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L’attacco continuo della destra al diritto all’aborto e i limiti della legge 194

24 Aprile 2024 12 min lettura

L’attacco continuo della destra al diritto all’aborto e i limiti della legge 194

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Nelle ultime settimane si sta parlando molto di diritti sessuali e riproduttivi e di interruzione volontaria della gravidanza.  Sono giorni di dibattiti, politici, sociali, mediatici. L’Europa va in una direzione, l’Italia si muove all’opposto. Mentre la Francia inserisce l’aborto in Costituzione, l’Unione Europea vota per includere questo diritto nella propria Carta costituzionale, l’Italia approva un emendamento al PNRR che agevola la presenza e le attività dei gruppi anti-scelta all’interno dei servizi dei consultori familiari. Il voto di fiducia del Senato con 95 sì, 68 no e un astenuto, è arrivato ieri, dopo giorni di polemiche e proteste.  

Il diritto all'aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea

Giovedì 11 aprile 2024 viene approvata, con 336 voti a favore, 163 contrari e 39 astensioni, la risoluzione del Parlamento Europeo sull’inclusione del diritto di aborto nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Gli eurodeputati chiedono di inserire il diritto all'aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea – una richiesta già avanzata in passato (come per esempio nel 2022) con esiti negativi.  La risoluzione vuole denunciare e condannare la condizione di arretratezza dei diritti delle donne e delle persone con utero e tutti i tentativi governativi e politici, in atto a livello globale, compresi negli Stati membri dell'UE, volti a limitare o eliminare l’accesso alla salute e ai diritti sessuali e riproduttivi e all’uguaglianza di genere. 

Il testo della risoluzione si costruisce attorno a quattro punti principali: 

  • Il diritto all’aborto costituisce un diritto fondamentale 
  • Gli Stati membri devono completamente depenalizzare l’aborto
  • Accesso a istruzione ed educazione sessuale e riproduttiva e ad assistenza di alta qualità
  • Stop ai finanziamenti dell'UE ai gruppi anti-scelta

Il testo chiede che l'articolo 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE sia modificato al fine di sostenere che "ogni persona ha diritto all'autonomia corporea, all'accesso libero, informato e universale ai diritti sessuali e riproduttivi e a tutti i servizi sanitari connessi, senza discriminazioni, compreso l'accesso all'aborto sicuro e legale". Inoltre si esortano gli Stati membri a depenalizzare completamente l'aborto, seguendo le linee guida dell’OMS del 2022, e a rimuovere e combattere gli ostacoli a questa pratica. Si chiede un impegno sempre più reale volto alla rimozione delle barriere che ostacolano le persone nel loro accesso ai diritti sessuali e riproduttivi. 

È proprio in questa direzione che alcuni dei paesi membri sono stati “ripresi”. La Polonia e Malta, per esempio, sono invitati ad abrogare le loro leggi e le altre misure che vietano e limitano l’accesso all’aborto. Si condanna il fatto che, in alcuni Stati membri, come l’Italia, l'aborto è negato dai medici, e in alcuni casi da intere istituzioni mediche, sulla base di una clausola di "coscienza". Inoltre, si esprime una reale preoccupazione per l'aumento significativo dei finanziamenti ai gruppi anti-scelta in tutto il mondo, anche nell'UE. Gli eurodeputati chiedono alla Commissione di garantire che le organizzazioni che operano contro l'uguaglianza di genere e i diritti delle donne, compresi i diritti riproduttivi, non ricevano finanziamenti dall'UE. Gli Stati membri e i governi locali devono, invece, aumentare la spesa per i servizi sanitari.

Se da un lato è un segnale di maggiori possibilità nel percorso verso un pieno riconoscimento dei diritti sessuali e riproduttivi, dall’altro, la modifica della Carta dei diritti fondamentali dell'UE per includere l'aborto richiederebbe l'accordo unanime di tutti gli Stati membri e sappiamo che questo, almeno nella situazione attuale, è impossibile.

Gli esiti delle votazioni europee, possono anche essere analizzati come uno specchio delle situazioni dei diritti sessuali e riproduttivi nei singoli paesi. I deputati italiani sono tra quelli che meno hanno votato (48 su 76) e la maggioranza dei votanti si è espressa in maniera negativa. Insieme all’Italia si sono espressi in maggioranza negativamente anche Polonia, Ungheria, Slovacchia, Lituania, e Malta (nessun voto a favore). Spagna, Germania, Paesi Bassi ma anche Romania, Svezia e Portogallo, in proporzione, dichiarano un posizionamento che è favorevole all’ampliamento del diritto all’aborto, rispecchiando quelle che cose le situazioni interne ad ogni paese.  

Per la Grecia e l’Irlanda tutti i voti sono favorevoli, così come per Lussemburgo e Cipro. 

Una netta maggioranza di voti favorevoli viene espressa dalla Francia che è, ad oggi, l’unico paese membro che ha inserito il diritto all’aborto all’interno della propria Costituzione. 

Gli esiti delle votazioni ci parlano anche della situazione del diritto all’aborto in Europa e in Italia. In questa occasione, infatti, l’Italia è stata ripresa dall’Unione Europa per i tassi di obiezione di coscienza e per i finanziamenti ai movimenti anti-scelta: una strana ironia del caso se pensiamo a quello a cui stiamo assistendo negli ultimi giorni

Aborto e PNRR

Giovedì 18 aprile, con 93 voti favorevoli, 117 contrari e 18 astenuti è stato respinto alla Camera l'ordine del giorno presentato dal PD in cui si chiede che le nuove disposizioni sui consultori “non minino in alcun modo la piena attuazione della legge 194 e non restringano il diritto delle donne” all’interruzione di gravidanza. Si fa riferimento all’emendamento all’articolo 44 del disegno di legge per l’attuazione del Piano di Ripresa e Resilienza (PNRR), firmato dal deputato Lorenzo Malagola di Fratelli d’Italia e intitolato “Norme in materia di servizi consultoriali”. L’emendamento sostiene che: “Le regioni organizzano i servizi consultoriali nell’ambito della Missione 6 [che contiene i finanziamenti per la sanità, NdA], Componente 1, del PNRR e possono avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche del coinvolgimento di soggetti del Terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità”.

La votazione ha mostrato una divisione interna alla compagine leghista e blindato l’emendamento in vista della discussione in Senato. Ha inoltre suscitato un intenso dibattito a seguito degli interventi di diverse rappresentati politiche tra cui, in particolar modo, quello della deputata del Movimento 5 Stelle Gilda Sportiello.

Il dibattito è diventato sempre più accesso, anche a livello europeo. È intervenuta in maniera molto critica la ministra spagnola per l’Uguaglianza Ana Redondo: "Consentire pressioni organizzate contro le donne che vogliono interrompere una gravidanza significa minare un diritto riconosciuto dalla legge. È la strategia dell'estrema destra: minacciare per togliere diritti, per frenare la parità tra donne e uomini". Non si è fatta attendere la risposta della presidente del Consiglio Giorgia Meloni: "Varie volte ho ascoltato ministri stranieri che parlano di questioni interne italiane senza conoscerne i fatti. Normalmente quando si è ignoranti su un tema si deve avere almeno la buona creanza di non dare lezioni".

Con lei anche la ministra Roccella:

"Suggerisco ai rappresentanti di altri Paesi di basare le proprie opinioni sulla lettura dei testi e non sulla propaganda della sinistra italiana, che si dichiara paladina della legge 194 ma non ne conosce il contenuto o fa finta di non conoscerlo, dal momento che contesta un emendamento che non fa altro che riprodurre alla lettera un articolo della legge sull'aborto in vigore da 46 anni. Leggi, emendamenti e relazioni ministeriali al Parlamento sono a disposizione di chiunque voglia consultarli prima di esternare, per evitare di farlo senza cognizione di causa". 

Da Bruxelles, sempre il 18 aprile, Giorgia Meloni ha fatto poi sapere: "Sull'aborto c'è un'altra fake news. L'emendamento al dl PNRR ricalca il testo della legge 194, la legge 194 lo prevede. Io credo che chi vuole modificare la 194 stia a sinistra, quando chiediamo l'attuazione della 194 ci si straccia le vesti, io non la voglio modificare. Se la vogliono cambiare ce lo dicano e si assumano la responsabilità. Io penso che dobbiamo garantire una scelta libera, che vuol dire garantire tutte le informazioni e le opportunità del caso. Lo prevede la 194 e penso sia la cosa giusta da fare".

Dalla portavoce della Commissione europea per gli Affari economici, Veerle Nuyts è arrivata la risposta a Meloni: “Il decreto PNRR contiene delle misure che riguardano la struttura di governance del PNRR e questi aspetti sono legati effettivamente al Piano di ripresa e resilienza italiano ma ci sono altri aspetti che non sono coperti e non hanno alcun legame con il PNRR, come ad esempio questa legge sull'aborto”.   

Che cosa dice l’emendamento

L’emendamento appare come una strategia chiara per agevolare la presenza e le attività di gruppi e di associazioni di stampo anti-scelta ma, contemporaneamente, è in linea con quanto già sostiene la Legge 194 del 1978. All’articolo 2 leggiamo che:

“I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”.

Dati questi presupposti viene spontaneo interrogarsi sul perché dell’emendamento che di fatto sembra non aggiungere niente di nuovo allo scenario relativo alle possibilità o, per meglio dire, alle difficoltà per accedere all’interruzione della gravidanza. La prima domanda riguarda una questione di ordine economico: serve per finanziare i gruppi di sostegno e dunque in qualche modo destinare dei fondi ai servizi sul territorio? Non è questo il caso, almeno in apparenza, perché tutto si verifica “senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Dunque nessun fondo per le associazioni, nessun fondo per i servizi. 

Se analizziamo l’art. 2 della legge e l’emendamento del governo appare chiaro il cambio del soggetto preposto alla scelta delle associazioni di volontariato con cui collaborare: si passa dal consultorio alla Regione. Lo spiega bene la dottoressa Anna Pompili: “Secondo la legge 194 il soggetto che può avvalersi della collaborazione di associazioni di volontariato al fine di sostenere le maternità difficili è il consultorio, e ad esso e alle figure professionali (queste sì altamente qualificate) che ne compongono l’equipe multidisciplinare spetta la valutazione e la scelta di eventuali collaborazioni. Nell’emendamento del governo, invece, il soggetto cambia, ed è la Regione a decidere di tale eventuale coinvolgimento. Dunque, ciò che viene fatto in consultorio sulla base di una valutazione specifica, caso per caso, con l’emendamento in questione verrà imposto dall’alto, sulla base di criteri generali”. 

Viene quindi da chiedersi: quali saranno questi criteri e in base a quali elementi si deciderà sulla “qualificata” esperienza nel sostegno alla maternità dei soggetti del Terzo settore? L’emendamento potrà favorire questi soggetti nella possibilità di accedere a risorse economiche secondo canali più diretti e più agevoli da un punto di vista amministrativo? Inoltre, è interessante notare che l’articolo 2 specifica che queste associazioni dovrebbero occuparsi di “aiutare la maternità difficile, dopo la nascita” non prima, non nel momento precedente o contemporaneo alla scelta su cosa fare con il prodotto della propria gestazione. L’emendamento, invece, nella sua vaghezza non fornisce indicazioni in merito alle funzioni, agli obiettivi o alle modalità di intervento dei gruppi associativi. 

Sempre Anna Pompili sostiene che: “tale emendamento ha dunque, di fatto, lo scopo di dare una dimensione nazionale e di estendere a tutto il paese ciò che è già stato fatto in alcune regioni, con l’apertura ai cosiddetti ‘pro-vita’ e ai loro centri di aiuto alla vita”. 

Alcuni casi regionali, per esempio, hanno già fatto discutere per gli ingenti aiuti economici stanziati a sostegno delle attività dei gruppi anti-scelta la Lombardia, il Piemonte e più recentemente le Marche. Cosa potrebbe comportare un accesso capillare e facilitato delle associazioni anti-scelta all’interno dei consultori? Quali potrebbero essere le conseguenze sulla possibilità di scelta e sul diritto all’autodeterminazione delle donne che decidono di interrompere la propria gravidanza?

Il ruolo dei consultori

Forse la risposta sta proprio nel ruolo, ancora centrale, dei consultori all’interno dei percorsi di accesso all’aborto e nella natura stessa di questi servizi territoriali. Sebbene la rete dei consultori sul territorio è stata nel corso degli anni sempre più depotenziata, in virtù di un sempre maggiore tendenza alla privatizzazione dei servizi sanitari e al più generale disinvestimento nei confronti della sanità pubblica, i consultori continuano ad essere spazi fondamentali in cui poter esercitare i propri diritti sessuali e riproduttivi.

I consultori familiari sono gli spazi in cui poter accedere, in maniera gratuita e diretta, alle informazioni e ai servizi che riguardano tutta la sfera della salute sessuale e riproduttiva: dalla maternità alla contraccezione. rappresentano un punto di riferimento per chi decide di abortire, soprattutto per il rilascio del certificato medico necessario ad accedere a questo servizio. I dati più recenti del Ministero della Salute, ci dicono che negli anni, i consultori familiari hanno raddoppiato la frequenza di rilascio della documentazione per l’IVG con un incremento costante, passando dal 24,2% del 1983 al 42,8% del 2021. Il 53% del totale delle donne che si rivolgono ai consultori per ottenere il certificato sono straniere. 

Inoltre, i consultori sono anche i luoghi in cui poter accedere all’aborto farmacologico in regime ambulatoriale, servizio che secondo le indicazioni ministeriali dovrebbe essere accessibile in tutte le regioni ma che, attualmente, è presente solo in Toscana, Emilia-Romagna e Lazio. I consultori nascono come i luoghi della scelta e della autodeterminazione sul proprio corpo, o almeno dovrebbero essere tali. Nello scenario che si apre in questi giorni sembrano diventare, sempre di più, i luoghi della dissuasione o della manipolazione. 

I consultori nascono come spazi autogestiti e vengono poi istituzionalizzati con la Legge 405 del 1975 come spazi femministi della cura, dove la salute e la malattia sono prese in carico da diverse figure professionali (ginecologa, ostetrica, psicologa, assistente sociale). La Legge 405 parla di famiglia ma anche di coppie e di singoli e, a differenza della Legge 194 (che arriva tre anni dopo), recepisce sia le istanze e le pratiche del movimento femminista sia le posizioni più progressiste in tema di salute sessuale e riproduttiva e di diritto all’autodeterminazione sul proprio corpo. Ma cosa c’entra, di nuovo, la Legge 194? 

La Legge 194, che non presenta l’aborto come una libera scelta ma come extrema ratio, apre di fatto alla possibilità di far diventare il consultorio il luogo dove mettere in discussione la scelta, far cambiare idea alle donne, proprio in virtù dell’articolo 2. La 194 come sappiamo è il risultato di un compresso, al ribasso, soprattutto per una parte del movimento femminista di allora (e di oggi). La legge è talmente ambigua che la sua applicazione viene invocata, oggi, da tutte le parti e può accontentare le linee del programma elettorale di Fratelli d’Italia e rispettare le rivendicazioni del movimento femminista (o almeno di una grande parte di esso, che mi auguro però diventi sempre più esigua). 

I rischi contenuti nell’emendamento

Con l’applicazione dell’emendamento, uno degli scenari che possiamo immaginare vede le associazioni anti-scelta sempre più attive (e anche indisturbate) nell’opera della dissuasione: offrire alle donne che vogliono abortire, o che si recano in consultorio per qualsiasi altro servizio, la possibilità di riflettere. L’obiettivo, da sempre, è quello di “far cambiare idea” rispetto alle proprie scelte sessuali e riproduttive e di attirare le persone dentro lo stesso orizzonte di senso morale e politico condiviso dai gruppi che si definiscono “a favore della vita”.  

L’emendamento non interviene tanto sul piano giuridico o su quello economico, ma su quello ideologico. Il confronto e il dibattito politico si polarizzano su due posizioni. Per la maggioranza si tratta di attuare a pieno la Legge 194, nessuna intenzione di limitarne l’applicazione né, tanto meno, di intervenire nella direzione di abrogarla. Si tratta, piuttosto, di favorire a pieno le misure per la prevenzione dell’interruzione di gravidanza e per l’assistenza alla maternità, in maniera coerente con il programma governativo di Fratelli d’Italia. Per l’opposizione si tratta dell’ennesimo attacco ai diritti sessuali riproduttivi e in particolar modo al diritto di scegliere sul proprio corpo, senza condizionamenti o manipolazioni. L’idea è che il piano politico della maggioranza stia di fatto operando per aumentare sempre più le barriere di accesso ai servizi che dovrebbero garantire l’aborto.

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Entrambe le parti condividono la stessa posizione: la 194 non si tocca. La Legge, infatti, non riconoscendo mai il diritto della donna all’autodeterminazione permette un ampio spazio di manovra e di limitazione rispetto alle possibilità reali di accesso all’interruzione volontaria della gravidanza. Incontra, quindi, le prerogative ideologiche e governative della maggioranza. Dall’altra parte, la sinistra o le forze all’opposizione non hanno mai mostrato un particolare e reale interesse nel voler agevolare l’accesso all’aborto attraverso una modifica del perimetro legislativo definito dalla 194.

La retorica del “non è il momento giusto per modificare la Legge”, o quella ancora più forte del “la 194 non si tocca”, mostra sempre di più i suoi limiti. La dinamica delle relazioni tra le forze governative  rimane sempre la stessa: da una parte andare all’attacco, dall’altra stare sulla difensiva. I conservatori attaccano l’aborto senza mettere in discussione la legge. I progressisti difendono la legge senza mettere in discussione le difficoltà di accesso al diritto all'autodeterminazione. Applicando questo schema, la sinistra e le forze politiche oggi all’opposizione sono state sempre un passo indietro rispetto al reale riconoscimento dei diritti sessuali e riproduttivi, tra cui rientra per l’appunto l’aborto. In questo modo hanno lasciato lo spazio libero per forme di intervento politico le cui conseguenze, proprio in questi giorni, sono sotto gli occhi di tutti.

Immagine in anteprima via Repubblica

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