La foresta sei anni dopo la tempesta Vaia che sconvolse il Trentino e il Veneto
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Alla vigilia del sesto anniversario della tempesta Vaia si può tracciare un quadro di quanto è accaduto in questi anni e delle misure che sono state applicate per arginare i danni degli schianti. La tempesta Vaia è un evento meteorologico estremo che ha causato gravissimi danni al patrimonio forestale di quattro regioni del Nord Italia tra il 28 e il 30 ottobre 2018. In particolare, le più colpite sono state il Trentino Alto Adige e il Veneto, con punte massime nelle province di Trento e Belluno, ma danni ingenti si sono verificati anche nei boschi della Lombardia nord-orientale e in parte del Friuli nord-occidentale. Nel complesso, si stima che la tempesta abbia interessato una superficie di oltre 42.000 ettari e abbattuto 16 milioni di metri cubi di legname.
In questi anni è stato fatto molto, per porre rimedio alle conseguenze di Vaia, sia per quanto riguarda il recupero del legname e il suo riutilizzo a fini artigianali e artistici, sia dal punto di vista delle infrastrutture danneggiate dalla tempesta. La logica che sottendeva gli interventi nella prima fase è stata per lo più di tipo emergenziale, mentre la recente relazione conclusiva delle attività di monitoraggio delle aree colpite dalla tempesta ha portato alla luce alcuni dati interessanti, che vale la pena di esaminare. Le conclusioni del monitoraggio evidenziano l’importanza degli schianti nel generare un’aumentata biodiversità, attraverso la creazione di “nuovi ambienti eterogenei utilizzabili da una diversità di organismi normalmente non presenti in ambienti forestali” (p. 34).
Di cosa parliamo in questo articolo:
Un bosco diverso
Il primo aspetto che emerge dalle osservazioni degli scienziati delle Università di Padova e Udine, responsabili della ricerca, è che solo a bassa quota i boschi si stanno rigenerando in modo naturale, mentre in alta quota si sta assistendo a una trasformazione della tipologia di piante, a causa soprattutto del cambiamento climatico. Tuttavia, la situazione antecedente a Vaia non è affatto auspicabile né ripetibile, in quanto gli schianti si sono verificati per la massima parte in aree di foresta relativamente giovane e ricreata in modo artificiale dopo la Prima guerra mondiale con la monocoltura dell’abete rosso, che ha mostrato tutta la sua fragilità. La relazione del monitoraggio – finanziato a partire dal 2020 con le risorse del Fondo per le Foreste italiane – ha messo in evidenza che in bassa quota vi è attualmente un numero maggiore di specie vegetali rispetto alla situazione antecedente agli schianti del 2018. Lo studio delle aree interessate ha rilevato che in bassa quota si sta verificando una graduale transizione verso la diffusione di arbusti e latifoglie, quindi un bosco non più prevalentemente di conifere. Questo dato è importante, in quanto le piante piccole sono alla base dell’alimentazione di ungulati e plantigradi, che ogni anno ne brucano il 12,4%.
È inoltre presente un grande accumulo di necromassa, che ai margini del bosco da un lato costituisce una protezione per le piantine favorendone la rinnovazione, laddove i semi sono più disponibili; d’altro canto, facilita la diffusione del coleottero che dal 2018 è diventato l’incubo dei forestali, ovvero il bostrico, insetto di per sé endemico e non dannoso, e che anzi svolge una funzione ecologica fondamentale, in quanto cibandosi di legno morto lo toglie di mezzo. Tuttavia, nelle foreste del nord Italia il bostrico si sta riproducendo a ritmi inconsueti, non solo a causa dell’accumulo di legname schiantato durante la tempesta Vaia, ma anche del cambiamento climatico e delle temperature più miti che ne aumentano la proliferazione, con il rischio concreto che diventi epidemico e che porti alla morte di alberi sani.
Il dato davvero preoccupante che emerge dalla relazione del monitoraggio post-Vaia consiste nel rischio che non il margine del bosco, dove è presente grande attività, ma il cuore delle aree forestali abbia meno probabilità di rinnovarsi in modo naturale. È in quelle aree che si dovrà intervenire nei prossimi anni, per permettere alla foresta di continuare a vivere ed espletare la sua funzione vitale per gli esseri umani e per la fauna selvatica, ovvero la regolazione naturale della temperatura attraverso la sua capacità di assorbire CO2 e di fissarla in modo durevole nel legno o nel suolo. Questa capacità varia a seconda del tipo di foresta e delle modalità di gestione. Per questo motivo la gestione forestale post-Vaia è un argomento di estremo interesse, visto il ruolo fondamentale che i boschi del nord Italia ricoprono nel contrastare l’inquinamento da CO2 della pianura Padana, che da anni ha orami superato i livelli massimi, con grave rischio per la salute.
Centralità della gestione forestale
Come dimostrano gli esiti del monitoraggio, la situazione precedente a Vaia non è replicabile, poiché la diffusione dell’abete rosso, dell’abete bianco e del faggio risulta naturalmente più difficile, a causa della pesantezza dei loro semi. Inoltre, Vaia ha certificato di fatto la fragilità dell’abete rosso davanti a fenomeni come la siccità e il bostrico, mentre una maggiore diversità garantisce una struttura più solida del bosco, in grado di far fronte a eventuali ulteriori eventi atmosferici simili alla tempesta Vaia, che non si può escludere si verifichino nel futuro. Larice e faggio sembrano essere le piante che prosperano a bassa quota nel bosco post-Vaia, mentre a quota intermedia si registra un rimboschimento basato soprattutto sulla presenza di abete bianco.
Il ruolo dei selvatici è centrale nel processo di rimboschimento, a causa della loro attività di brucamento che si svolge soprattutto nelle radure, poiché l’aumento dei predatori, prevalentemente orsi e lupi, ha spinto gli ungulati verso le zone interne, dove si cibano di ontano verde e sorbo.
Lo scorso anno, in occasione del quinto anniversario della tempesta, la Provincia Autonoma di Trento ha annunciato un progetto innovativo di gestione forestale, che potrebbe in futuro garantire una maggiore biodiversità nei boschi del nord Italia. Si tratta di X-RISK-CC, un programma attivo fino al 2027, il cui obiettivo specifico è di promuovere l'adattamento ai cambiamenti climatici e la prevenzione del rischio di catastrofi, tenendo conto degli approcci basati sugli ecosistemi, con priorità verso la resilienza al clima della parte boschiva della regione alpina. Gli eventi climatici, infatti, non sono considerati nei meccanismi di riduzione del rischio di disastri, e in generale si è spesso sottovalutato l’effetto domino legato ad eventi estremi. Il programma X-RISK-CC si pone l’obiettivo di aiutare i gestori del rischio attraverso lo sviluppo di conoscenze e la proposta di soluzioni comuni per la gestione degli eventi estremi.
Dal punto di vista della presa di coscienza della gravità della situazione, sia la relazione sul monitoraggio sia l’avviamento delle osservazioni scientifiche del programma X-RISK-CC costituiscono un passo avanti nella comprensione più approfondita delle motivazioni degli schianti dell’entità vista nel 2018. Attualmente risulta chiaro, quindi, che la gestione forestale, con il monitoraggio della diversificazione del bosco, della fauna selvatica e degli effetti del cambiamento climatico, deve essere il centro dell’azione governativa e amministrativa.
Creatività e divulgazione
D’altro canto, la divulgazione scientifica e la produzione artistica ricoprono un ruolo fondamentale nella sensibilizzazione dei cittadini verso il ruolo della foresta, rispetto alla logica dello sfruttamento estrazionista che ha caratterizzato il rapporto con il bosco per gran parte del secolo scorso. L’evento Vaia ha svolto la funzione di catalizzatore, accelerando sensibilmente la presa di coscienza della gravità del problema ecologico causato dal cambiamento climatico. L’effetto domino sull’ecosistema alpino orientale ha alimentato preoccupazioni a tutti i livelli e in tutti i settori, generando uno straordinario interesse intorno alla funzione vitale del bosco, non solo come riserva di legname, ma innanzitutto come polmone di un’area europea particolarmente inquinata dalle attività umane. Se la produzione artistica è stata fino a oggi interessata da una retorica ispirata al concetto di resilienza, la questione centrale non è semplicemente la rinascita del bosco per replicare il rapporto caratterizzato dallo sfruttamento economico. Il pericolo che hanno corso e continuano a correre le nostre foreste ha reso evidente che il ruolo delle aree boschive va molto oltre l’estrazione del legname e la frequentazione turistica, poiché ha a che fare direttamente con la salute umana e la sopravvivenza della specie.
Benefici della foresta
La terapia forestale è considerata dal CNR un intervento fondamentale sulla salute mentale nella società post-pandemica:
“L’uomo del ventunesimo secolo, anche nei fortunati paesi sviluppati, si è improvvisamente reso conto della propria vulnerabilità non solo come individuo ma perfino come specie, nonostante tutti i progressi tecnologici e medici accumulati almeno dalla prima rivoluzione industriale. […] [I]l ruolo primario delle foreste è emerso molto chiaramente. La maggior parte delle epidemie e pandemie di origine zoonotica, contratte quindi da animali, che hanno colpito il mondo negli ultimi decenni, ha condiviso un tratto comune: l’interferenza umana con gli ambienti forestali naturali, in termini di deforestazione, frammentazione, pressione antropica ai margini delle foreste, soprattutto nelle aree tropicali e semi-tropicali ricche di biodiversità. È il caso, per esempio, di Ebola, Dengue, malattia di Lyme e Leishmaniosi” (p. 13).
Se il danneggiamento delle aree forestali ha un legame diretto con la diffusione di malattie, la frequentazione delle foreste apporta grandi benefici alla salute mentale:
“All’esposizione diretta ad ambienti forestali è stato attribuito un ampio spettro di benefici diretti per la salute umana […] Tali benefici sono prima di tutto psicologici (processi mentali, stress, ansia ed emozioni), riferiti ai processi cognitivi, alla vita sociale (abilità, interazioni, comportamenti e stili di vita) e al benessere spirituale. Sul lato fisiologico, effetti molto significativi sono stati osservati rispetto al miglioramento delle funzioni cardiovascolari e degli indici emodinamici, neuroendocrini, metabolici, immunitari, infiammatori e ossidativi” (p. 35).
E i danni del turismo?
Rimane aperta una questione non toccata neanche da questo documento del CNR, ovvero l’impatto che il fenomeno dell’overtourism può avere sulla salute dell’area forestale alpina. Il grande beneficio che si ricava dalla frequentazione delle foreste non può avvenire a scapito di un ambiente la cui fragilità è stata attestata da Vaia. Si rende oggi più che mai necessaria un’azione educativa nei confronti della corretta frequentazione delle aree boschive, nel rispetto dell’ecosistema forestale, che include il rapporto con i grandi carnivori e con gli ungulati. A sei anni dalla tempesta Vaia rimane quindi ancora in sospeso quale tipo di intervento si intende effettuare all’interno della società, perché l’informazione raggiunga correttamente i cittadini. Di certo, il sistema mediatico non riserva la necessaria attenzione alla divulgazione scientifica, né vi sono spazi adeguati entro i quali dare risalto a opere di varia tipologia, divulgative e creative, che affrontano le questioni relative al legame fra foresta e società. L’impressione è che nonostante le numerose pubblicazioni e le attività di diffusione – svolte più che altro in spazi specializzati dove si reca solo chi ha già un interesse per i prodotti culturali – non sia sufficientemente chiaro al grande pubblico che buona salute della foresta dipende in larga parte delle attività umane.
*Claudia Boscolo, dottore di ricerca in Italian Studies presso la Royal Holloway University of London, docente di ruolo di Lingua e Letteratura italiana presso i licei della Provincia Autonoma di Trento, e firma di Valigia Blu, ha pubblicato di recente La tempesta e l’orso (Industria & Letteratura, 2024). Nel libro la storia della tempesta Vaia, che ha devastato i boschi del Trentino e del Veneto alla fine di ottobre 2018, si intreccia con quella dell’orso M49, vittima di una surreale persecuzione.
Immagine in anteprima: Nordavind, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons