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L’Afghanistan sta affrontando un disastro climatico ed è arrivato il momento che il mondo se ne accorga

28 Luglio 2022 4 min lettura

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L’Afghanistan sta affrontando un disastro climatico ed è arrivato il momento che il mondo se ne accorga

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Definire la situazione generale dell'Afghanistan profondamente drammatica significherebbe non riconoscerne la gravità. Da quando le forze statunitensi sono andate via il paese non è più sotto i riflettori dei media, nonostante le violazioni dei diritti umani, i disastri ambientali e la minaccia di un'altra crisi alimentare siano notizie che meriterebbero l'apertura di qualsiasi telegiornale e la visibilità su qualunque homepage.

Le testate locali – le poche sopravvissute al ritorno del vecchio regime – non sono in grado o non vogliono raccontare in maniera critica quello che sta accadendo a causa di evidenti timori di ritorsioni. Per i mezzi di informazione internazionali, le vicende dell'Afghanistan sembrano aver raggiunto un vicolo cieco: non accade nulla di nuovo né di particolarmente “avvincente” da attirare l'attenzione delle comunità di lettori.

A denunciarlo sul Guardian è Shadi Khan Saif, un giornalista afghano che vive a Melbourne.

A quasi un anno dal ritorno al potere dei talebani, dalla fuga disperata degli afghani e dall'attacco all'aeroporto di Kabul, l'interesse sulle vicende del paese negli ultimi mesi è stato relegato a immagini di donne e bambini, in preda alla fame, condivise da importanti ONG per sensibilizzare l'opinione pubblica sull'emergenza e alle foto spaventose del terremoto devastante dello scorso 22 giugno.

Da settimane, in un paese già piegato dalle conseguenze della guerra, dalle violazioni dei diritti umani, dalla mancanza di beni di prima necessità, molte città e villaggi sono sommersi da inondazioni improvvise causate da un'incessante ondata di piogge e dallo scioglimento dei ghiacciai che hanno provocato vittime e distrutto i pochi mezzi di sussistenza a disposizione di comunità emarginate che già sopravvivono faticosamente grazie ad esigue quantità di aiuti provenienti dall'estero.

Ma di tutto questo nessuno ne parla.

I ghiacciai dell'Himalaya, ancora di salvezza degli afghani che, non avendo sbocchi sul mare, dipendono fortemente dai corsi d'acqua naturali e dai fiumi, si stanno sciogliendo a ritmo serrato, causando alluvioni che hanno origine dalle montagne delle province settentrionali e che arrivano fino alle pianure del sud. A peggiorare la situazione la totale mancanza, negli ultimi venti anni, di politiche di sviluppo sulla conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione dell'acqua in un paese che non è più dotato di infrastrutture per il trasporto idrico. I livelli delle acque sotterranee, inoltre, stanno diminuendo in modo allarmante poiché rappresentano l'unico modo per la popolazione di approvvigionarsi d'acqua.

In questo periodo, in Afghanistan, dovrebbe essere stagione di raccolta. Di frutta e prodotti da conservare per l'inverno, dopo mesi di duro lavoro. Ma il clima degli ultimi tempi ha compromesso il ciclo delle colture. Sugli altopiani centrali ha nevicato poco, un lungo periodo di siccità ha sostituito le consuete piogge primaverili. Poi sono arrivate violente tempeste di grandine che hanno distrutto i frutteti. Le coltivazioni di grano sono andate distrutte a causa della pioggia battente.

Prima degli ultimi acquazzoni, la siccità era talmente grave e l'ondata di caldo così intensa da causare molteplici incendi boschivi nell'est e nel sud del paese. Per domare le fiamme la popolazione locale delle province di Khost e Nuristan, colpite dagli incendi, si è affidata ai giovani delle comunità che hanno trasportato secchi d'acqua e sabbia a mani nude, incessantemente di giorno e di notte.

La situazione climatica nel paese è così grave da scatenare, con ogni probabilità, un'altra crisi alimentare nei mesi a venire proprio quando la consegna degli aiuti è ostacolata e compromessa dall'invasione russa dell'Ucraina, che provoca problemi nella catena di approvvigionamento, inflazione e insofferenza da parte dei donatori.

“I media sono gli unici responsabili di tutto questo?”, si chiede Saif. La risposta è no. Però potrebbero fare di più per aiutare e sensibilizzare. Allo stesso modo i maggiori responsabili dell'inquinamento e dei danni ambientali devono assumersi la responsabilità delle conseguenze che hanno inflitto a una popolazione lasciata alla mercé dei talebani.

Prima che l'Afghanistan precipitasse nell'attuale crisi, il Green Climate Fund (GCF) – il fondo istituito per rispondere ai cambiamenti climatici attraverso investimenti orientati al sostegno di paesi in via di sviluppo al fine di ridurne le emissioni nocive migliorandone la sicurezza alimentare e l’ottimizzazione del suolo – aveva promesso che sarebbe arrivato un finanziamento, ma con la caduta di Kabul nelle mani dei talebani sembra che il mondo abbia semplicemente abbandonato il paese, chiudendo un occhio sull'escalation dei disastri.

A peggiorare un quadro già drammatico si aggiunge il cinismo dei paesi confinanti che hanno manipolato la situazione a proprio vantaggio con accordi stipulati a prezzi stracciati con i talebani che darebbero loro accesso alle ricche risorse naturali del paese.

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Mentre la Cina ha puntato gli occhi sulle riserve di litio, ferro e rame, il Pakistan ha velocizzato l'importazione di carbone, accelerando così lo scioglimento dei ghiacciai himalayani e l'aumento dei livelli di inquinamento globale. Per il Pakistan, un paese in crisi economica, un flusso costante di carbone aiuterà ad accendere le centrali elettriche e a rimettere in moto la rete ferroviaria in difficoltà.

Si può discutere di questioni politiche interne al paese, ma l'emergenza climatica che l'Afghanistan sta affrontando dipende dall'estero, dice Saif. È arrivato quindi il momento che il mondo e i paesi vicini si assumano le proprie responsabilità.

Immagine in anteprima: frame video Al Jazeera via YouTube

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