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10 domande e risposte sull’accordo europeo ‘Recovery Fund’

22 Luglio 2020 16 min lettura

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10 domande e risposte sull’accordo europeo ‘Recovery Fund’

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15 min lettura

di Carlo Canepa

Nella notte del 21 luglio il Consiglio europeo – dove siedono i capi di Stato o di governo dei 27 Paesi membri dell’Ue – ha raggiunto un accordo sulla struttura e le risorse del Next generation Eu, un fondo pensato per contrastare la crisi economica e sanitaria causata dalla COVID-19, e del prossimo bilancio dell’Ue, valido per il periodo tra il 2021 e il 2027.

Prima di entrare in tutti i dettagli dell’accordo, è necessario fare una premessa: come ha sottolineato un approfondimento di Politico, e come vedremo nel dettaglio più avanti, esiste ancora un doppio margine di incertezza su quanto deciso dal Consiglio europeo. 

Da un lato, su alcuni aspetti del Next generation Eu i 27 Stati membri sono rimasti un po’ vaghi, mentre sul prossimo bilancio comunitario ora la palla passa la Parlamento europeo.

Dall’altro lato, tutte le cifre che circolano nelle ultime ore (per esempio, su quanti soldi arriveranno all’Italia grazie al Next generation Eu) vanno prese con le dovute cautele, dal momento che non sono ancora definitive, pur provenendo da fonti autorevoli, anche interne alla stessa Ue.

Ma vediamo nel dettaglio, in dieci domande e risposte, che cosa è stato deciso dal Consiglio europeo (qui sono consultabili le conclusioni in italiano, qui in inglese) e quali sono i temi di maggiore dibattito nelle ultime ore.

1. Che cosa è stato deciso dal Consiglio europeo?

L’accordo preso tra i 27 Stati membri – ricordiamo che il Regno Unito è uscito dall’Ue il 31 gennaio 2020 – verte su un pacchetto di misure i cui elementi centrali sono il Next generation Eu e il futuro quadro finanziario pluriennale (Qfp) dell’Unione. 

Il Next generation Eu è un fondo – anche noto in Italia con il nome di Recovery fund o “Fondo per la ripresa” – il cui obiettivo è quello di aiutare i Paesi Ue a riprendersi dalla crisi economica causata dall’emergenza coronavirus.

Secondo le previsioni economiche più aggiornate della Commissione europea (pubblicate lo scorso 7 luglio), nel 2020 il Pil dell’Ue subirà infatti un calo dell’8,3%, per poi segnare un +5,8% nel 2021. In base a queste previsioni, l’Italia sarà il paese più colpito dalla crisi, con un -11,2% a fine 2020. 

L’obiettivo del Next generation Eu è proprio quello di limitare i danni di questa crisi economica, grazie a risorse economiche per un valore complessivo di 750 miliardi di euro, divisi come vedremo tra poco tra prestiti e sussidi a fondo perduto.

Come ha spiegato il Consiglio europeo nelle sue conclusioni del 21 luglio, questo fondo per la ripresa «potrà dare i risultati auspicati ed essere sostenibile soltanto se associato e in armonia con il tradizionale Qfp, che dal 1988 plasma le nostre politiche di bilancio e offre una prospettiva a lungo termine».

In parole semplici, il quadro finanziario pluriennale (Qfp) è il bilancio dell’Ue, che come suggerisce il nome vale per più anni, in questo caso per il periodo di sette anni compreso tra il 2021 e il 2027. Fanno parte del Qfp, per esempio, i fondi europei che vengono distribuiti ai singoli Stati membri, oppure altri interventi di natura fiscale e sociale.

Il 21 luglio il Consiglio europeo si è accordato per il Qfp 2021-2027 con un valore pari a 1.074,3 miliardi di euro. 

Secondo i 27 Stati membri, Next Generation Eu e Qfp sono «indissociabili» ed entrambi contribuiranno a «trasformare l’Ue». In totale, stiamo parlando di un pacchetto di risorse da 1.824 miliardi di euro, che vanno ad aggiungersi a un massimo di 540 miliardi di euro dei provvedimenti già messi in campo dal Meccanismo europeo di stabilità (Mes, fino a 240 miliardi in prestiti), dalla Banca europea per gli investimenti (fino a 200 miliardi di risorse movimentabili dall’istituto) e dalla Commissione europea con il Sure (100 miliardi) per misure in sostegno dei lavoratori, come la cassa integrazione.

2. Come siamo arrivati fino a qui?

Prima di entrare nei dettagli dell’accordo, facciamo un breve passo indietro. Il Consiglio europeo del 21 luglio è stato infatti l’arrivo (non ancora del tutto definitivo) di un complesso percorso negoziale iniziato mesi fa.

Il 9 aprile 2020 l’Eurogruppo – un organo informale che riunisce i ministri dell’Economia degli Stati dell’area euro – aveva proposto la creazione di un fondo per la ripresa, chiamato Recovery fund, su cui aveva espresso il suo favore il 23 aprile il Consiglio europeo. 

Il 18 maggio il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel avevano poi proposto la creazione di un Recovery fund da 500 miliardi di euro, mentre il 28 maggio la Commissione Ue – con a capo Ursula Von der Leyen – aveva presentato la sua proposta per la creazione di un fondo, il Next generation Eu (nome poi diventato quello ufficiale), da 750 miliardi di euro. All’epoca la Commissione Ue aveva presentato anche una propria proposta di bilancio comunitario da circa 1.100 miliardi di euro. 

Le trattative per quanto riguarda il bilancio 2021-2027 poggiano invece le loro radici da ben prima che arrivasse l’emergenza coronavirus. I negoziati tra gli Stati membri sono infatti iniziati tra maggio e giugno 2018, proseguendo con difficoltà varie, legate per esempio alle risorse da stanziare. Basti pensare che il 20-21 febbraio 2020 il Consiglio europeo si era concluso senza un accordo sul prossimo Qfp, arrivato il 21 luglio insieme a quello del Next generation Eu

Questa ricostruzione cronologica è necessaria per capire che quando nelle ultime ore si sente parlare di “tagli”, “risorse in più” o “risorse in meno”, in riferimento all’accordo del Consiglio europeo, si sta facendo generalmente un confronto tra i dettagli dell’intesa del 21 luglio e le proposte che erano arrivate nelle settimane scorse. 

3. Di quanti soldi stiamo parlando?

Come abbiamo anticipato, il Next generation Eu avrà una potenza di fuoco di 750 miliardi euro. Questa cifra è uguale a quanto proposto dalla Commissione Ue, ma quello che è cambiato è la divisione tra prestiti e sussidi a fondo perduto.

La Commissione Ue aveva infatti proposto che dei 750 miliardi di euro, 500 miliardi fossero destinati a finanziamenti che gli Stati non avrebbero dovuto restituire, mentre 250 miliardi a prestiti. 

Dopo le trattative che hanno visto impegnati soprattutto Paesi come Italia e Spagna, contro quelli del Nord, come i Paesi Bassi e l’Austria, il 21 luglio il Consiglio europeo ha rivisto la divisione 500-250 proposta dalla Commissione, optando per 360 miliardi di euro da distribuire come prestiti e 390 miliardi come sussidi a fondo perduto. 

Breve parentesi: negli ultimi mesi si è dibattuto se fosse corretto definire queste risorse “a fondo perduto”. In un senso ampio del termine, è corretto parlare di “fondo perduto” dal momento che nelle intenzioni del Consiglio europeo e della Commissione Ue, parte delle risorse del Next generation Eu non andranno restituite. Bisogna sottolineare però che è corretto parlare di “fondo perduto” nel senso stretto del termine, se il costo per finanziare il Next generation Eu ricadrà solo sui privati, a prescindere dalla loro nazionalità, e non sulle casse degli Stati membri.

I 750 miliardi di euro del Next generation Eu sono divisi in sette programmi diversi. Il più consistente è il Recovery and resilience facility (in italiano, “Dispositivo per la ripresa e la resilienza”) con 672,5 miliardi di euro, di cui 360 miliardi di euro in prestiti – in pratica tutti quelli del Next generation Eu – e 312,5 miliardi in sussidi.

In base alla proposta della Commissione da 560 miliardi di euro, il Recovery and resilience facility ha visto aumentare le risorse di 112,5 miliardi: i prestiti sono aumentati di 110 miliardi, mentre i sussidi a fondo perduto di 2,5 miliardi. 

Rispetto alla proposta della Commissione Ue, a essere “tagliati” dal Consiglio europeo sono state buona parte delle risorse previste per gli altri sei programmi, che si dovranno spartire i rimanenti 77,5 miliardi di euro in sussidi. Vediamo qualche esempio.

Delle restanti risorse del Next generation Eu, 47,5 miliardi di euro (contro i 55 miliardi proposti dalla Commissione) vanno al programma React-Eu, pensato per interventi per la coesione, mentre 5,6 miliardi (contro i 30,3 miliardi proposti) saranno destinati per il programma Invest-Eu pensato per gli investimenti strategici.

Il Next generation Eu darà 5 miliardi di euro in più al programma di sostegno alla ricerca Horizon Europe, che nel prossimo bilancio 2021-2027 potrà così contare su risorse pari a 80,9 miliardi di euro. Qui i “tagli” rispetto alla proposta della Commissione sono stati di 8,5 miliardi. 

Il Consiglio europeo ha poi deciso per minori risorse aggiuntive, rispetto alle intenzioni della Commissione, anche per il Just transition fund, che avrà in dote 10 miliardi di euro per la transizione ecologica.

Per quanto riguarda il prossimo bilancio pluriennale 2021-2027 dell’Ue, abbiamo visto che avrà risorse per 1.074,3 miliardi di euro, una cifra leggermente superiore a quello valido per il periodo 2014-2020, ma inferiore rispetto a quello proposto dalla Commissione Ue. 

Più avanti vedremo quali sono un paio delle novità più significative di questo nuovo bilancio, ma prima cerchiamo di capire meglio come saranno raccolti e distribuiti i soldi del Next generation Eu.

4. Come vengono raccolti questi soldi?

La modalità di raccolta delle risorse del Next generation Eu sono uno degli aspetti più innovativi dell’accordo del Consiglio europeo, perché in sostanza si è deciso di emettere debito comune, a livello europeo, per finanziare le misure contro la crisi causata dalla Covid-19. 

Il Consiglio europeo, nelle sue conclusioni del 21 luglio, ha voluto comunque ricordare che il nuovo provvedimento rappresenta una «risposta eccezionale a una situazione estrema ma temporanea, chiari limiti di entità, durata e raggio d'azione».

Come ha spiegato a fine maggio scorso in un suo approfondimento, per finanziare il piano di ripresa la Commissione Ue emetterà obbligazioni (con scadenza da tre a 30 anni) sui mercati finanziari per conto dell’Ue. L’emissione di questo “debito comunitario” – permesso dal Consiglio fino alla fine del 2026 – sarà garantita dal bilancio pluriennale dell’Ue. 

«L'Unione utilizza i prestiti contratti sui mercati dei capitali al solo scopo di far fronte alle conseguenze della crisi Covid-19», si legge nel punto A5 delle conclusioni del Consiglio.

Come hanno sottolineato sia Politico che il Financial Times, l’accordo preso al Consiglio europeo lascia margini di incertezza sulle decisioni future che la Commissione e gli Stati membri dovranno prendere per supportare un impegno così oneroso per l’Unione e per il rimborso del debito comune emesso.

Per esempio, come ha spiegato David Carretta su Il Foglio, «sulle risorse proprie, che dovrebbero anche contribuire a rimborsare il debito del Recovery fund senza pesare sugli Stati membri a partire dal 2028, l'accordo è molto modesto». 

Dal 1° gennaio 2021 il Consiglio ha infatti deciso che l’Ue introdurrà una tassa sui rifiuti di plastica non riciclati (con un’aliquota di 0,80 euro a chilogrammo), mentre ha espresso delle generiche intenzioni sulla futura introduzione di una carbon tax, per le emissioni inquinanti, e di una digital tax

5. Quali sono i criteri per la distribuzione delle risorse?

Secondo l’accordo del Consiglio europeo, il 70% delle risorse erogate dal Recovery and resilience facility – che, ribadiamo, vale 672,5 miliardi di euro sui 750 miliardi del Next generation Eudeve essere impegnato nel 2021 e il 2022, mentre il restante 30% nel 2023.

Per quanto riguarda il biennio 2021-2022, i criteri con cui i 27 Stati membri si vedranno distribuire le risorse si basano su quanto proposto a fine maggio dalla Commissione. In particolare, si terrà conto della popolazione di un paese, del suo Pil pro capite e dei suoi dati sulla disoccupazione.

Per il 2023, il criterio della disoccupazione è invece sostituito con i dati sulla perdita del Pil registrata dai Paesi fra il 2020 e 2021, quando si sentiranno di più gli effetti della crisi economica. 

Secondo le stime del governo italiano, e confermate anche da fonti di stampa, l’Italia può ambire a ottenere dal Next generation Eu fino a circa 209 miliardi di euro (il paese con più soldi), di cui poco più di 127 miliardi di prestiti e quasi 82 miliardi di sussidi. Rispetto alle indiscrezioni sulla proposta di maggio della Commissione, l’Italia potrebbe ricevere dunque circa 37 miliardi in più sotto forma di prestiti, mentre i sussidi a fondo perduto rimarrebbero di fatto stabili. 

Come abbiamo scritto anche nell’introduzione, ribadiamo che si tratta di stime, e non di numeri scritti nero su bianco nelle conclusioni del Consiglio europeo. 

Oltre ai criteri appena visti, un secondo elemento da chiarire riguarda le condizioni con cui vengono dati i soldi per la ripresa. Il punto A18 delle conclusioni del Consiglio europeo stabilisce che gli Stati membri presentino «piani nazionali per la ripresa e la resilienza in cui è definito il programma di riforme e investimenti dello Stato membro interessato per il periodo 2021-2023».

Questi piani saranno poi valutati (punto A19 delle conclusioni) dalla Commissione europea entro due mesi dalla loro presentazione. 

«Nella valutazione il punteggio più alto deve essere ottenuto per quanto riguarda i criteri della coerenza con le raccomandazioni specifiche per paese, nonché del rafforzamento del potenziale di crescita, della creazione di posti di lavoro e della resilienza sociale ed economica dello Stato membro», si legge nell’accordo del 21 luglio. «Anche l'effettivo contributo alla transizione verde e digitale rappresenta una condizione preliminare ai fini di una valutazione positiva».

Entro quattro settimane dalla proposta della Commissione, i singoli piani devono poi essere approvati dal Consiglio europeo con maggioranza qualificata, ossia se sono soddisfatte due condizioni: il 55% degli Stati membri vota a favore (in pratica, 15 paesi su 27); e gli Stati membri che votano a favore devono rappresentare almeno il 65% della popolazione totale dell'Ue. (Sul sito del Consiglio europeo c’è un utile simulatore che permette di calcolare quanti e quali Paesi bastano per non raggiungere la maggioranza qualificata). 

«La valutazione positiva delle richieste di pagamento sarà subordinata al soddisfacente conseguimento dei pertinenti target intermedi e finali», si legge inoltre nell’accordo del 21 luglio. A vigilare su come gli Stati spenderanno le risorse ricevute, ci penserà la Commissione, con il supporto del Comitato economico e finanziario, un organo dell’Ue che assiste il Consiglio europeo per le questioni economiche e dove siedono rappresentanti nazionali delle amministrazioni e delle banche centrali.

Ma che cosa succede se uno o più Paesi non sono d’accordo su come uno Stato membro intende utilizzare le risorse ricevute con il Next generation Eu?

6. Un singolo paese potrà bloccare la distribuzione dei fondi?

Il punto A19 delle conclusioni del Consiglio specifica il funzionamento del cosiddetto “freno d’emergenza”, che come ha spiegato Pagella Politica è un’espressione «non presente nelle comunicazioni ufficiali di questi giorni» ma che «normalmente viene usata per spiegare il diritto comunitario in riferimento a diverse situazioni». 

I 27 Stati membri – per accontentare, in particolare, le richieste dei Paesi Bassi – hanno deciso di inserire questa parte nel loro accordo: «Qualora, in via eccezionale, uno o più Stati membri ritengano che vi siano gravi scostamenti dal soddisfacente conseguimento dei pertinenti target intermedi e finali, possono chiedere che il presidente del Consiglio europeo rinvii la questione al successivo Consiglio europeo». 

«In caso di rinvio della questione al Consiglio europeo, la Commissione non prenderà alcuna decisione relativa al soddisfacente conseguimento dei target intermedi e finali e all'approvazione dei pagamenti fino a quando il prossimo Consiglio europeo non avrà discusso la questione in maniera esaustiva», prosegue il testo dell’intesa.

Come ha sottolineato Politico, questa parte è abbastanza vaga, soprattutto per quanto riguarda la discussione «in maniera esaustiva».

In ogni caso, uno o più Paesi – in teoria, anche l’Italia – possono dunque rallentare la distribuzione di uno dei versamenti di risorse a un altro paese, ma non bloccarne con un diritto di veto la distribuzione se il Consiglio europeo (in un processo che non dovrà superare i tre mesi di tempo) non deciderà diversamente.

7. Quali sono le novità più dibattute nel bilancio comunitario?

Vediamo adesso due novità che nelle ultime ore sono state al centro del dibattito politico per quanto riguarda l’accordo sul bilancio pluriennale dell’Ue per il 2021-2027.

La prima novità riguarda i contributi che darà il nostro paese all’Ue e quelli che riceverà indietro.

«Per la prima volta l’Italia passerà dalla posizione di contribuente netto a quella di beneficiario netto del bilancio dell’Unione europea, cioè riceveremo più soldi di quanti ne versiamo», hanno scritto nella newsletter quotidiana di Domani Davide Maria De Luca e Giovanna Faggionato. «Questo ha un doppio effetto: sulla carta ci rende politicamente più deboli, perché i Paesi che finanziano maggiormente il progetto europeo hanno parallelamente maggiore influenza a Bruxelles, ma allo stesso tempo toglie ai sovranisti un’arma politica con cui attaccare il governo».

Un secondo elemento di novità riguarda invece l’ammontare dei cosiddetti rebates (o più semplicemente “correzioni” in italiano), che come ha sottolineato Reuters sono serviti per convincere contributori netti al bilancio, come i Paesi Bassi, Danimarca, Svezia, Austria e Germania, a sostenere l’accordo. 

Nel bilancio 2021-2027, questi cinque Paesi beneficeranno di una riduzione lorda del proprio contributo annuo al bilancio che va dai circa 3,6 miliardi di euro per la Germania ai 377 milioni della Danimarca, passando per gli 1,9 miliardi dei Paesi Bassi. 

In breve: come spiega la Commissione Ue, il sistema dei rebates è stato introdotto in passato, su spinta del Regno Unito, come correzioni per quegli Stati membri che ritenevano fosse necessario essere “compensati”, in un certo senso, per versare all’Ue più di quanto ricevuto indietro. 

A ottobre 2019, nel suo primo discorso al Consiglio europeo, il presidente del Parlamento Ue David Sassoli aveva annunciato: «Lavoreremo per un bilancio trasparente e riteniamo sia giunto il momento di abolire l’intero sistema dei rebates». 

Questo obiettivo è stato dunque mancato, anche per riuscire a far quadrare tutti gli interessi degli Stati membri coinvolti nelle trattative.

8. Quali sono state le reazioni dei politici europei?

Come era lecito aspettarsi, ogni leader europeo ha rivendicato come un successo quanto ottenuto nel Consiglio europeo. 

«Il nostro accordo è la prova che la magia del progetto europeo sta funzionando», ha scritto su Twitter il 21 luglio il presidente del Consiglio Charles Michel. «È un segnale inviato agli europei e al resto del mondo. La nostra unione di valori, che riunisce 450 milioni di cittadini, ha la capacità di rispondere con forza e solidità quando il momento lo richiede». 

Parole di soddisfazione sono arrivate anche dal presidente francese Macron, dalla cancelliera tedesca Merkel e dalla presidente della Commissione europea Von der Leyen, che però ha definito come «spiacevoli» alcuni dei “tagli” effettuati dal Consiglio rispetto alle proposte della Commissione.

Una menzione speciale meritano anche le reazioni dell’Ungheria e della Polonia. Secondo il primo ministro ungherese Viktor Orban, i suoi concittadini devono essere «felici» dell’accordo, mentre il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha festeggiato per le risorse che saranno destinate nei prossimi anni al suo paese.

Dietro a questi due Stati membri c’è stata però una trattativa “parallela”, per quanto riguarda il rispetto del cosiddetto “Stato di diritto”, che Ungheria e Polonia, da anni, sono accusate di non rispettare. Nelle conclusioni del Consiglio europeo si legge infatti che, anche per quanto riguarda il Next generation Eu, l’organo istituzionale dell’Ue «sottolinea l'importanza del rispetto dello Stato di diritto» e che «in caso di violazioni» potranno essere presi dei provvedimenti. Secondo alcuni osservatori, da un lato queste frasi non sarebbero così favorevoli a Ungheria e Polonia, ma dall’altro lato sarebbero conclusioni più sfumate e meno dure di quelle che sarebbero potute essere imposte a questi due Paesi.

9. Che cosa dicono i politici italiani?

Nel nostro paese, le reazioni delle varie forze politiche nei confronti dell’accordo sono state viste in senso positivo dai membri di primo piano della maggioranza, e in negativo dall’opposizione di centrodestra.

Per esempio, il leader della Lega Matteo Salvini ha scritto su Facebook che «non c'è nessun regalo» da parte dell’Europa all’Italia. «Si parla di soldi prestati, da restituire fino all’ultimo centesimo, che arriveranno se va bene tra un anno, solo se l'Italia farà le riforme su pensioni, lavoro, sanità», ha aggiunto l’ex ministro dell’Interno.

Come abbiamo visto in precedenza, questo è un messaggio fuorviante: da un lato, è vero che una parte dei soldi che riceverà l’Italia saranno dei prestiti, ma questi avranno interessi più vantaggiosi rispetto a quelli ottenuti sui mercati; dall’altro lato, è vero che ci sono delle condizioni per ricevere le risorse del Next generation Eu, ma il piano con gli interventi economici sarà presentato dall’Italia alla Commissione Ue, e non imposto da quest’ultima.

La leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha invece dichiarato che per spendere i soldi del Next generation Eu, «dovremo comunque passare dalle forche caudine dei Rutte di turno», un riferimento al primo ministro dei Paesi Bassi Mark Rutte. «Non si chiama “diritto di veto” ma il “super freno di emergenza” funzionerà allo stesso modo», ha aggiunto Meloni. «Si rischia un inaccettabile commissariamento delle scelte di politica economica di una Nazione sovrana».

Anche in questo caso, come abbiamo spiegato sopra, quella della leader di Fratelli d’Italia è un’esagerazione. Il cosiddetto “freno d’emergenza” – a cui può ricorrere, tra l’altro, anche il nostro paese – non è equiparabile a un vero e proprio “diritto di veto” nelle sedi decisionali europee, anche se è vero che uno Stato o più Stati possono rallentare l’erogazione dei fondi a un altro paese, se ritengono che quest’ultimo non stia rispettando gli impegni presi.

I partiti della maggioranza, come il Partito democratico e il Movimento 5 stelle, hanno invece soprattutto sottolineato i dati su quanti soldi arriveranno all’Italia, su cui – come abbiamo già spiegato in precedenza – aleggia ancora un margine di incertezza, visto che si tratta di stime e che ci sono ancora dei passaggi da superare per concretizzare l’intesa.

10. Che cosa succederà adesso?

Le stesse conclusioni del Consiglio europeo sottolineano infatti quali saranno le «prossime tappe» del percorso che ha portato l’accordo sul Next generation Eu e sul prossimo bilancio pluriennale comunitario. 

«Il Consiglio è invitato ad avviare negoziati con il Parlamento europeo al fine di assicurare il completamento dei lavori su tutti gli atti giuridici conformemente alle pertinenti basi giuridiche con carattere di eccezionale urgenza per far sì che l'Ue sia in grado di rispondere alla crisi», si legge nell’intesa. 

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Il Parlamento Ue ha infatti il potere di veto sul bilancio comunitario e anche se al momento un suo blocco sembra molto improbabile, vista la crisi economica e sanitaria in corso, è comunque un elemento da tenere in considerazione.

Una seconda questione riguarda invece il voto parlamentare dei singoli Stati membri, che, come ha sottolineato Politico, può porre «una minaccia esistenziale all’accordo», nel caso in cui sorgessero problemi nel confermare le decisioni prese sul reperimento delle nuove risorse per il prossimo bilancio e per il piano della ripresa.

Immagine anteprima Pexels via Pixabay

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