi in Africa in grado di testare la positività o meno di persone infette da nuovo coronavirus era passato, in due settimane, da 2 a 24 e che altri Stati sarebbero stati presto abilitati. Inoltre, sempre l'agenzia speciale dell'ONU per la salute è impegnata anche a stabilire il numero esatto di letti in terapia intensiva disponibili in tutto il continente. Ma, scrive il Guardian, "il Sud Africa, che ha uno dei migliori sistemi sanitari pubblici in Africa, ha meno di 1.000 posti letto in terapia intensiva, di cui 160 nel settore privato, per una popolazione di 56 milioni. In Malawi, ci sono circa 25 letti di terapia intensiva negli ospedali pubblici, che servono 17 milioni di persone. Il principale ospedale per malattie infettive nella capitale dello Zimbabwe, Harare, non ne ha nessuno, ha dichiarato l'Associazione dei medici per i diritti umani dello Zimbabwe. La Nigeria, lo stato più popoloso dell'Africa, sta lavorando duramente per aggiungere letti per l'isolamento e fornire formazione e attrezzature mediche più specializzate negli ospedali statali".

Il 22 marzo l'Unione africana ha annunciato la donazione da parte dell'Alibaba Foundation di oltre 1,5 milioni di kit di test diagnostici di laboratorio e oltre 100 tonnellate di prodotti per la prevenzione e il controllo delle infezioni. Come specificato però dalla direttrice regionale per l'Africa dell'OMS, Matshidiso Moeti, la disponibilità dei kit per far test è una problematica importante: «Stiamo lavorando duramente con partner e sedi centrali per reperirli ovunque è possibile».

Altra questione è la mancanza dei ventilatori polmonari utili per i pazienti affetti in maniera grave da COVID-19, con la conseguente difficoltà nel reperirli per via della domanda globale.

Inoltre, come documentato dal Time in Africa c'è anche un basso numero di medici in proporzione a quello degli abitanti, rispetto ad altri continenti e paesi, e la carenza globale di dispositivi di protezione ha colpito anche le nazioni africane. Secondo una testimonianza raccolta dal magazine americano in Zimbabwe, ai medici e agli infermieri viene assegnato un paio di guanti, due maschere e un grembiule di carta per turno, con il rischio che, se l'epidemia crescerà, proprio questi saranno i più colpiti.

In molti Stati, anche con pochi casi registrati, sono state poi emanate rapidamente misure temporanee di distanziamento sociale – come restrizioni per raduni pubblici, chiusura di scuole, di servizi religiosi e cancellazione di eventi di massa –, la sospensione dei voli dalle zone maggiormente colpite dall'epidemia in Asia e in Europa e controlli negli aeroporti. Le misure di restrizione, in alcuni casi, però possono anche diventare per alcuni governi africani un'occasione per reprimere libertà politiche una volta per tutte, denuncia il giornalista freelance Patience Akumu dall'Uganda.

Stabilire inoltre per legge, come fatto in altri paesi occidentali e asiatici, un blocco di spostamenti e attività lavorative a livello nazionale o territoriale in diverse parti del continente africano si scontra con la realtà delle economie "informali" composte da milioni di persone, sprovviste di risparmi bancari e carte di credito, costrette ogni giorno a uscire per guadagnare soldi. "In Nigeria, dove sono in atto lockdown completi come a Lagos e ad Abuja, le piccole imprese e i commercianti stanno trovando il modo di sopravvivere. (...) In diversi sobborghi dello Stato, gli operatori del trasporto pubblico, compresi i tricicli e le motociclette ora vietati, continuano a funzionare nonostante l'alto rischio di sequestro di questi mezzi. Nello Zimbabwe, dove è in corso un lockdown di 21 giorni, i cambiavalute illegali che erano soliti operare nel centro della città e nei centri commerciali in periferia ora conducono affari a casa. In Kenya, i commercianti stanno ancora provando a fare affari nonostante la minaccia della brutalità della polizia", riporta Quartz Africa.

Notizie di abusi da parte delle forze dell'ordine e di uso della violenza sono arrivate anche dallo Zimbabwe, dalla Nigeria e dal Congo. Shenilla Mohamed, direttrice esecutiva di Amnesty International Sud Africa, ha denunciato che violenze e umiliazioni sembrano essere l'unico modo con cui le autorità gestiscono la popolazione e ha ricordato: «Sebbene sia urgente e importante garantire l'adesione delle persone al lockdown, il semplice ricorso alla forza difficilmente porterà risultati. (...) Le forze di sicurezza devono sempre attenersi alle leggi e agli standard nazionali e internazionali sui diritti umani».

Altra questione potenzialmente esplosiva è quella legata ai profughi e ai migranti presenti in Africa. Come denunciato dall'UNHCR, un focolaio da nuovo coronavirus ad esempio in Libia – paese diventato negli anni punto di approdo per migliaia di migranti provenienti da diversi paesi africani che vogliono raggiungere l'Europa e fuggire da guerre, carestie, povertà e violenze e che finiscono confinati in condizioni critiche in diversi "campi di detenzione" – potrebbe avere conseguenze "catastrofiche". Dallo scorso aprile nel paese è in atto un conflitto interno, dopo l'offensiva lanciata dal "generale" Khalifa Haftar per la conquista di Tripoli, che ha provocato ad oggi la morte di più di 300 civili e oltre 150mila sfollati.

Le Nazioni Unite hanno inoltre affermato il 3 aprile scorso che in Libia "nonostante l'accordo provvisorio su una tregua umanitaria, i combattimenti si sono intensificati in modo significativo nell'ultima settimana". Lo scorso marzo, Badereldine al-Najar, a capo del Centro nazionale libico per il controllo delle malattie (NCDC), aveva dichiarato di ritenere il paese non in grado di affrontare COVID-19, anche per via del conflitto in corso che ha avuto gravi ripercussioni sul sistema sanitario e sui servizi medici del Paese, già caratterizzato da risorse finanziarie limitate e carenze di attrezzature e medicinali di base.

Questa situazione si riscontra anche in altri Stati del continente africano. Per questo motivo l'UNHCR ha annunciato di aver intensificato "gli sforzi volti a rafforzare la capacità di prevenire, curare e contenere la potenziale diffusione di COVID-19 tra le comunità di rifugiati presenti nella regione che comprende Africa Orientale, Corno d’Africa e Grandi Laghi e che accoglie una delle popolazioni di rifugiati di più vaste dimensioni su scala mondiale". "Date le condizioni di affollamento in cui vivono – si legge ancora –, senza accesso adeguato ad acqua e servizi igienico-sanitari, e con sicurezza alimentare e mezzi di sostentamento precari, in questa regione i rifugiati sono particolarmente vulnerabili al virus, sia nei campi di accoglienza sia nelle aree urbane".

In un messaggio pubblicato sul proprio profilo Twitter martedì 7 aprile, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato che l'Unione europea riserverà 15 miliardi di euro per aiutare i partner nel mondo a combattere il nuovo coronavirus e in particolare l'Africa «che potrebbe affrontare gli stessi problemi dell'Europa fra qualche settimana». Aiuti che «potranno servire a coprire i bisogni immediati nel settore sanitario, e a sostenere l'economia in questi Paesi».

Proprio a livello economico l'Africa potrebbe avere forti impatti negativi a causa della pandemia in atto. Secondo uno studio dell'Unione Africana, riportato da Le Monde, l'epidemia da nuovo coronavirus potrebbe portare a una perdita di 20 milioni di posti di lavoro. Nel rapporto vengono presentati due scenari: nel primo viene ipotizzato che la pandemia durerà fino a luglio, con il continente non tanto colpito dall'epidemia, mentre nel secondo si prospetta una durata fino ad agosto, con una maggiore diffusione del contagio. In entrambi i casi, la crescita economica in Africa sarebbe negativa, rispettivamente di -0,8% e -1,1%. Prima che la pandemia colpisse il continente, riporta il quotidiano francese, l'African Development Bank (AfDB) prevedeva una crescita del + 3,4% per il 2020.

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Sempre secondo il rapporto, anche se a oggi il contagio in Africa non è 'esploso', ci sono già state conseguenze economiche a causa dei legami commerciali con altri paesi duramente colpiti da COVID-19: "Il continente africano ha visto le sue importazioni ed esportazioni calare del 35%, ovvero circa 270 miliardi di dollari (250 miliardi di euro)". Inoltre, le restrizioni in atto che pesano sul trasporto aereo potrebbero costare al settore turistico "almeno 50 miliardi di dollari" e "almeno 2 milioni di posti di lavoro diretti e indiretti".

Camillo Casola dell'ISPI riporta poi che "l’impatto di COVID-19 sull’industria estrattiva potrebbe risultare in un calo verticale degli introiti per il 2020, portando il totale a 101 miliardi di dollari secondo le previsioni ECA. A essere colpiti saranno soprattutto paesi come l’Angola, dove il petrolio rappresenta l'89% dell’export, occupando una quota di PIL del 30% circa; la Nigeria, che vede gli idrocarburi costituire il 92% delle esportazioni e contribuire per l’11% al PIL nazionale; il Sudafrica, che pur contando su una maggiore diversificazione produttiva, esporta risorse energetiche per 9 miliardi di dollari annui". Secondo un rapporto dell’Overseas Development Institute (ODI), continua Casola, il Kenya risulterà verosimilmente lo stato africano più colpito dalle ripercussioni degli effetti dell’epidemia sull’economia della Cina, davanti ad Angola, Congo, Sierra Leone, Lesotho e Zambia. Questo, "in ragione dell’esposizione diretta e indiretta derivante dalle strette connessioni con Pechino, in termini di relazioni commerciali, investimenti, collegamenti aerei, su cui la crisi cinese produrrà un impatto sostanziale nei prossimi mesi".

Foto in anteprima via Ansa

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