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Acqua, un bene comune non tutelato

22 Marzo 2024 8 min lettura

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Acqua, un bene comune non tutelato

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Sono 52 milioni le persone in Europa che vivono in aree considerate sotto stress idrico per almeno un mese all'anno: di queste il 28%, circa 15 milioni, si trova in Italia. L'andamento è in peggioramento, e questi numeri sono destinati a crescere nei prossimi anni. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per il Mediterraneo, entro il 2050 la richiesta di acqua raddoppierà o addirittura triplicherà. Il 22 marzo si celebra la giornata mondiale dell’acqua, istituita già nel 1992: ogni anno si parla dell’importanza di tutelare questa fondamentale risorsa, ma poi i dati che ci troviamo davanti agli occhi sono sempre più preoccupanti.

“Continuiamo ad affrontare la questione dell’acqua con un approccio emergenziale: si parla poco dell’importanza di tutelare questo bene comune, se non quando scarseggia”, afferma Stefania Di Vito dell’ufficio scientifico di Legambiente, esperta di usi della risorsa idrica. “Il discorso pubblico è troppo centrato sulla logica dell’accumulo: si parla molto dei desalinizzatori e degli invasi, per accumulare più acqua, mentre quello che servirebbe è un cambio del nostro modello di utilizzo. Non abbiamo bisogno di più acqua da usare, abbiamo bisogno di usarne meno, e meglio”.

Il Mediterraneo è un hotspot di rilevanza globale del cambiamento climatico: i dati mostrano un rapido cambiamento di indicatori chiave come le temperature, la quantità di piogge, il livello del mare e la disponibilità delle risorse idriche superficiali e sotterranee. Nel 2022 il livello di disponibilità di acqua in Italia è stato il più basso degli ultimi cent'anni, con un 30% di piogge in meno: la Società Meteorologica Italiana l’ha definito un anno “tra i più estremi mai registrati in termini di caldo e deficit di precipitazioni”. Secondo i dati dell’Osservatorio CittàClima di Legambiente, sono aumentati del 367% i casi di danni dovuti alla siccità, passati dai 6 del 2021 ai 28 del 2022.

In un periodo storico in cui i cambiamenti climatici si stanno facendo sempre più evidenti, mettendo a rischio la quantità e la qualità d’acqua a disposizione, è necessaria un’accelerazione nel cambiare il modo di gestire questa preziosa risorsa. Eppure lo spreco di acqua potabile dovuto alle perdite degli acquedotti continua, tanto che ogni anno si perdono più di 3 miliardi di metri cubi d’acqua.

Una dashboard per analizzare lo stato delle acque in Italia

Per monitorare a che punto siamo oggi nel nostro paese, OBCT/Centro per la cooperazione internazionale ha realizzato la dashboard Lungo le vie dell’acqua, che mette a disposizione dati aperti provenienti da molteplici fonti: per rendere i numeri più facilmente comprensibili e consultabili sono state realizzate mappe interattive, che partono da alcuni indicatori cruciali per analizzare il cambiamento in atto.

Attraverso le rilevazioni raccolte da Ispra, per ognuna delle province italiane è possibile studiare le variazioni di diversi parametri, calcolando la differenza fra la media del periodo 1951-1980 e quella del periodo 1993-2022. Uno dei parametri più emblematici è la disponibilità idrica, ovvero la differenza fra l’afflusso totale di acqua al suolo e l’effettivo livello di evaporazione e traspirazione: negli ultimi trent’anni, la disponibilità idrica in Italia si è ridotta del 20%. Le province con i dati più preoccupanti si trovano in Sardegna: la situazione peggiore è stata registrata a Sassari, con un -33%, seguita da Nuoro (-32%), Sud Sardegna (-30%) e Oristano (-28%).

Il meccanismo che porta al calo della disponibilità idrica è semplice: piove meno, le temperature sono più alte, e l’evaporazione e la traspirazione dell’acqua di conseguenza crescono. I dati confermano questo trend: le precipitazioni medie annue sono in calo, e in alcune province toccano dati allarmanti. Nella provincia di Pistoia, la differenza tra le precipitazioni medie annue del periodo 1951-1980 e quelle del periodo 1993-2022 è di 166 mm di pioggia che cade in meno ogni anno, seguita dalla provincia di Varese (-154 mm), Cosenza (-143 mm), Frosinone (-142 mm) e Novara (-139 mm).

Parallelamente le temperature crescono, e lo fanno anche in questo caso in modo non uniforme sul territorio nazionale. La variazione maggiore è stata registrata al nord Italia: l’aumento più preoccupante si è registrato nella provincia di Aosta, dove in quarant’anni si è arrivati a un +1,9° C. Poi troviamo le province di Bolzano, Sondrio e Torino, con un +1,7° C, e la provincia Verbano-Cusio-Ossola con un +1,6%. Il caldo favorisce l’evaporazione e la traspirazione delle acque, e infatti a livello geografico si riscontra una coerenza nelle rilevazioni: le province in cui l’evapotraspirazione è stata maggiore sono di nuovo Aosta (+91 mm di acqua evaporata), Verbano-Cusio-Ossola (+82 mm), Bolzano (+80 mm), Sondrio (+77 mm) e Trento (+72mm).

Il risultato è un aumento rilevante degli eventi siccitosi. Ma la siccità è un problema che si verifica a macchia di leopardo e che colpisce zone diverse a seconda dei periodi: lo si vede analizzando i dati distribuiti dallo European Drought Observatory del Joint Research Center della Commissione Europea. Nel corso del 2023 si ha un’evoluzione molto rapida degli eventi siccitosi, che cambia mese per mese: la “zona rossa” si colloca a sud e a nord-ovest a gennaio, si allarga poi a tutto il nord Italia in primavera, fino a coinvolgere praticamente tutto il territorio nazionale in autunno.

Poi ci sono i dati pubblicati dall’Osservatorio Siccità del Consiglio Nazionale delle Ricerche, che mostrano che in Italia il 2023 è stato il secondo anno più caldo dal 1800, subito dopo il 2022, l’anno peggiore di sempre. La situazione più critica è sulle isole: in Sardegna, a inizio 2024 gli invasi risultavano pieni solo per circa il 50%, tanto che il Consorzio di Bonifica della Sardegna Centrale ha vietato l’uso dell’acqua per l’irrigazione. In Sicilia la siccità e le alte temperature hanno costretto diversi comuni al razionamento dell’acqua, tanto che la scorsa settimana la regione ha approvato lo stato di emergenza fino al prossimo 31 dicembre in sei province – Agrigento, Caltanissetta, Enna, Messina, Palermo e Trapani. A parte qualche rara eccezione, nell’isola non piove da mesi e le conseguenze della mancanza d’acqua sono ormai evidenti: i laghi artificiali sono vuoti, molti fiumi sono in secca e gli agricoltori non riescono a irrigare i campi.

Le politiche pubbliche e l’opinione dei cittadini

La dashboard non si limita ad analizzare gli aspetti ambientali, ma considera anche il rapporto tra l'acqua pubblica, le infrastrutture idriche e le politiche delle amministrazioni locali. In Italia uno dei problemi maggiori è infatti quello dello spreco di acqua dovuto a un’infrastruttura idrica obsoleta e agli scarsi interventi di manutenzione: quando si rompe una tubatura importante si creano pozzanghere nelle strade o temporanei allagamenti, ma nella gran parte dei casi si tratta di piccole perdite che vengono riassorbite dal terreno e che non vengono individuate. Grazie ai dati raccolti da Istat è possibile valutare a quanto ammonta la dispersione idrica nelle diverse province italiane, e i dati non sono confortanti: in 27 province su 107, più della metà dell’acqua viene persa. In questo caso il dato peggiore è registrato nella provincia di Latina, dove si spreca ben il 74% del totale dell’acqua che passa nella rete idrica, seguita da Belluno (71%), Frosinone (69%), l’Aquila (68%) e Chieti (64%). Ma anche le province più “virtuose” presentano dati comunque critici: il risultato migliore è quello del territorio di Milano, dove “solo” il 18% dell’acqua della rete pubblica va dispeso, poi vengono le province di Aosta, Ravenna e Ascolti Piceno, dove si perde il 24% dell’acqua, ovvero quasi un quarto del totale.

Oltre al problema della rete idrica colabrodo, c’è la questione del mancato trattamento delle acque reflue. In molti comuni gli impianti sono vecchi, non manutenuti, e in alcuni casi non ci sono proprio. Tanto che in Italia più di una persona su 60 risiede in un Comune privo di fognature. “Sono quasi 300 i comuni senza un servizio di depurazione delle acque reflue urbane”, spiega Stefania Di Vito. “Addirittura, 40 non hanno neanche un servizio pubblico di fognature. Il problema tocca milioni di abitanti e ha ripercussioni sulla salute pubblica e sull’ambiente”. Per aver disatteso la direttiva europea sul trattamento delle acque reflue urbane, la Commissione ha avviato diverse procedure di infrazione contro l’Italia. “Per questa inadempienza, sono partite le prime richieste di sanzioni finanziarie”, continua Di Vito. “Questo significa che perderemo soldi pubblici, soldi che potrebbero essere investiti nell’adeguamento degli impianti”.

La dashboard affronta anche la questione del complesso rapporto tra i cittadini e l’acqua pubblica. Utilizzando i dati raccolti attraverso un sondaggio di Istat del 2022, si scoprono le opinioni delle persone su temi come la presenza o meno di disservizi idrici o la qualità dell’acqua pubblica. Ancora oggi, quasi un italiano su tre (29%) non si fida di bere l’acqua del rubinetto. La percentuale varia molto da regione a regione e i problemi maggiori si riscontrano al sud e nelle isole: in Sicilia si arriva al 62%, in Calabria al 51%, in Sardegna al 49%. In altre regioni, soprattutto al nord, le percentuali sono molto più basse: in Trentino-Alto Adige chi non si fida di bere l’acqua del rubinetto è poco più del 2%, mentre in Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta la percentuale è del 12%. Le stesse disuguaglianze territoriali si trovano tra chi lamenta irregolarità nell’erogazione dell’acqua: la media nazionale è del 10%, ma in regioni come la Calabria, la Sicilia e l’Abruzzo si arriva rispettivamente al 41%, 33% e 22%.

Infine, c’è l’analisi di quanto i cittadini siano soddisfatti della qualità dell’acqua a cui hanno accesso e del servizio di distribuzione. In Italia, il 14% dei cittadini si dice “per niente” o “poco” soddisfatto del servizio idrico pubblico, una percentuale relativamente bassa che però sale al 41% in Calabria, al 32% in Sicilia e al 29% in Abruzzo. Di nuovo, soddisfazione massima si riscontra a Bolzano (2%) e Trento (4%). Rispetto alla qualità dell’acqua, il 23% degli italiani sono “per niente” o “poco” soddisfatti, ma la percentuale è molto più alta nelle regioni insulari e del sud (Calabria 43%, Sicilia 40%, Sardegna 33%). Un’Italia a macchia di leopardo, quindi, dove il diritto all’accesso a un’acqua di qualità non è garantito per tutti allo stesso modo.

Verso un approccio sistemico della gestione dell’acqua

Il progetto di cui fa parte la dashboard, “Lungo le vie dell’acqua: ambiente, cultura, qualità di vita per educare alla cittadinanza globale”, vive anche al di fuori delle statistiche e della rete. Per creare coscienza diffusa sui territori sulla necessità di tutelare l’acqua come bene comune, sono state attivate tre comunità educanti a Rovereto, Cuneo e Mantova, comuni che si impegnano per una gestione sostenibile dell’acqua in prospettiva g-locale e inclusiva. In particolare, sono state realizzate formazioni per gli amministratori pubblici, gli insegnanti, i giornalisti e gli operatori del terzo settore, è stata lanciata una campagna di sensibilizzazione e sono state organizzate due edizioni della Settimana civica, che vede per protagoniste le scuole in una serie di eventi che ruotano attorno ai temi della gestione responsabile dell’acqua.

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“Per una gestione sostenibile di una risorsa vitale come l’acqua, è necessario adottare un approccio sistemico e integrato”, spiega Stefania Di Vito di Legambiente. “Per ridurre la nostra impronta idrica, bisogna innanzitutto cambiare il nostro modello di utilizzo dell’acqua, abbassando in primis la richiesta. Usiamo ancora l’acqua potabile quando non sarebbe necessario: pensiamo ad esempio agli sciacquoni nei bagni, o alle irrigazioni. La qualità dell’acqua invece dev’essere adeguata all’uso: ecco perché bisognerebbe lavorare ad esempio sul recupero acque meteoriche in città. E poi c’è tutto il tema dell’ammodernamento della rete idrica, per evitare gli sprechi e le perdite”.

“Dovremmo puntare sull’efficientamento del ciclo idrico integrato, non solo per usi civili, ma anche per usi agricoli e industriali: la chiave è investire sul riciclo e riuso dell’acqua, in un’ottica di circolarità”, conclude Di Vito. “Ora che il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC, ndr) è stato approvato in via definitiva, dobbiamo metterci al lavoro: tutte le attività umane vanno ripensate in un’ottica di ottimizzazione, per la tutela di una risorsa vitale come l’acqua”.

Immagine in anteprima via London School of Economics

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