Le prime nomine di Trump: un incubo americano
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Nel 1989 George H.W. Bush scelse come Segretario alla Difesa John Tower, senatore del Texas che aveva servito per molto tempo nella Commissione Forze Armate. Su di lui pendeva un’investigazione dell’FBI per noti problemi con l’alcol. Durante il colloquio di conferma al Senato Tower negò questi problemi, nonostante i suoi colleghi, sia democratici che repubblicani, ne fossero a conoscenza. La stessa investigazione dell’FBI confermò la problematica, oltre al fatto che Tower aveva ricevuto soldi dall’industria della Difesa nelle sue campagne per la riconferma a senatore. Bush non ritirò la nomina, che si schiantò al voto dei senatori: con 53 no, John Tower è l’ultimo candidato a non aver ottenuto la nomina per contrarietà del Senato.
Questo non vuol dire che dal 1990 a oggi i Presidenti abbiano avuto vita facile: ma quando le cose si mettevano male per i candidati scelti, e ritenevano di non avere abbastanza voti per procedere, la nomina veniva ritirata per sfuggire all’onta del voto contrario.
Pochi giorni dopo la vittoria alle ultime elezioni presidenziali, Trump ha già nominato un cospicuo numero di membri del governo, e alcuni di questi non incontrano i favori del Senato perché palesemente inadatti al ruolo. Trump non ha però intenzione di mediare, e ha già minacciato di utilizzare la tattica del recess appointment se il Senato, controllato dal suo stesso Partito, non agirà velocemente per confermare i suoi candidati.
Di cosa parliamo in questo articolo:
La minaccia del recess appointment
In breve, il ruolo del Senato nell’approvazione delle nomine è costituzionalmente fondamentale, in quanto contrappeso al potere presidenziale. Il Presidente può fare nomine senza che queste debbano essere confermate solo se il Senato non è in sessione: questo perché, negli Stati Uniti della fondazione, il Senato si riuniva solo nove mesi su 24 e c’era bisogno che il Presidente potesse rimpiazzare degli ufficiali governativi in breve tempo se le Camere non erano fisicamente in aula.
Oggi le Aule vanno in recess, cioè in una pausa di più di 10 giorni dall’attività politica, quasi solamente nei periodi delle festività. Nonostante questo, Obama è riuscito a nominare 32 ufficiali con questa tattica e George W. Bush addirittura 171: così, nel 2014 la Corte Suprema ha dichiarato che i Presidenti stavano andando oltre il proprio potere, e né Trump né Biden hanno utilizzato questa possibilità.
Trump vorrebbe che John Thune, il nuovo leader della maggioranza repubblicana al Senato, faccia dei periodi di inattività tali per cui possa nominare il suo governo senza passare dalle conferme. Di fatto, Trump chiede un atto di lealtà assoluta al Senato, che dovrebbe abdicare volontariamente a un ruolo costituzionalmente garantito per allinearsi alle scelte del Presidente. Nonostante l’ex-leader Mitch McConnell si sia detto pubblicamente contrario, Thune non ha escluso l’idea.
La stessa lealtà richiesta al Senato è alla base delle nomine più controverse fatte da Trump in questi giorni: quattro personaggi posti a capo di dipartimenti con migliaia di dipendenti soltanto perché vicini al Presidente, o ne condividono alcune idee autoritarie. Nessuno di questi è sicuro di ottenere la nomina se dovesse passare dal Senato, e Trump non è disposto a ritirare la candidatura di nessuna di queste persone. Come ha detto Ruth Ben-Ghiat, storica della New York University, “nel mondo di Trump la lealtà al leader e l’ideologia valgono di più dell’esperienza”.
Robert Kennedy Jr. al Dipartimento della Sanità
Al Dipartimento della Sanità la scelta è ricaduta su Robert Kennedy Jr., figlio del compianto Bob, e famoso per essere uno dei principali sostenitori mondiali della causa no-vax, nonché simpatizzante delle principali teorie complottistiche, tra cui la possibilità che il cancro sia causato dall’utilizzo del Wi-Fi o gli antidepressivi come causa principale delle sparatorie di massa nelle scuole. È stato candidato alla presidenza da indipendente, per poi ritirarsi dopo la metà di agosto per sostenere Trump, in cambio di un posto nell’amministrazione. Il suo obiettivo dichiarato è rimpiazzare un gran numero di impiegati federali per sostituirli con persone a lui affini. Ritiene infatti che il Dipartimento sia governato dal cosiddetto Deep State, un complesso di poteri inscalfibile dalla politica e che farebbe gli interessi solamente delle grandi corporazioni: tutte le agenzie governative, secondo questa teoria, sarebbero impropriamente influenzate dalle stesse grandi imprese che dovrebbero contribuire a regolare. L’espressione si è evoluta negli ultimi anni fino a diventare una teoria cospirativa che vede il Deep State contrapposto a Donald Trump.
Tulsi Gabbard direttrice della National Intelligence
Un’altra nomina che ha scioccato Washington è quella di Tulsi Gabbard come direttrice della National Intelligence, col potere di supervisione sulle principali agenzie che si occupano di sicurezza nazionale, e un budget di circa 70 miliardi. Gabbard è stata deputata del Partito Democratico per le Hawaii dal 2013 al 2021, candidata alle primarie dello stesso partito nel 2020, anno in cui Hillary Clinton disse di lei che era niente più che un “asset russo negli Stati Uniti”. Gabbard ha infatti avuto nel 2017 rapporti privilegiati col dittatore siriano Bashar Assad e da anni ricondivide la disinformazione russa, sia sui social che in televisione. Dopo aver lasciato il Partito democratico si è dichiarata vicina a Trump ed è diventata opinionista di punta su Fox News, la rete all-news di tendenza conservatrice.
Dopo l’invasione su larga scala di Putin nel 2022 ha ricondiviso la propaganda russa, dato credito alla tesi secondo la quale in Ucraina ci sarebbero stati laboratori biochimici degli Stati Uniti atti a fabbricare armi batteriologiche, ha incolpato Biden della guerra e detto apertamente che Zelensky è un corrotto: queste sue illazioni sono state ricondivise spesso da media di Stato russi e da Russia Today. Anche qui, ci troviamo di fronte a una nomina per lealtà, dato che Gabbard non ha una particolare qualifica in materia, e che avvicina pericolosamente la presidenza Trump al Cremlino.
Pete Hegseth alla Difesa
Rimanendo in tema militare, alla Difesa è stato nominato Pete Hegseth: alla domanda su chi fosse, molti non hanno saputo rispondere. Si tratta di un conduttore televisivo di un programma del weekend di Fox News, Fox&Friends Weekend, che ha servito in Afghanistan e Iraq ma non ha nessuna esperienza legata all’amministrazione del settore militare, né di manager in una grande organizzazione, né di incarichi legati alla politica estera. Nel 2016 era stato considerato per alcune posizioni junior all’interno del dipartimento veterani ed era stato ritenuto dallo stesso personale repubblicano non qualificato.
Trump ha parlato di lui come un duro che crede nell’America First. Ci troviamo nuovamente di fronte a una nomina per lealtà al Presidente che minaccia di licenziare personale, smantellando di fatto il personale qualificato e non di nomina presidenziale. Le sue posizioni sull’esercito sono estreme: ha detto che molti generali sono oramai “woke” e vuole licenziare il capo dello Stato maggiore congiunto Charles Brown perché attivo in politiche di diversità, equità e inclusione nell’esercito che, secondo Hegseth, ne distruggerebbero l’unità. Ha poi affermato che le donne non dovrebbero perseguire una carriera militare, e che il 6 gennaio non è stato nulla di più di una protesta di un gruppo di patrioti che amano il proprio paese.
Hegseth ha un tatuaggio sul bicipite con scritto “Deus Vult”, frase che si rifà a gruppi di suprematisti bianchi, e per questo è stato segnalato nel 2021 da un membro della Guardia Nazionale come possibile “minaccia interna”. Indagando sul suo passato, il Washington Post ha poi scoperto che una donna lo ha accusato di violenza sessuale nel 2017, ma la polizia non ha mai aperto un’inchiesta e lui ha sempre dichiarato che l’incontro fosse stato consensuale: nonostante questo, Hegseth e la donna hanno firmato un Non-Disclosure Agreement, un accordo legale attraverso il quale si compra il silenzio di una persona in cambio di soldi.
Pete Hegseth, President-Elect Trump's pick for Defense Secretary "says he was removed from the 2021 inauguration mission after Jan 6 because he has a Deus vult cross tattoo - an image that has been appropriate with the far-right." via military reporter @stevenbeynon.bsky.social Beynon's thread⬇️
— Ryan Goodman (@rgoodlaw.bsky.social) 13 novembre 2024 alle ore 13:56
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Matt Gaetz Segretario alla Giustizia
La nomina più assurda, però, è quella del deputato della Florida Matt Gaetz a Segretario alla Giustizia. Gaetz è stato per tre anni sotto la lente del Dipartimento di Giustizia (DOJ) che lo ha indagato per traffico a sfondo sessuale, successivamente chiedendo l’archiviazione. I comportamenti di Gaetz, noti ai suoi colleghi, hanno generato un’inchiesta interna della Commissione etica della Camera che dovrebbe riguardare la partecipazione a festini con presenza di droghe e minorenni.
Sugli esiti del rapporto è scoppiato un caso politico: essendosi Gaetz dimesso dalla Camera subito dopo essere stato nominato, e non essendo quindi più un deputato, lo Speaker Mike Johnson, fedele a Trump, ha dichiarato che i risultati dell’inchiesta non usciranno, perché non riguardano più un deputato, ma un privato cittadino. Molti senatori, però, hanno richiesto comunque gli esiti, perché sarebbero importanti come analisi per giudicare se il deputato possa servire nel ruolo assegnatogli dal Presidente.
Mercoledì la Commissione etica ha votato sul tema, dando parere negativo alla pubblicazione degli esiti dell’inchiesta: il voto è avvenuto secondo logiche di partito, coi repubblicani schierati per la segretezza e i democratici per la pubblicazione. L’unica possibilità, oggi, per avere pubblicata l’inchiesta è che un qualsiasi deputato lo richieda durante una sessione ufficiale: a quel punto tutta la Camera dovrebbe votare e i democratici potrebbero sperare di ottenere l’appoggio di alcuni repubblicani moderati per ribaltare la maggioranza. Questo sembra però di difficile attuazione.
Nel frattempo alcune testimonianze sono arrivate ai giornali: due donne hanno affermato di essere state pagate da Gaetz per avere rapporti sessuali con lui, e lo hanno visto avere rapporti con una minorenne, in feste dove l’uso di droga era incentivato. La Commissione etica ha poi ottenuto assegni ed estratti conto che rivelano come Gaetz, tra il 2017 e il 2019, avrebbe pagato più di 10 mila dollari due donne che poi sarebbero state testimoni nelle indagini della Camera e del Dipartimento di Giustizia.
Gaetz condivide con Trump l’odio per il Dipartimento di Giustizia: la sua nomina è un tentativo di silenziare e rendere impossibile al dipartimento di svolgere il proprio lavoro. Già nel suo primo mandato, Trump avrebbe chiesto all’allora Segretario alla Giustizia Jeff Sessions di bloccare il lavoro del procuratore speciale Robert Mueller, che stava indagando sui rapporti tra l’allora Presidente e la Russia, ma Sessions non si sarebbe mosso, e questo avrebbe causato il suo licenziamento. Trump è convinto che il potere giudiziario vada ricondotto sotto la presidenza, spogliandolo della sua autonomia, e Gaetz è un uomo fedele, che non avrebbe problemi a perseguire avversari politici.
L’obiettivo di nomine così distruttive
La nomina di Gaetz è la più complicata delle quattro perché, oltre agli scandali, è molto odiato dai colleghi: è stato a capo di una fronda per sfiduciare lo Speaker Kevin McCarthy, del suo stesso partito. McCarthy afferma che questo sarebbe avvenuto perché si è rifiutato di sciogliere la Commissione etica che stava valutando i comportamenti di Gaetz. Negli ultimi giorni Trump si è accorto delle difficoltà per Gaetz nella conferma, ma vuole portare avanti la nomina fino in aula lo stesso: da un lato è riconoscenza verso un alleato, dall’altro sa che Gaetz pone l’asticella del decoro talmente in basso che, se il Senato si accontenterà di far saltare lui, sarà più facile confermare tutti gli altri. C’è poi lo scenario descritto all’inizio: se il Senato si piegherà a non esercitare il suo mandato costituzionale di conferma, Trump potrà nominare tutti e quattro senza passare da un singolo voto.
Quello che muove Trump è evitare l’indecisione del suo primo mandato, quando negoziò con le varie anime di un Partito che non lo amava i membri della sua squadra di governo, spesso lontani dalle idee politiche del Presidente. Oggi vuole avere nei posti chiave i suoi fedeli, che condividono con lui l’idea di smantellare l’apparato burocratico, sostituendolo con funzionari nominati, per cercare di ricondurre tutta Washington sotto il potere del Presidente degli Stati Uniti.
(Immagine anteprima via Flickr)