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Cosa significa la vittoria di Trump per il mondo

8 Novembre 2024 7 min lettura

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Cosa significa la vittoria di Trump per il mondo

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Madeleine Albright, Segretario di Stato di Clinton, una volta ha definito gli Stati Uniti la “nazione indispensabile” del mondo perché aveva un'influenza e delle responsabilità che superavano di gran lunga quelle di qualsiasi altro Stato. Questo ruolo – scrive Lawrence Freedman, professore emerito di War Studies al King’s College, nel Regno Unito, ed esperto di politica estera, relazioni internazionali e strategia – “non è stato adottato per altruismo, ma anche perché serviva gli interessi politici ed economici degli Stati Uniti che sarebbero stati irrimediabilmente danneggiati se fossero stati abbandonati”. 

Ci si interroga su cosa farà ora Trump durante il suo secondo mandato. Dove condurrà gli Stati Uniti nel consesso internazionale? Quale sarà il ruolo che ritaglierà agli USA? Terrà fede a quanto accennato nel suo primo mandato e durante la campagna elettorale, sposando una posizione più isolazionista? E se lo farà, questa transizione sarà davvero così semplice come alcuni pensano, o il ruolo internazionale degli Stati Uniti continuerà ad agire da freno? Che ricadute avrà nelle altre regioni mondiali?

Quel che abbiamo imparato dall’esperienza precedente, scrive ancora Freedman, è che Trump non si rivelerà un globalista dichiarato. In linea di principio, “ritiene offensiva l'idea stessa di alleanza, secondo cui gli Stati Uniti devono intervenire in difesa degli altri in caso di attacco”. Trump ha mostrato scarso interesse per le iniziative multilaterali, ritiene il cambiamento climatico una “bufala progettata per minare l'industria petrolifera statunitense”, ha già abbandonato in passato gli accordi di Parigi sul cambiamento climatico e, probabilmente, li abbandonerà di nuovo.

Tuttavia, le scelte che dovrà affrontare su questioni come l'Ucraina potrebbero rivelarsi più complesse di quanto abbia ipotizzato e, conclude Freedman, per quanto pensiamo di sapere cosa aspettarci, non dobbiamo dare per scontato che la direzione della seconda amministrazione Trump sia già stata stabilita.

Molto si capirà con le nomine per le posizioni chiave. Se ci sarà Mike Pompeo, ex direttore della CIA e poi è diventato Segretario di Stato, o Robert O'Brien, consigliere per la sicurezza nazionale di Trump dal 2019 al 2021. Entrambi non sono isolazionisti. Un articolo di O’Brien per Foreign Affairs dello scorso giugno descriveva una potenziale politica estera di Trump che sembrava escludere un eventuale disimpegno degli Stati Uniti dalle principali aree calde del pianeta. Una recente intervista di JD Vance minacciava un ritiro dalla NATO qualora l’Europa decidesse di perseguire X di Elon Musk e una posizione nei confronti di Mosca molto meno rigida rispetto a quella riportata da O'Brien. È difficile capire quanto queste intenzioni siano serie. 

Dazi doganali

Uno dei leitmotiv della campagna elettorale di Trump è stato quello dei dazi doganali, esaltati come se fossero un modo agevole per raccogliere fondi e addirittura quasi come un’alternativa alle tasse.

Non è così difficile imporli, è sufficiente un ordine esecutivo. Tuttavia, le proposte di Trump sembrano andare ben oltre. Il neo-presidente ha proposto non solo una tariffa del 60% sulle merci importate dalla Cina, ma anche del 10% e forse più su quelle provenienti da ogni altro paese. Questo potrebbe avere un effetto disastroso sull'economia internazionale, col rischio di far salire l'inflazione e causare la perdita di posti di lavoro. È di questo che l’Unione Europea vorrà discutere al più presto con Trump prima che prenda decisioni drastiche.

E poi, prosegue Freedman, potrebbero esserci ripercussioni anche sull’economia americana che, negli anni di Biden, ha visto una crescita costante ma anche un debito pubblico stimato in 35.700 miliardi di dollari, di cui circa un terzo di proprietà di stranieri. Un’amministrazione che vuole tagliare le tasse e imporre dazi potrebbe trovarsi ad affrontare una grave crisi finanziaria.

La pace attraverso la forza

Una delle critiche mosse da Trump alla politica estera di Biden, almeno attraverso le parole di Robert O'Brien, consigliere per la sicurezza nazionale di Trump dal 2019 al 2021, è stata la sua incapacità di dissuadere gli altri paesi dall'iniziare guerre né di concluderle rapidamente una volta iniziate. L’approccio di Biden – è in sintesi la critica di O’Brien – avrebbe ottenuto solo il trascinarsi nel tempo dei conflitti e l’incancrenirsi delle tensioni. Non abbiamo però prove del contrario, e cioè che Putin avrebbe fermato la sua invasione su larga scala dell'Ucraina nel febbraio 2022, o che non ci sarebbe stato l'attacco di Hamas e la risposta di Israele nell'ottobre 2023, se Trump fosse stato alla Casa Bianca. 

Trump ha detto in campagna elettorale di essere pronto a tenere gli Stati Uniti fuori dalle guerre. Tuttavia, l’intervento di O’Brien sembra suggerire altro, e cioè un aumento della spesa militare e l’uso della forza per arrivare alla pace. Gli USA devono essere pronti in caso di possibili guerre nel mondo.

Durante il suo primo mandato, Trump ha autorizzato gli attacchi contro la Siria dopo l'uso di armi chimiche contro i gruppi di ribelli (cosa che Obama era stato riluttante a fare), ha affrontato l'ISIS in Siria e in Iraq e ha ordinato l'assassinio del leader delle Guardie rivoluzionarie iraniane, Qasem Soleimani, nel gennaio 2020. Dopo aver minacciato la Corea del Nord all'inizio del suo primo mandato, ha intrapreso relazioni con Kim Jong-un per incoraggiarlo - senza successo - ad abbandonare i suoi programmi nucleari. E sebbene Biden sia stato incolpato di aver abbandonato l'Afghanistan nell'estate del 2021, è stato Trump a concludere l'accordo originale con i talebani, avendo chiarito fin dall'inizio della sua amministrazione che riteneva questo impegno inutile. E tutto questo non ha significato una distensione delle tensioni nelle varie regioni del pianeta.

Cosa attendersi, dunque? È probabile che si affidi alla diplomazia personale tanto quanto alle dimostrazioni di forza come fatto in passato, con la Cina, in Medio Oriente, in Ucraina. Tuttavia, non sarà semplice come sembra arrivare a un cessate il fuoco e gestire le tensioni nella regione indo-pacifica.

La guerra in Ucraina

Trump ha detto a Vladimir Putin di poter risolvere la guerra in Ucraina in un giorno. O’Brien ha parlato di mantenere gli aiuti all’Ucraina, finanziati dai paesi europei, di mantenere la NATO in Polonia, a patto che l’Europa faccia la sua parte in termini di difesa e facilitando l’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea, e di porte aperte alla diplomazia e con la Russia.

Il percorso, però, è tutt’altro che agevole. In primo luogo, non sarà facile imporre un accordo all'Ucraina, nemmeno minacciando di ritirare il sostegno statunitense. Gli ucraini potrebbero considerare alcune proposte per arrivare a una fine del conflitto, ma se non dovessero essere accettabili, considerato gli aiuti che riuscirà a dare l'Europa può raccogliere, l’Ucraina continuerà a combattere. Questo è stato il messaggio lanciato da Kyiv all'indomani delle elezioni, anche se il Presidente Zelensky ha inviato le sue congratulazioni a Trump.

In secondo luogo, Putin non ha mostrato alcuna disponibilità ad allontanarsi dalle sue richieste e potrebbe sentirsi tentato di mettere alla prova Trump per vedere fino a che punto può spingere l'Ucraina alla capitolazione. Se Putin non sarà disposto a negoziare, Trump dovrà decidere se minacciare di aumentare il sostegno all'Ucraina per incoraggiare la Russia a fare marcia indietro. 

In terzo luogo, concordare anche un cessate il fuoco limitato, per non parlare di un accordo di pace completo, non è affatto semplice (tracciare le linee, disimpegnare le forze, garantire il rispetto delle regole).

Medio Oriente

Per quanto riguarda il Medio Oriente, Trump ha sottolineato l'urgenza di porre fine alle uccisioni, ma non ha detto altro. Il premier israeliano Netanyahu sperava in un successo di Trump per avere più mano libera per la sua strategia a Gaza, in Cisgiordania e in Libano.

La strategia delineata da O’Brien è chiara: l’obiettivo è indebolire l’Iran, chiudendo ogni possibilità negoziale, aumentando la presenza delle forze marittime e aeree, e isolando quei paesi che acquistano petrolio e gas iraniani.

L’intenzione della futura amministrazione Trump sembrerebbe quella di ridare centralità all’Arabia Saudita. Trump si aspetta di continuare con gli accordi di Abramo. Prima dell'attacco di Hamas a Israele, l'amministrazione Biden stava cercando di estendere gli accordi all'Arabia Saudita. Ma anche in questo caso, il percorso è molto accidentato. I colloqui avviati con l’amministrazione Biden mettevano sul campo l’ipotesi di uno Stato palestinese. Con Trump è tutto più difficile.

Cina e Corea del Nord

Infine, ci sono la Cina e la Corea del Nord. L'ascesa della Cina come rivale strategico degli Stati Uniti è stato un tema importante della prima amministrazione Trump e di quella Biden. L'articolo di O'Brien suggerisce la possibilità di sganciarsi completamente dalla Cina dal punto di vista economico attraverso dazi più elevati e una cooperazione strategica e militare con Australia, Giappone, Filippine e Corea del Sud. Ma non è detto che sarà così facile e lo sforzo per provarci potrebbe aumentare i rischi di una crisi finanziaria, spiega Freedman.

Taiwan potrebbe essere un interessante banco di prova della sua disponibilità a perseguire la pace attraverso la forza. O’Brien ha aperto alla possibilità di addestrare forze militari a Taiwan e di coinvolgerle nelle esercitazioni per migliorare la sua difesa. Il budget per la difesa di Taiwan non è elevato rispetto alla minaccia e possiamo aspettarci pressioni su Taiwan affinché faccia di più per rafforzare la sua difesa militare piuttosto che affidarsi a un intervento diretto degli Stati Uniti. Il timore di Taiwan è che un aumento cospicuo dei suoi preparativi militari possa essere una delle mosse che potrebbero scatenare l'aggressione cinese.

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Un altro possibile fronte è, infine, la penisola coreana. Di recente la Corea del Nord ha inviato truppe in Russia e ha testato un missile intercontinentale, tutti segnali che non fanno presagire nulla di buono. Corea del Sud e Giappone sono preoccupati da un potenziale disinteresse di Trump e potrebbero riconsiderare i propri programmi nucleari come fonte di deterrenza.

Immagine in anteprima via Wikimedia commons 

 

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