Il tradimento dell’Occidente, il futuro dell’Afghanistan [podcast]
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"Per decidere la guerra ci sono voluti 7 giorni, per avviarla meno di 4 settimane, per concluderla ci vorranno 20 anni", ricorda Nico Piro in "Kabul crocevia del mondo". Sette giorni dopo l'11 settembre 2001, le macerie delle Torri Gemelle ancora fumanti, il 18 settembre mentre il quadro politico degli attacchi resta vago il Congresso americano si riunisce e consegna nella mani della Casa Bianca un'autorizzazione a muovere guerra in risposta di quegli attacchi.
Durante il dibattito parlamentare, Barbara Lee, californiana, democratica, nera dirà: "Sono convinta che azioni militari non servano a prevenire ulteriori attacchi terroristici internazionali contro gli Stati Uniti. Questa è una materia complessa e complicata... Evitiamo di diventare quel male che combattiamo... Pensiamo alle conseguenze delle nostre azioni odierne per evitare che tutto finisca fuori controllo". Il provvedimento passerà con 518 voti a favore, uno solo contro. Il suo. Quell'autorizzazione, definita da Piro una sorta di libretto degli assegni bellici in bianco, valida tutt'oggi, è talmente vaga e aperta che da quel momento quattro presidenti (George W. Bush, Obama, Trump e Biden) non dovranno nemmeno passare per l'approvazione parlamentare prima di avviare nuove azioni militari. 19 giorni dopo quel voto, il 7 ottobre 2001, i talebani saranno costretti a lasciare Kabul, ci rientreranno il 15 agosto del 2021, senza sparare un colpo, quando occupano la capitale, ottengono la fuga del presidente Ghani sostenuto dagli occidentali e dal palazzo presidenziale annunciano che proclameranno l’Emirato Islamico di Afghanistan, usando lo stesso nome del paese di prima dell’arrivo degli americani.
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La sconfitta americana, scrive Nico Piro, è perfettamente sovrapponibile a quella sovietica in Afghanistan. In entrambi i casi sul piano bellico si è assistito a un stallo - una reciproca impossibilità di vincere, con le conseguenze per le forze straniere di restare bloccate in un conflitto senza prospettiva, con troppe perdite e costi economici elevati - e a una vera e propria disfatta sul piano politico. Mosca rimarrà impantanata in Afghanistan 10 anni, dal 1979. Gli Stati Uniti, ricorda sempre Nico Piro, per dare ai russi il loro Vietnam, appoggiano contro di loro i mujaheddin, i combattenti islamici, gli "sconfitti" dell'Università di Kabul, che vogliono riprendersi il paese. Finanziando la guerriglia antisovietica, gli americani non sapevano che quella guerra santa, quella guerra per la liberazione avrebbe funzionato come incubatrice del terrorismo islamico: dal mondo dei mujaheddin emerge Bin Laden, la mente dell'attacco all'America del 2001. La ritirata russa, la sconfitta del governo filosovietico non fermeranno la guerra, e l'Afghanistan precipiterà in un nuovo caos fino alla totale affermazione dei talebani che riportano ordine e sicurezza, ma anche oppressione, fanatismo religioso, terrore. Il 12 novembre 2001 saranno costretti a fuggire. Da lì l'illusione di una guerra lampo vinta in pochi giorni. In realtà è solo l'inizio, il paese scivolerà lentamente nel baratro tra migliaia di civili uccisi, un governo "democratico" corrotto, "imbottito di personaggi che hanno le mani sporche di sangue dei propri connazionali" e continui attacchi terroristici.
E così i talebani sono tornati al potere dopo vent’anni di conflitto che gli Stati Uniti e gli occidentali non sono riusciti a vincere – nonostante abbiano investito miliardi di dollari e perso migliaia di uomini, che si sommano alle centinaia di migliaia di civili uccisi.
Com’è stato possibile? Che cosa è successo nei mesi e negli anni che hanno preceduto la caduta di Kabul? Quanto hanno pesato gli errori del passato che a lungo l’Occidente non ha voluto vedere? Chi riempirà il vuoto politico-diplomatico che gli Stati Uniti si sono lasciati dietro? Chi sono i nuovi talebani e quanto possono dirsi nuovi? Su cosa poggia il loro consenso? Che ne sarà del faticoso percorso intrapreso per l'emancipazione e la conquista di diritti delle donne? Qual è il futuro dell’Afghanistan? Un paese dove oggi solo il 5% della popolazione riesce a sfamare la propria famiglia, dove le donne non possono più lavorare o studiare, dove i giornalisti sono picchiati, torturati, uccisi o in galera. E pensare che l'unico vero risultato della "ricostruzione" afghana si potrebbe dire che ha riguardato proprio il mondo dell'informazione: nel 2001 i giornalisti attivi in semiclandestinità erano davvero pochissimi. Nel 2021 c’erano 464 testate tra radio tv carta stampata, centinaia di report capaci di coprire ogni provincia, moltissime le donne giornaliste... Cosa è rimasto di tutto questo?
Ne abbiamo parlato con due giornalisti italiani fra i massimi esperti di Afghanistan.
Nico Piro, autore di diversi libri sull’Afghanistan, tra cui l’ultimo pubblicato ad aprile “Kabul, crocevia del mondo” edizioni People. Giornalista pluripremiato, inviato speciale del tg3. I suoi documentari sono stati premiati in Europa e nel mondo, compreso il suo corto Today I will live, sul conflitto afghano. Di recente ha prodotto il mediometraggio Un Ospedale in Guerra – Emergency in Afghanistan.
Barbara Schiavulli, pluripremiata corrispondente di guerra e scrittrice, ha seguito i fronti caldi degli ultimi vent'anni, come Iraq e Afghanistan, Israele, Palestina, Pakistan, Yemen, Sudan. È cofondatrice e condirettrice di Radio Bullets. Tra i suoi ultimi libri Bulletproof diaries. Storie di una reporter di guerra e Quando muoio, lo dico a Dio. Storie di ordinario estremismo.
Immagine anteprima: Afghanistan 2022, Barbara Schiavulli