Sul conflitto a Gaza la giustizia penale internazionale è in colpevole ritardo
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Sono passati sei mesi da quando il procuratore della Corte Penale Internazionale (CPI), Karim Khan, ha annunciato di voler richiedere l’arresto di Benjamin Netanyahu, Yoav Gallant e di tre capi militari di Hamas per possibili crimini di guerra e contro l’umanità commessi nel conflitto a Gaza. Una mossa che al tempo aveva destato stupore, segnando un deciso cambiamento di atteggiamento della giustizia penale internazionale sulla situazione della Palestina. Finora infatti, nonostante avesse ricevuto mandato per iniziare le indagini già dal 2021, Khan non aveva mai intrapreso azioni significative, pur a fronte di molteplici indizi criminosi che trasparivano dalle politiche israeliane di insediamento e occupazione dei territori palestinesi.
A sei mesi di distanza, sorge spontaneo chiedersi che fine abbiano fatto quelle richieste e perché la Corte penale internazionale stia impiegando così tanto tempo a decidere della loro convalida. Normalmente la Corte impiega tra le tre settimane e tre mesi per richieste analoghe. Per i mandati di arresto nei confronti di Putin e Lvova-Belova a seguito dell’invasione dell’Ucraina la stessa Corte aveva impiegato soltanto 29 giorni.
La responsabilità di questo ritardo – ammesso che di ritardo si possa realmente parlare per un dossier così complesso e delicato come quello israelo-palestinese – non ricade interamente sulla Corte Penale Internazionale. La Corte è attualmente sotto una schiacciante pressione, dovuta sia ad alcune tensioni interne che alle frequenti minacce di ritorsioni che provengono dall’esterno, che è iniziata fin dall’annuncio dell’apertura delle indagini ed è esponenzialmente aumentata a seguito della decisione di Khan di richiedere i mandati di arresto. Molti sono gli attori che, in maniera esplicita oppure dietro le quinte, stanno lavorando per continuare ad intralciare il corso della giustizia. Ciononostante, è essenziale che le richieste di arresto siano trattate con celerità e senza ritardi ingiustificati. Ne va della credibilità di una Corte penale internazionale sempre più fragile e della fiducia e certezza che le vittime nutrono nei confronti dell’intero sistema di amministrazione della giustizia.
Di cosa parliamo in questo articolo:
A che punto siamo ora
Le richieste di arresto sono depositate il 20 maggio 2024. Khan ha richiesto la cattura di Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano, Yoav Gallant, ex ministro della difesa israeliano, e di tre ex capi militari di Hamas – Yahya Sinwar, Mohammed Deif, Ismail Haniyeh. Questi ultimi, al momento in cui scriviamo, sono stati uccisi nel conflitto.
Le richieste pendono attualmente all’esame della Camera Preliminare I della CPI, che dovrà valutare se sono fondate (Art. 58 dello Statuto CPI). Lo Statuto non assegna alla Camera alcun termine per giungere alle proprie determinazioni, consentendole di convalidare le richieste del Procuratore “in qualsiasi momento”.
La sostituzione dei componenti della Corte
Il ritmo dei lavori della Camera Preliminare è stato recentemente turbato da un cambio nella sua composizione. Il 24 ottobre, la giudice romena, che era anche la presidente della Camera, Iulia Motoc, ha richiesto di poter essere sostituita per ragioni di salute, che non sono state ulteriormente precisate dalla Corte. Al suo posto, è subentrata la giudice slovena Beti Hohler. Nonostante alcune speculazioni su questa scelta, alla luce delle posizioni più prudenti che la giudice ha espresso in passato riguardo alla competenza della Corte Penale Internazionale in Palestina, non vi sono prove che questa nomina possa rappresentare effettivamente un vantaggio per le posizioni israeliane. D’altro canto, la giudice Hohler non gode di particolare favore neanche presso lo Stato israeliano, che ha recentemente sollevato dubbi sulla sua imparzialità richiedendo alla Corte ulteriori chiarimenti sull’assenza di conflitti di interesse. Israele teme infatti che, durante il periodo in cui ha lavorato presso l’ufficio della procura della Corte per la situazione nelle Filippine (2015-2023), Hohler possa aver avuto accesso diretto o indiretto a informazioni riguardanti le indagini in Palestina o aver trattato questioni giuridiche rilevanti anche per la situazione palestinese. Tuttavia, nelle richieste, Israele cerca di far valere una nozione di imparzialità particolarmente restrittiva, che difficilmente troverà accoglimento presso la Corte. È dunque più probabile che queste istanze siano un tentativo di mettere in dubbio la credibilità di Hohler e di rallentare ulteriormente la procedura.
Le complicazioni per i tecnicismi
Come detto, la Corte sta impiegando un tempo prolungato per decidere della convalida delle richieste. Parte di questo eccessivo ritardo è dovuto al fatto che numerosi individui, organizzazioni e Stati hanno richiesto di intervenire nella procedura presentando osservazioni scritte. Questi intervenienti, noti come “amici curiae” (amici della Corte), possono fornire alla Corte informazioni aggiuntive su questioni rilevanti per il procedimento, come previsto dalla Regola 103 delle Regole di procedura. Tuttavia, nonostante il termine suggerisca un certo ruolo di supporto, il risultato effettivo è che la Corte si trova a dover esaminare un ampio volume di documentazione prima di poter prendere una decisione sugli arresti, rallentando notevolmente la rapidità del procedimento.
La decisione di ammissione dell’intervento è a discrezione della Corte. La Camera preliminare ha dato il via ad un vero e proprio domino di richieste, autorizzando per prima la richiesta del Regno Unito, presentata il 17 giugno 2024. Per evitare di aprire il vaso di Pandora, tuttavia, la Corte ha specificato che la decisione non doveva essere letta come un invito aperto a presentare osservazioni da parte di chiunque (para. 6 della decisione) e che la documentazione doveva essere inviata entro lo stesso termine concesso al Regno Unito, il 12 luglio.
L’invito alla continenza non è stato accolto, e sono state presentate più di 70 richieste di intervento da parte di individui, organizzazioni, enti pubblici e altri Stati (para. 11 della decisione). La Corte dovrà dunque leggere circa 650 pagine di osservazioni prima di poter giungere ad una decisione. Non solo, le Regole di procedura della Corte prevedono che il procuratore abbia il diritto di rispondere alle osservazioni presentate, il che allungherà verosimilmente ancora la procedura. Gli interventi degli amici curiae inoltre non sono pubblici, per cui è impossibile sapere se il loro contenuto è effettivamente rilevante oppure se si tratta invece di richieste pretestuose con lo scopo ultimo di allungare le tempistiche procedurali.
Ironia della sorte, non appena mutato il governo, in seguito alla vittoria dei laburisti alle elezioni generali del 4 luglio, il Regno Unito ha ritirato la propria richiesta di intervento, che aveva originariamente scatenato il turbinio di richieste.
Tra le 70 richieste accolte non figurano quelle dei rappresentati legali delle vittime palestinesi, che sono state invece respinte. La Corte ha precisato (para. 14 della decisione) che le vittime potranno eventualmente intervenire nel successivo processo (Art. 68 dello Statuto CPI), benché non sia certo che tale processo venga poi effettivamente celebrato.
Le intimidazioni dall’esterno
Al di là dei tecnicismi procedurali, è altresì innegabile che parte del ritardo sia dovuto al crescente clima di ostilità e pressione politica internazionale nei confronti della Corte, che non rende semplice prendere una decisione. Il lavoro della Corte è minacciato e intralciato da chi non vuole che questi mandati di arresto vengano effettivamente emessi. Come rivelato tra gli altri dal Guardian, il Mossad, l’agenzia di intelligence e servizi segreti israeliana, ha da tempo nel mirino la Corte penale internazionale e ha condotto numerose campagne di spionaggio e intimidazione nei confronti dei suoi membri affinché essi non svolgano tranquillamente il loro lavoro.
Le autorità israeliane hanno contestato la Corte non solo attraverso le vie illecite, ma anche attraverso le vie giuridiche normalmente previste per casi come questo. Il 20 settembre 2024, il governo israeliano ha presentato due memorie scritte alla Corte, mettendone in discussione la giurisdizione e le valutazioni compiute dal procuratore sul rispetto del principio di complementarità, secondo il quale la Corte potrebbe intervenire soltanto qualora sui crimini non vogliano o non possano indagare le autorità israeliane. Tuttavia, alcune argomentazioni proposte dal governo israeliano, come quella secondo cui la Palestina non sarebbe uno stato, sono già state rigettate dalla Corte in altre occasioni.
Vi è poi la pressione politica esercitata dagli alleati dello Stato di Israele che non permette alla Corte di lavorare con serenità e autonomia. Già in passato gli Stati Uniti hanno visto non di buon occhio l’operato della giustizia penale internazionale, decidendo di adottare ritorsioni contro la Corte a fronte di alcune decisioni sgradite nell’esercizio del suo mandato. Durante la prima amministrazione Trump, il governo statunitense ha infatti adottato sanzioni individuali nei confronti del ex procuratrice generale, Fatou Bensouda, e dei suoi collaboratori, rei di aver di aver avviato un’indagine sui crimini internazionali commessi in Afghanistan in seguito alle operazioni militari successive agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001.
Le sanzioni sono poi state ritirate dall'amministrazione Biden, ma non è escluso che vengano nuovamente utilizzate come strumento di pressione politica per impedire la convalida degli arresti. Secondo quanto riportato da alcune testate, il 24 aprile 2024 dodici senatori repubblicani avrebbero inviato una lettera al procuratore Khan minacciando di ripetere la stessa pratica, con ripercussioni sui suoi collaboratori e sui suoi familiari. La rielezione di Donald Trump, che ha riportato la leadership repubblicana a capo degli Stati Uniti, potrebbe rappresentare un’ulteriore occasione per esacerbare questo clima di ostilità nei confronti della Corte e intensificare la frequenza di queste minacce.
La Corte ha risposto alle intimidazioni attraverso un comunicato del 3 maggio 2024, sottolineando che non tollererà alcun tipo di pressione che possa intralciare il suo operato e attentare alla sua integrità. L’intralcio alla giustizia è un reato punito ai sensi dello Statuto CPI con fino a cinque di reclusione nei confronti di chi impedisce alla Corte o ai suoi funzionari di svolgere i propri compiti attraverso l’uso di minacce, intimidazioni e ritorsioni.
L’8 ottobre, un gruppo di 20 palestinesi ha presentato un esposto presso la procura dei Paesi Bassi per intralcio e impedimento alla giustizia. Sebbene la denuncia non sia indirizzata ad individui, è chiaro dal contenuto che l'indagine della procura dovrebbe concentrarsi su esponenti di alto livello dei servizi di sicurezza israeliani. I Paesi Bassi possono esercitare giurisdizione in questo caso, perché i reati avrebbero prodotto effetto sul territorio nederlandese, avendo la Corte Penale internazionale sede a L’Aja.
L’apertura di un’indagine nei confronti del procuratore Khan
La tranquillità e la stabilità della Corte sono da ultimo state turbate dalla notizia che il procuratore Khan è stato accusato di molestie sessuali e abusi di potere sul posto di lavoro.
La vicenda è attualmente all’esame di un organismo imparziale, che sta conducendo un’inchiesta per accertare la veridicità dei fatti. Secondo Reuters, la presunta vittima degli abusi ha espresso dubbi sull'indipendenza dell’inchiesta, sottolineando che il nuovo presidente dell’organismo aveva precedentemente collaborato con lo staff di Karim Khan.
Alcune testate hanno sollevato il sospetto che si tratti di una strategia volta a ottenere le dimissioni del procuratore, riportando la circolazione di un documento interno, anonimo e privo di data, che sembrerebbe sollecitare una tale decisione.
La vicenda è stata utilizzata da alcuni esponenti della politica statunitense per chiedere che gli arresti non vengano convalidati prima che sia chiarita la posizione del procuratore.
I rischi di un colpevole ritardo
La Corte si trova dunque a gestire una serie di pressioni interne ed esterne per decidere di un caso altamente complicato sia dal punto di vista tecnico che da quello politico. Nonostante tutte queste difficoltà, è essenziale che la Corte arrivi ad una decisione in tempi brevi. Un ulteriore colpevole ritardo rischierebbe di compromettere l’integrità della procedura e produrrebbe conseguenze fatali per le sorti della Corte penale internazionale. A risentirne non sarebbe solo la credibilità della Corte, da tempo in bilico a causa della percezione di selettività nelle sue decisioni, ma soprattutto la sua funzione di garante della giustizia internazionale, che verrebbe inevitabilmente compromessa agli occhi delle vittime.
Ogni giorno di ritardo mina la legittimità della Corte e getta dubbi sulla sua capacità di agire in maniera indipendente e imparziale. Questa occasione offre alla Corte penale internazionale l’opportunità di dimostrare che può resistere alle pressioni politiche esterne e garantire un equo accesso alla giustizia per le vittime. La risposta della Camera, che sia positiva oppure negativa, non influenzerà soltanto l’esito di questa indagine, ma anche quello di indagini future. La Corte deve dunque agire tempestivamente e non può permettersi di rispondere in un momento in cui ogni azione potrebbe risultare superflua.
Tre capi militari di Hamas, per i quali era stato richiesto un mandato di arresto, sono deceduti nei ritardi del procedimento. La Camera penale avrebbe potuto e dovuto convalidare la loro richiesta mesi fa, avendo sufficienti elementi a disposizione per ritenere fondati i motivi dell’arresto. Anche se i ricercati non avrebbero mai visto un’aula di tribunale, una determinazione giudiziale della loro responsabilità per crimini di guerra, anche solo in via preliminare e sommaria, avrebbe avuto un valore intrinseco: avrebbe infatti affermato che nessun tipo di potere è esente dal rispetto dei principi di giustizia e di umanità. Continuando a temporeggiare, la Corte rischia di far perdere alla giustizia penale non solo il suo ruolo e la sua autorevolezza, ma anche il suo valore simbolico e il suo peso morale.
Immagine in anteprima: Frame video Nazioni Unite via YouTube