Un movimento femminista internazionale e trasversale per il diritto all’aborto e non solo: il modello dell’America Latina
8 min letturaLa decisione della Corte Suprema statunitense, lo scorso 24 giugno, di annullare la storica sentenza Roe v. Wade che tutelava il diritto all’aborto da 50 anni, ha provocato reazioni in tutto il mondo. Nelle principali città degli Stati Uniti, con le organizzazioni femministe sono scese in piazza migliaia di donne e dissidenze sessuali per opporsi a questo enorme retrocesso nella libertà di decisione sul proprio corpo. Lo hanno fatto con slogan, megafoni e tamburi, ma soprattutto con cartelli e bandane verdi, che richiamano lo storico fazzoletto usato dalla Campaña Nacional por el Derecho al Aborto Legal, Seguro y Gratuito che esiste in Argentina da quasi due decenni.
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Martha Rosenberg è una delle fondatrici di questa organizzazione che ha lottato duramente per 16 anni per ottenere finalmente, nel dicembre del 2020, una legge sull’interruzione volontaria della gravidanza. “Il movimento femminista statunitense è stato sempre un riferimento internazionale, a partire dalle pioniere che si sono organizzate dopo la Seconda guerra mondiale”, ricorda Rosenberg. A Buenos Aires le donne hanno manifestato immediatamente davanti all’ambasciata statunitense, in solidarietà con le compagne che, dall’altro lato del Continente, “continuano a evidenziare il carattere emancipatore del femminismo rispetto alla forma di organizzazione capitalista e neoliberista della società nordamericana”.
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La marea verde avanza
Mentre negli Stati Uniti si torna a lottare per un diritto acquisito ormai da decenni, in America Latina si avanza a grandi passi per ottenere per la prima volta una legislazione sull’aborto. L’Argentina è considerata un esempio per la forza con cui ha imposto l’agenda femminista a livello mondiale negli ultimi anni, e il simbolo rappresentato dal fazzoletto verde ne è un esempio chiaro. Ma anche in Cile il movimento femminista ha acquisito un forte protagonismo già dal 2018 e il diritto all’aborto volontario è stato incluso nella nuova Costituzione che il paese voterà il prossimo 4 settembre. “L’articolo 61 è uno dei punti programmatici che abbiamo deciso di discutere nella scrittura della nuova Carta Magna”, conferma Alondra Carrillo, costituente eletta e portavoce della Coordinadora Feminista 8M.
In Colombia le donne hanno festeggiato lo scorso 21 febbraio la modifica della Costituzione che elimina il reato di aborto fino alla ventiquattresima settimana. “I numerosi tentativi di legiferare al Congresso non erano mai andati a buon fine”, spiega Laura Vázquez Roa, della Campaña por el Derecho al Aborto Legal, che è parte della rete Causa Justa por el Aborto, l’organizzazione che ha portato avanti il ricorso in sede giudiziaria, dove finalmente si è ottenuta la prima vittoria.
L’anno scorso in Ecuador è stato ammesso l’aborto nei casi di gravidanza frutto di violenza mentre in Messico una sentenza storica della Corte Suprema ha depenalizzato l’aborto a livello nazionale, obbligando i singoli Stati federali a rivedere le proprie norme, che in diversi casi ancora proteggono la vita fin dal concepimento. Anche nei paesi dove la proibizione è totale, come El Salvador o la Repubblica Dominicana, esiste un attivismo femminista che scambia e condivide esperienze a livello latinoamericano.
L’accettazione sociale dell’aborto
“In Messico c’è stato un cambio notevole quando hanno cominciato a esprimersi e manifestare le ragazze più giovani”, afferma Patricia Ortega, della Red por los Derechos Sexuales y Reproductivos dello Stato di Jalisco.
In tutti i paesi dove la battaglia per il diritto all’aborto sta avanzando, si riconosce un salto qualitativo a partire dal 2015, quando emerge in Argentina il movimento Ni Una Menos contro la violenza sulle donne e i femminicidi, e poi la chiamata internazionale allo sciopero femminista. “Si è diffuso rapidamente in maniera massiva”, spiega Yanina Waldhorn, della Campaña argentina. “Le più giovani si sono inserite in una genealogia femminista che ha una lunga traiettoria, e questa mobilitazione di massa ha cambiato il panorama nella maggior parte dei territori dell’America Latina e del Caribe”.
Il risultato più dirompente è stata la progressiva depenalizzazione sociale dell’aborto, insieme all’apertura del ventaglio delle rivendicazioni femministe, che coinvolgono l’autonomia delle donne in senso ampio, la molteplicità delle identità di genere, i diritti sessuali riproduttivi e non, l’educazione sessuale integrale nelle scuole. “Abbiamo anche costruito nuove forme di lotta, strategie creative”, aggiunge Yanina pensando ai simboli e alle performance come Un violador en tu camino del collettivo cileno Las Tesis, che sono diventati rapidamente un potente codice internazionale.
“Il dibattito è entrato nelle case”, evidenzia inoltre Patricia Ortega, “quando una adolescente lega il fazzoletto verde allo zaino, il tema si affronta in famiglia e questo è un grande passo, da cui non si torna indietro”. Jalisco è uno degli Stati più conservatori del Messico, dove la chiesa e i settori anti-diritto all’aborto sono attivi, hanno finanziamenti e legami con il potere istituzionale. Fuori dall’area metropolitana di Guadalajara, fino a poco tempo fa era ancora il prete a decidere ciò che era peccato. “Oggi accompagniamo aborti in cui una ragazza viene a chiedere aiuto insieme alla madre, alla cugina, alla nonna, mentre prima le avrebbero voltato le spalle, l’avrebbero giudicata”.
Sebbene in alcuni casi i diritti delle donne possono essere usati come moneta di scambio nelle negoziazioni tra partiti (come accade in alcuni Stati messicani), o come capitale politico capace di attrarre voti nelle campagne elettorali (come segnalano in Argentina e in Colombia), questo significa anche che il tema ha smesso di essere secondario, trascurabile: “È stato incorporato nell’agenda politica, non si può più eludere”, afferma Martha Rosenberg che ricorda i tempi in cui persino le deputate che firmavano il progetto di interruzione volontaria di gravidanza da presentare al Congresso, poi non lo votavano. “La relazione tra il diritto all’aborto e la rivendicazione di questo diritto allo Stato è complessa”, continua Rosenberg, con una riflessione nutrita da una lunga storia di militanza femminista. “Ma si inserisce in una lotta per uno Stato democratico che protegga la vita delle donne e la libera decisione sul nostro corpo e sui nostri progetti di vita, identità, destini”.
Mai abbassare la guardia
Eppure c’è ancora molto lavoro da fare, concordano tutte le referenti delle organizzazioni intervistate. In Argentina come in Colombia il diritto all’aborto è una conquista così recente che non si ipotizza un repentino passo indietro, a differenza di quanto è accaduto negli Stati Uniti. “Però è un esempio concreto del fatto che avere una legge non significa che sia rispettato il diritto, bisogna continuare a rivendicarlo come movimento organizzato”, ricorda Yanina Waldhorn. “Con l’avanzata dei governi di destra e fascisti le condizioni peggiorano, come accade anche in Brasile. La giustizia continua a essere patriarcale, coloniale e classista nei nostri paesi”, aggiunge ricordando il caso di Miranda Ruíz, una dottoressa sotto accusa per aver autorizzato un aborto a Tartagal, nel nord argentino, nonostante la legge oggi lo permetta. Il pubblico ministero sta ricorrendo a cavilli legali per portare a processo una delle poche professioniste che realizzano le interruzioni di gravidanza in una delle province più conservatrici del paese.
La Campaña por el Aborto insomma, non ha estinto la sua funzione perché ci sono ancora diversi ostacoli nell’accesso concreto a questo diritto acquisito. “Abbiamo accumulato 40 denunce da parte dei settori anti-diritto”, continua Yanina.“Anche se non sono un ostacolo reale, perché la legge non le sostiene, hanno fatto scandalo”, spiega, considerando che manca l’informazione per le donne che hanno bisogno di un aborto: secondo Amnesty International a un anno dall’entrata in vigore della legge 27.160 in Argentina non c’era stata alcuna campagna di diffusione da parte delle istituzioni nazionali né provinciali. L’accesso a un aborto sicuro è inoltre diseguale nei diversi territori del paese, come riporta il monitoraggio del Proyecto Mirar, e la mortalità delle donne resta sopra la media nelle province del nord come Formosa, Salta, Chaco e Tucumán, sebbene l’accesso al farmaco misoprostol sia aumentato su scala nazionale.
Concorda con questa analisi Laura Vázquez Roa: “Non abbassiamo la guardia, perché sappiamo che i diritti delle donne non sono mai garantiti del tutto”. In Colombia per esempio, la legge da poco approvata “va difesa e implementata, c’è bisogno di diffusione, soprattutto tra i settori sociali più vulnerabili, di formazione per il personale sanitario, di creare accettazione sociale”. La Campaña di cui fa parte offre consulenza e supporto alle donne che hanno bisogno di abortire: “Il numero di richieste non è cambiato con la nuova regolamentazione, ci chiedono come fare, questo significa che non c’è informazione”, spiega Laura che denuncia anche molta confusione nei centri di salute dove l’accesso all’aborto dovrebbe essere garantito. Con la vittoria di Gustavo Petro e Francia Marquez alle ultime elezioni, si apre però anche un nuovo spazio d’azione in Colombia, dove i governi sono stati storicamente sempre di destra e vicini alla chiesa. “La prossima ministra della Sanità ha appoggiato la causa dell’aborto, ci aspettiamo che possa facilitare l’applicazione della legge, perché non serve a nulla averla ottenuta solo sulla carta”, conclude Laura.
L’avanzata delle destre
Secondo Alondra Carrillo, portavoce della Coordinadora Feminista 8M, in Cile, viviamo in un contesto storico in cui “da una parte si affermano le svolte autoritarie nelle democrazie contemporanee, con la possibilità di affermazione dell’estrema destra e dei settori fondamentalisti, mentre dall’altra c’è un’alternativa di futuro che si apre con le lotte femministe, socio ambientali e dei popoli originari in America Latina”. In questo quadro, si osserva la reazione dei settori conservatori cileni che stanno ricorrendo alle menzogne più grossolane per cercare di fermare l’approvazione della nuova Costituzione. “Hanno dovuto ricorrere ad affermazioni senza senso come quella secondo cui la norma permetterebbe l’aborto fino al nono mese, che mostra come siano incapaci di un confronto sul piano diretto del contenuto”, spiega Carrillo. Anche in Argentina “i movimenti fondamentalisti anti aborto si sono riorganizzati”, ha ricordato Martha Rosenberg, è accaduto in particolare nel 2018, quando la possibilità di una legge sull’interruzione volontaria di gravidanza è stata fermata al Senato per pochi voti.
Risulta chiaro insomma che la battaglia per i diritti delle donne è un compito costante: “Il potere della chiesa e delle destre si vede in ciascuna lotta, al livello dei deputati, delle strutture sanitarie, di ogni Stato federale”, conferma Patricia Ortega. “Il tema dell’aborto tocca le corde più sensibili del patriarcato perché considera intollerabile l’idea che la vita dipenda dalla decisione delle donne”.
Laura Vázquez Roa sottolinea inoltre che i movimenti anti-diritti in Colombia sono finanziati dalla chiesa cattolica e dalle chiese cristiane ed evangeliche statunitensi già da molti anni. Come evidenziano tutte le intervistate, il colpo inferto dalla Corte Suprema al diritto di interrompere una gravidanza non è arrivato all’improvviso. Si tratta piuttosto di una strategia che il partito repubblicano e il suo settore più conservatore portano avanti da decenni e che si è rafforzata con l’arrivo alla Casa Bianca di una figura come Donald Trump. “È un processo di lungo corso, quel che è cambiato con Trump è che si è dato l’obiettivo concreto di cambiare i giudici della Corte affinché fossero favorevoli a tornare indietro sull’aborto, e ora il piano avanza anche senza che lui sia al potere”, sottolinea ancora Patricia Ortega. Allo stesso tempo, Ortega è sicura che negli Stati Uniti le forze femministe si stiano riorganizzando e sollevando, e in questa direzione va la solidarietà delle compagne latinoamericane.
L’articolazione del femminismo nei diversi paesi
“Se c’è una cosa che abbiamo imparato dai continui scambi con le organizzazioni femministe in tutta l’America Latina – dice Yanina – “è che in ogni paese questa lotta si organizza in modo diverso, dipende dalle caratteristiche di ogni territorio.” Per esempio, in alcuni luoghi come l’Argentina il diritto all’aborto è stato conquistato attraverso una legge nazionale, mentre in altri casi è necessario puntare a riformare la Costituzione e la battaglia avviene all’interno del sistema giudiziario.
“La nostra prima reazione di fronte alla sentenza negli Stati Uniti è stata attivare la solidarietà perché noi abbiamo ricevuto quella delle femministe di tutto il mondo quando la legge è stata dibattuta al Congresso la prima volta nel 2018 e poi di nuovo nel 2020”, conclude Yanina. La rete internazionale si tesse continuamente, attraverso alcune ricorrenze comuni, come il 28 settembre, giornata globale per la depenalizzazione dell’aborto, ma anche con incontri virtuali e viaggi, assemblee, incontri di formazione, scambio di materiali, strategie, esperienze.
“Non c’è una ricetta, c’è la storia che abbiamo costruito, una lunga esperienza”, sorride Martha. “Il movimento femminista è internazionale e trasversale e mostra una solidità e un orizzonte comune che va oltre le diverse forme di organizzarsi di fronte all’oppressione patriarcale”.
Immagine in anteprima: Melina Nerina Medrano, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons