Trattative fallite, depistaggi e fughe di notizie: lo scandalo che rischia di travolgere Netanyahu
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Da alcuni giorni gli uffici di Netanyahu sono al centro di quello che si avvia a diventare il più grande scandalo politico della storia di Israele: sta emergendo un disegno fatto di scoop giornalistici basati su informazioni false e manipolazioni di rapporti di intelligence che vede sul banco degli imputati lo staff del Primo Ministro israeliano. Le rivelazioni giornalistiche sono state utilizzate da Netanyahu per sostenere la linea di opposizione a tutti i costi verso un cessate il fuoco a Gaza. Una sospensione del conflitto strettamente connessa con la trattativa per la liberazione degli ostaggi rapiti da Hamas negli attacchi del 7 ottobre 2023 e che secondo le stime più recenti sarebbero ancora 60.
Ma per capire come si è arrivati a questo scandalo, alle sue aree oscure, al ruolo avuto dai sospettati in questa vicenda che ha prodotto già degli arresti, bisogna ripercorrere la linea temporale degli eventi legati alle trattative tra Israele e i mediatori di Qatar ed Egitto, oltre a quelli statunitensi. Un trattativa il cui naufragio ha messo Netanyahu di fronte a una delle peggiori crisi interne dell’ultimo anno, e che ha affrontato nel modo che meglio conosce: deviando l’attenzione con versioni di comodo.
Il contesto: le trattative durante l’estate per il cessate il fuoco
Il punto di svolta per le trattative tra Israele e Hamas arriva a fine maggio con una proposta dell'Amministrazione Biden.
Riprendendo e rielaborando i termini e i tempi dell'ultima proposta israeliana, il piano USA delinea tre fasi per il cessate il fuoco definitivo. Grazie a questa "rielaborazione", la proposta individua un punto di equilibrio tra le richieste di Hamas, poiché contempla un cessate il fuoco completo, l’ingresso massiccio di aiuti umanitari e un ritiro dell'esercito israeliano dalle aree abitate, e tra le richieste del governo israeliano, perché prevede un primo rilascio di ostaggi, ma non un ritiro completo dalla Striscia di Gaza.
Hamas risponde accogliendo favorevolmente la bozza d’accordo americana.
Netanyahu, da mesi ormai in seria difficoltà con l'opinione pubblica interna, in un primo momento accetta formalmente la proposta. La scelta fa però scattare il veto da parte dei due alleati di estrema destra di Netanyahu, Itamar Ben Gv'ir e Bezalel Smotrich, che minacciano di abbandonare la coalizione.
Le trattative proseguono comunque, grazie anche alla pressione americana, e verso la fine di luglio si inizia a delineare un accordo modellato sulla Fase 1 del piano Biden: un cessate il fuoco di sei settimane, l’entrata massiccia di aiuti, il rilascio di alcune decine di ostaggi, il ritiro dell'esercito israeliano dai grandi centri della Striscia di Gaza e dal Corridoio Filadelfia, al confine tra Egitto e Israele.
Com'è noto, attraverso quel tratto di confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto e attraverso dei tunnel sotterranei sono passate armi e beni di ogni genere. Un flusso di rifornimenti che ha alimentato non solo la capacità militare di Hamas, ma anche le sue finanze, grazie a una tassazione sui beni di consumo contrabbandati. Per questa ragione sin dalle fasi iniziali del conflitto le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno concentrato gli sforzi bellici per distruggere i tunnel del Corridoio Filadelfia, che in agosto sono già in via di smantellamento definitivo.
Così a cavallo tra luglio e agosto, mentre Hamas nelle settimane precedenti ha di fatto giocato di rimessa con un’opposizione di maniera su alcuni punti, dal lato israeliano esplode un conflitto interno sui termini dell’accordo.
Molteplici fonti del periodo parlano discussioni molto accese tra il team negoziale israeliano e Netanyahu, che repentinamente, dopo non aver manifestato nessun interesse particolare per mesi, inizia ad affermare che il ritiro anche temporaneo dal Corridoio Filadelfia non è negoziabile.
Come avvenuto in altre occasioni, su quello stallo formale interviene l’amministrazione americana e con la sua supervisione il team negoziale di Israele e quelli qatarino ed egiziano arrivano a definire una solida bozza di accordo. I mediatori israeliani comunicano infatti ai loro referenti in Qatar la disponibilità a un ritiro temporaneo dal corridoio, sebbene con alcuni passaggi graduali.
Gli ostaggi morti e i tentativi di Netanyahu di nascondere le proprie responsabilità
È proprio a fine agosto che trapela una delle prime “indiscrezioni”. Una fonte anonima presente a una riunione del gabinetto di sicurezza fa sapere che il direttore del Mossad, David Barnea, ha sostenuto la posizione del Primo Ministro. Visto che le diverse posizioni tra mediatori e Netanyahu erano già note, i media israeliani liquidano la fonte come poco attendibile.
Il 1° settembre, in un tunnel di Gaza sono trovati i cadaveri di alcuni ostaggi assassinati a sangue freddo: i loro nomi sono Hersh Goldberg-Polin, Eden Yerushalmi, Ori Danino, Alex Lobanov, Carmel Gat e Almog Sarus. Quattro di loro sono nella lista dei nomi da rilasciare in caso di accordo con Hamas.
La terribile notizia irrompe nell’opinione pubblica israeliana ed è collegata immediatamente alle prime voci del fallimento della trattativa. Da quel momento, le manifestazioni delle opposizioni e del Forum dei parenti degli ostaggi dal 1° settembre passano da una cadenza settimanale a una quotidiana. Risultano affollatissime in ogni parte del paese, a testimoniare il crescente dissenso verso il governo.
Ovunque risuona l'accusa a Netanyahu di aver creato le condizioni che hanno portato alla morte dei sei ostaggi, la richiesta rabbiosa di un ritorno alle trattative per la liberazione degli altri ostaggi nelle mani di Hamas e di un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza.
Il giorno dopo il ritrovamento dei cadaveri, un Netanyahu in seria difficoltà riunisce il consiglio dei ministri, fa mettere al voto la questione del Corridoio Filadelfia ottenendo l’appoggio per la propria linea, e convoca infine i giornalisti.
Di fronte alla stampa nazionale e internazionale, Netanyahu prova a dimostrare che è in corso un’operazione di guerra psicologica orchestrata da Hamas per manipolare l’opinione pubblica israeliana contro di lui e il suo governo, attraverso la strumentalizzazione dell’angoscia delle famiglie degli ostaggi. Secondo Netanyahu il bastione per arginare le richieste di Hamas è l'irrinunciabilità del presidio militare israeliano del Corridoio Filadelfia.
Per dare maggiore supporto alle sue affermazioni proietta su un grande schermo il contenuto di un foglio scritto a mano, in arabo con traduzione in ebraico a fronte, che è stato trovato in un tunnel.
Il foglio contiene delle linee guida strategiche che suggeriscono una continua distribuzione di foto e video dei rapiti israeliani per generare pressione psicologica ai cittadini israeliani, insieme ad altre raccomandazioni analoghe. Il documento ha però una particolarità: è stato già pubblicato nel gennaio del 2024 da Amit Segal, il controverso giornalista di Channel 12 molto vicino a Netanyahu.
Chi è Amit Segal?
Cresciuto nell’insediamento di Ofra, nella West Bank, il giornalista di Channel 12 Amit Segal è figlio di Hagai Segal, ex direttore del quotidiano di estrema destra Makor Rishon e coinvolto in un grave caso di terrorismo. Hagai Segal nel 1980 venne condannato per terrorismo dopo essersi reso responsabile dell’attentato dinamitardo al sindaco palestinese di al-Bira, Ibrahim Tawil, come membro della formazione terroristica di destra HaMakhteret HaYehudit che operò a cavallo degli anni Ottanta. Considerato uno dei più influenti giornalisti israeliani, Amit Segal è anche la voce televisiva autorevole più vicina al Premier Benjamin Netanyahu.
Benché autentico, il testo è già stato analizzato e giudicato non come una “direttiva di Hamas” ma come l’opera di una figura di nessuna rilevanza reale dell’organizzazione terroristica, molto simile ad altri documenti ritrovati. Tuttavia il foglio permette a Netanyahu di riproporre il suo schema consolidato di narrazione selettiva, estremamente funzionale per toccare le leve emotive della traumatizzata opinione pubblica israeliana.
Il premier israeliano, prosegue indicando una cartina della Striscia di Gaza dove sono tracciate delle direttrici dall’Egitto, paventa un potenziale riarmo di Hamas, un nuovo 7 ottobre e una possibile fuga di Sinwar. Uno scenario molto improbabile, perché la quasi totalità dei tunnel è già distrutta e le Brigate Ezzedin al-Qassam decimate. Inoltre 42 giorni di cessate il fuoco e un temporaneo ritiro dell’IDF dai soli maggiori centri abitati della Striscia di Gaza e dal Corridoio Filadelfia non sono certo sufficienti a creare le condizioni per un nuovo 7 ottobre.
Il Forum delle famiglie degli ostaggi definisce l’intervento del premier “Un discorso pieno di bugie e giri di parole”, mentre le proteste dell’opposizione parlamentare proseguono con sempre più veemenza assieme alle manifestazioni in tutto Israele.
Falsi scoop e documenti classificati
Il 5 settembre, sul giornale comunitario inglese The Jewish Chronicle è pubblicato uno scoop a firma di un semisconosciuto freelance dal curriculum improbabile, Elon Perry. Lo scoop, basato su presunte fonti dell’intelligence israeliana, parla di una ormai imminente fuga dalla Striscia di Gaza del leader di Hamas Yahya Sinwar. Il piano, secondo Perry, prevede di passare con alcuni ostaggi attraverso il Corridoio Filadelfia, diretto in Iran o Yemen.
Di cosa si occupa il Jewish Chronicle?
The Jewish Chronicle, attivo dal 1841 e di base a Londra, è il giornale ebraico pubblicato senza interruzioni più antico del mondo. Da sempre di taglio conservatore, dopo una crisi finanziaria e l’accorpamento con altre testate ebraiche da circa 4 anni è nelle mani di un nuovo consorzio di cui non si conoscono i finanziatori, circostanza che ha attirato più di una critica nel Regno Unito, per motivi di trasparenza. Con l’arrivo di questi misteriosi finanziatori si è collocato completamente sulle posizioni della destra ebraica più estrema e sulle politiche di Netanyahu.
Anche se accolta tra molti dubbi, in qualche misura la notizia del Jewish Chronicle rafforza la narrazione di Netanyahu vista all’opera nella conferenza stampa. Pochi giorni dopo l’uscita, arriva però la smentita del portavoce dell’IDF Daniel Hagari. Lo scoop risulta quindi un falso. falso.
La smentita innesca una sorta di reazione a catena: il Jewish Chronicle chiude ogni collaborazione con Elon Perry e cancella dal sito tutti i suoi articoli, mentre i redattori più prestigiosi si dimettono per protesta, considerando l’episodio la pietra tombale sulla reputazione della testata..
Il 6 settembre arriva un altro scoop, stavolta del tabloid tedesco Bild. Lo scoop è incentrato su documenti classificati, dando per probabile che fossero contenuti in un PC di Sinwar sequestrato in un tunnel. Quanto riportato da Bild corrobora parte dei contenuti del foglio esibito come “prova” da Netanyahu sulla presunta psyop di Hamas; al tempo stesso illustra la strategia dell’organizzazione per non arrivare ad un cessate il fuoco senza fare però menzione del Corridoio Filadelfia.
Il documento è ritenuto autentico dall’IDF, anche se "scritto come raccomandazione da ranghi medi di Hamas, e non da Sinwar" come dichiarato dal portavoce Daniel Hagari. Proprio perché autentico, il documento pone un problema enorme: è classificato e quindi segreto, perciò lo scoop di Bild è frutto di una fuga di notizie, una probabile breccia nei sistemi informatici dell’intelligence israeliana. Così l’8 settembre l’IDF annuncia che è stata aperta un’indagine condotta insieme alla polizia.
Lo stesso giorno Netanyahu, nonostante l’inconsistenza delle sue argomentazioni sia ormai di pubblico dominio, in una riunione di gabinetto non esita a ribadire la propria tesi, appoggiandosi proprio allo scoop di Bild: "Lo scorso fine settimana, il quotidiano tedesco Bild ha pubblicato un documento ufficiale di Hamas in cui rivela il suo piano d'azione: seminare discordia tra di noi, usare la guerra psicologica sulle famiglie degli ostaggi, esercitare pressioni politiche interne ed esterne sul governo di Israele, dividerci dall'interno e continuare la guerra fino a nuovo avviso, finché Israele non sarà sconfitto.”
Poi l'inasprirsi del conflitto con Hezbollah in Libano e Iran prevale su ogni dibattito, mentre le limitazioni agli assembramenti pubblici per ragioni di sicurezza svuotano le piazze. Dimostranti e i familiari degli ostaggi non desistono e iniziano a riunirsi in piccoli presidi di protesta.
Ma le indagini vanno avanti e il 27 ottobre scattano le manette ai polsi di quattro sospettati. I loro nomi sono immediatamente secretati da Shin Bet per motivi di riservatezza. Nonostante ciò, nei giorni successivi inizia a circolare il nome di uno stretto collaboratore di Netanyahu, il 32enne Eli Feldstein, come una delle persone tratte in arresto.
Eliezer “Eli” Feldstein è un sionista religioso, ed è stato il portavoce della Divisione Giudea e Samaria dell’IDF e poi di Ben Gvir. Data la sua attività pregressa a contatto con i giornalisti, la sua assunzione tra i collaboratori più stretti di Netanyahu come portavoce per i corrispondenti militari, avvenuta il 22 ottobre del 2023, sin da subito viene notata.
Ha un profilo politico marcatamente di destra e in un periodo di guerra è prassi consolidata che ministri e vertici dell’IDF interloquiscano direttamente con i giornalisti e non attraverso addetti stampa. Il quotidiano Haaretz dedica un articolo all’assunzione di Felsdstein, contestualizzandola a una campagna di comunicazione per scaricare tutte le responsabilità del 7 ottobre su IDF e intelligence.
Il 3 novembre il coinvolgimento di Feldstein nell’indagine è di pubblico dominio grazie a un pronunciamento del tribunale di Rishon Letzion che accoglie una mozione da parte di alcuni organi di stampa. Nei giorni successivi all’ufficializzazione del suo arresto il quadro si delinea ulteriormente.
Sin dalla mattina del 3 novembre la stampa inizia a parlare di “furto dal database” e non di una “fuga di notizie”. Ma pur avendo un ruolo centrale nello staff di Netanyahu, pur essendo nota la sua partecipazione a riunioni riservate, Eli Feldstein non ha mai superato i controlli di sicurezza dello Shin Bet. Di conseguenza non può quindi avere il nulla osta per l’accesso diretto ai documenti segreti del database dell’unità 8200, che è il collettore di tutte le informazioni di intelligence israeliane. Il sospetto è che ci siano perciò altri complici.
Già il 4 novembre viene effettuato l’arresto di un maggiore della riserva che aveva prestato servizio nella Direzione della sicurezza informatica mentre dopo sei giorni di fermo viene rilasciato uno dei 4 arrestati il 27 ottobre.
Secondo le prime ricostruzioni investigative, Feldstein si sarebbe fatto dare uno o più dossier da chi aveva le autorizzazioni per interrogare il database del Direttorato dell'intelligence militare. All’interno di questa operazione di accesso abusivo, manipolazione e “divulgazione” di dossier riservati, sarebbero state poi coinvolte due persone dello staff di Feldstein, anche se il loro ruolo al momento non è noto. Da notare che tra i compiti del gruppo di lavoro di Feldstein c’era anche quello di vigilare affinché non trapelassero informazioni riservate alla stampa.
Il lavoro degli investigatori ora consisterà nell’individuare eventuali complicità ulteriori. Resta da capire se sono state coinvolte figure con il livello di sicurezza necessario per accedere ai documenti classificati. Così come non è ancora chiaro se siano stati sottratti altri dossier, in che numero e a quale scopo. Infine, ed è l’interrogativo più pesante dell’intera vicenda, resta il dubbio su chi abbia passato a Bild il documento classificato in autonomia, e attraverso quali canali - direttamente o tramite intermediari come ad esempio servizi di intelligence stranieri.
Quanto a Netanyahu, benché al momento sia indimostrato un coinvolgimento diretto, agli osservatori appare improbabile che sia totalmente estraneo ai fatti. A essere sospetto è prima di tutto l’uso reiterato in più sedi dei contenuti delle fughe di notizie, smentiti in varia misura dall’IDF ma stranamente coordinati tra loro.
Alcuni commentatori hanno tentato di diluire il ruolo di Netanyahu nello scandalo rilanciando i suoi tentativi di minimizzare il ruolo di Feldstein nello staff. Netanyahu ha per esempio negato la presenza di Feldstein a incontri riservati, ma numerose prove fotografiche smentiscono questa versione. Per lo “scoop” di gennaio, e vista la sua similitudine con quanto poi pubblicato da De Bild, il giornalista Amit Segal attualmente è oggetto di indagine.
Che impatto avrà questa vicenda al momento sulla figura di Netanyahu non è ancora prevedibile, ma la sua precisa responsabilità politica come premier per la mancata custodia di informazioni segrete, e per di più nei suoi uffici, è ben chiara al paese.
E mentre si addensano le nuvole sopra la testa di Netanyahu, proseguono le indagini di Shin Bet, l’estensione del conflitto si allarga sempre più, e gli ostaggi sono ancora nelle mani di ciò che resta di Hamas, abbandonati da 397 giorni.
(Immagine in anteprima: frame via YouTube)