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La guerra di Gaza si allarga al Libano, ma all’ONU l’Iran cerca la diplomazia

26 Settembre 2024 9 min lettura

La guerra di Gaza si allarga al Libano, ma all’ONU l’Iran cerca la diplomazia

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Vi è stato un tempo in cui un presidente iraniano, come il riformista Mohammad Khatami nel 1998, si rivolgeva all’Assemblea Generale dell’ONU proponendo un “Dialogo fra le Civiltà”, e un tempo in cui un suo successore, il conservatore moderato Hassan Rouhani nel 2013, ne riprendeva l’esempio con un discorso su “Il mondo contro la violenza e l’estremismo”. Ma per il nuovo presidente riformista, Masoud Pezeshkian, sembrano finiti i tempi delle grandi visioni e della retorica con cui la Repubblica Islamica si presentava al più alto consesso delle Nazioni Unite. 

Pezeshkian – eletto e insediato solo pochi mesi fa, dopo la morte in un controverso incidente aereo del conservatore Ibrahim Raisi – si confronta infatti con una terribile crisi in Medio Oriente, a undici mesi dall’inizio della sanguinosa guerra di Israele contro Hamas a Gaza e nel pieno di una nuova offensiva di Tel Aviv contro Hezbollah in Libano. In entrambi questi scenari, con decine di migliaia di vittime civili a Gaza e centinaia in un solo giorno in Libano, a essere colpiti sono due dei più cruciali alleati della Repubblica Islamica nelle sue strategie militari nella regione. E il presidente iraniano si trova a bilanciare, da una parte, le sue promesse di riapertura al dialogo con l’Occidente - volta in particolare a spazzare via le sanzioni che pesano sull’economia del paese - dall’altra, la necessità di riaffermare il ruolo della Repubblica Islamica come campione della causa palestinese e di difendere il suo prestigio, e la sua capacità di deterrenza di fronte alle azioni di Israele anche sul proprio territorio - l’ultima delle quali la clamorosa uccisione a Teheran del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, proprio nel giorno del suo insediamento davanti al parlamento. 

L’anno appena trascorso - ha detto Pezeshkian all’Assemblea Generale - ha rivelato al mondo la vera natura del regime israeliano, che in undici mesi ha “assassinato a sangue freddo oltre 41.000 persone innocenti, per lo più donne e bambini”. E mentre Israele uccideva scienziati, diplomatici e ospiti iraniani – ha proseguito - l'Iran ha sostenuto i movimenti popolari di liberazione di coloro che erano stati vittime dei crimini e del colonialismo del regime israeliano. “Condanniamo i crimini israeliani contro l'umanità", ha affermato, esortando la comunità internazionale a fermare la violenza e a raggiungere un cessate il fuoco permanente a Gaza. Ha anche condannato la "barbarie disperata" di Israele in Libano, avvertendo che deve essere fermata "prima che travolga la regione e il mondo". E ha sottolineato che “nessun paese può raggiungere la sicurezza minando la sicurezza degli altri”.

Citando lo "storico" accordo nucleare del 2015, il JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action), ha rimarcato che l’Iran aveva accettato il massimo livello di controllo nucleare in cambio del riconoscimento dei suoi diritti e della revoca delle sanzioni. Ma il ritiro unilaterale dall’intesa dell'ex presidente Usa Donald Trump, nel 2018, ha rappresentato un "approccio minaccioso", con sanzioni che hanno preso di mira persone innocenti. "Siamo pronti a impegnarci con i partecipanti al JCPOA: se gli impegni saranno implementati pienamente e in buona fede, potrà seguire il dialogo su altre questioni”. 

La Repubblica Islamica è infatti pronta a promuovere partnership significative in ambito economico, sociale, politico e di sicurezza con i suoi vicini e partner globali, "sulla base di un piano di parità". Rivolgendosi inoltre al popolo americano ha  precisato: "Non è l'Iran che ha costruito una base militare vicino ai vostri confini. Non è l'Iran che vi ha imposto sanzioni e impedito i vostri rapporti commerciali con il mondo. Non è l'Iran che vi blocca l'accesso alle medicine".

In realtà, per quanto in primo piano nell’agenda della delegazione iraniana all’ONU, il tema di una ripresa dei colloqui sul programma nucleare iraniano (giunto a livelli di allarmante vicinanza ad un suo possibile impiego militare) si scontra in primo luogo con l’ormai prossimo voto per il nuovo presidente USA, che potrebbe far tornare proprio Trump alla Casa Bianca: in un anno come questo – in cui sui diversi fronti di guerra in Medio Oriente l’amministrazione Biden si rivela da tempo come un’anatra più zoppa che mai, è difficile che la delegazione iraniana possa ottenere risultati diplomatici sostanziali. 

Anche se a New York sono giunti diplomatici di peso come l’ex ministro degli Esteri, Javad Zarif – ora vicepresidente di Pezeshkian per le questioni strategiche, dopo una parentesi dimissionaria coincisa con l’annuncio di una rosa dei ministri  governo che aveva tradito molte aspettative –, il ministro degli Esteri in carica, Abbas Araqchi, e il suo vice, Majid Takht-Ravanchi. Ma è probabile che - proprio sull’onda dell’apparente nuovo corso coinciso con la vittoria del candidato riformista alle ultime presidenziali - gli incontri della rappresentanza iraniana a New York possano preparare il terreno per un dialogo, in caso di vittoria di Kamala Harris, con la nuova amministrazione USA. 

Praticamente certo comunque appare che i nuovi negoziati - il cui filo non è stato mai interrotto in questi mesi - non riguarderebbero più un ritorno al vecchio accordo del 2015 tradito tre anni dopo dagli USA, ma avrebbero come punto di arrivo una nuova intesa aggiornata alla situazione presente. “Araqchi ha recentemente affermato che l’accordo del 2015 non può essere ripristinato nella sua forma originale, una posizione riecheggiata dagli attuali funzionari Usa ed europei”, ricorda un recente articolo del Wall Street Journal. Anche se, secondo Ali Vaez dell’International Crisis Group, “l’Iran è probabilmente aperto a una serie di accordi limitati o provvisori che possono portare specifici benefici economici per alcune misure volte a limitare le attività nucleari dell’Iran o eventualmente stabilire linee rosse per le azioni regionali di Teheran”. E se invece alla Casa Bianca tornasse Trump? “Mentre alcuni funzionari iraniani pensano che Trump potrebbe essere tentato da un nuovo grande accordo con Teheran – si legge ancora sul WSJ -, l’ex presidente ha dato pochi segnali che non cercherà di ripristinare la sua politica di sanzioni e massima pressione”.

Sul Libano messaggi cifrati, Hezbollah non può essere lasciato solo 

Ma il tema della guerra di Israele contro Hamas a Gaza e Hezbollah in Libano, con la sua tragica contabilità di morti tra civili, donne e minori, domina nell’agenda di Pezeshkian e del suo seguito a New York. “Non possiamo permettere che il Libano diventi un’altra Gaza per mano di Israele. Hezbollah non può farlo da solo, non può fronteggiare da solo un paese difeso. sostenuto e rifornito dai paesi occidentali, Europa e USA”, ha dichiarato Pezeshkian in un’intervista alla CNN, chiamando in causa anche i paesi islamici presenti all’Assemblea ONU. Inoltre, parlando con i giornalisti, Pezeshkian ha accusato Israele di tentare di tirar dentro l’Iran in una guerra regionale su vasta scala proprio con la pesante offensiva in corso su Hezbollah, e ha avvertito delle sue conseguenze “irreversibili”.

Il ministro degli Esteri Araqchi, da parte sua, ha assicurato che "l'Iran non rimarrà indifferente" e "starà al fianco del popolo del Libano e della Palestina". "Non sottovalutate mai la capacità di Hezbollah di difendere il Libano da qualsiasi aggressione”, ha detto ancora Araqchi. Quanto a Zarif, ha esortato la comunità internazionale a schierarsi contro Israele e a chiedere la "fine dell'occupazione, dei crimini e delle aggressioni".

Al di là delle dichiarazioni, ancora involute in merito alle forme che prenderà il sostegno di Teheran a Hezbollah, la valenza di questa presenza iraniana a New York sta comunque nella fitta agenda di incontri diplomatici a margine dell’Assemblea Generale, con Pezeshjian che ha parlato con il presidente francese Macron e il suo omologo turco Erdogan, oltre che con il ministro degli esteri cinese, e Araqchi impegnato con, fra gli altri, il rappresentante con la politica estera UE, Josep Borrell, il direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA), Raphael Grossi, e il ministro degli esteri italiano, Antonio Tajani, che ha invitato Teheran a esercitare la propria influenza sui gruppi nella regione, per richiamarli alla moderazione in tutti i quadranti: Libano, Iraq, Siria e Mar Rosso. 

Insomma, vista da New York la posizione della Repubblica Islamica sugli ultimi sviluppi dell’offensiva militare israeliana sembra restare quella di un sostanziale attendismo, ancora in bilico tra la possibilità di una risposta diretta o congiunta con le milizie alleate. Mentre a Teheran Ali Khameni – parlando in pubblico ai veterani della guerra degli anni Ottanta con l’Iran –ammette che Hezbollah ha subito importanti perdite tra i suoi uomini e vertici, ma che “queste non lo hanno azzoppato e che la vittoria finale appartiene all’Asse della resistenza”. 

Resta intanto aperta, sul fronte ucraino, la spinosa questione della spedizione dei missili balistici che secondo fonti USA ed europee Teheran avrebbe inviato a Mosca, ma rispetto alla quale il presidente ha mantenuto le distanze negando che sia avvenuta durante il suo mandato. Certo è che la collaborazione anche militare tra Mosca e Teheran continua, tanto che lo stesso Pezeshkian ha di recente annunciato la disponibilità a firmare, al vertice di fine ottobre dei Brics a Kazan, in Russia, un accordo ventennale in preparazione dal 2021. 

Se ai leader mondiali parla anche una donna, ma dal carcere di Evin

Ma si può guardare al debutto all’ONU di Pezeshkian anche dal punto di vista di una donna: quello di Narges Mohammadi, premio Nobel per la Pace per la sua attività a favore dei diritti umani e contro la pena di morte, e interprete del movimento Donna Vita Libertà, nato dalla morte, due anni fa, di Jina Mahsa Amini. La sua voce, che giunge dal carcere di Evin, incarna l’opposizione interna alla Repubblica Islamica, o almeno una parte di essa. E come al solito usa un linguaggio diverso rispetto a quello dell’opposizione iraniana della diaspora più presente sui nostri media. 

“Onorevoli esponenti della comunità internazionale – scriveva Narges Mohammadi in una lettera indirizzata al Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, e ai membri dell’Assemblea Generale - i rappresentanti della Repubblica Islamica dell’Iran saranno presenti tra voi durante la sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Per il raggiungimento della democrazia e della pace in Medio Oriente e in Iran, vi chiedo di fare in modo che i diritti umani diventino concretamente e attivamente, non solo a parole o con allusioni, una precondizione per qualsiasi tipo di negoziato a qualsiasi livello”. 

“Vi invito ad agire con urgenza e determinazione – proseguiva - esercitando pressione su queste priorità: 1) Fermare le selvagge esecuzioni di massa dei troppi prigionieri indifesi. 2) Liberare tutti i prigionieri politici e di coscienza. 3) Fermare la repressione sistematica e mirata delle donne in Iran e criminalizzare l’apartheid di genere. 4) Fermare la repressione di tutte le istituzioni civili indipendenti”. 

Il messaggio dell’attivista è dunque chiaro: se negoziati vi saranno tra l’Occidente e la Repubblica Islamica dell’Iran, sul tavolo andranno messi a pieno titolo proprio il rispetto dei diritti umani, la libertà dei prigionieri politici, lo stop alla repressione del movimento delle donne e delle organizzazioni della società civile. Quindi, non sembra esservi alcun veto ai negoziati, da parte della Premio Nobel che in passato aveva criticato le sanzioni per i loro effetti negativi sulla popolazione, ma solo la richiesta che la tutela dei diritti di tutti gli iraniani ne faccia parte integrante. 

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Quanto siamo lontani dall’ultimo messaggio del principe Reza Pahlavi, aggregatore da New York di una parte molto assertiva della diaspora, e che ha assimilato senza troppi distinguo la massiccia e violenta repressione del movimento Donna Vita Libertà all’atto terroristico di Hamas del 7 ottobre, affermando che, in entrambi i casi, i colpevoli erano la Repubblica Islamica e il suo leader Khamenei. “Il popolo iraniano sta con gli israeliani e gli americani perché prima che la Repubblica Islamica venisse per voi, è venuta per noi”, ha affermato ancora Pahlavi. E ha aggiunto: “Non è possibile raggiungere alcun accordo con un simile regime né alcun compromesso con i suoi alleati”. Al contrario, “dobbiamo ripristinare la massima pressione sulla Repubblica Islamica”, ha esortato Pahlavi richiamandosi alla politica di Trump, grazie a una nuova “collaborazione tra gli USA, Israele e un partner iraniano”. È attraverso questa azione coordinata “che possiamo ottenere la libertà per il popolo iraniano, la sicurezza per Israele, gli Stati Uniti, il mondo arabo e una vera opportunità per un futuro luminoso per i palestinesi”, ha concluso, preconizzando un superamento degli Accordi di Abramo – stipulati da Israele con alcuni governi arabi - con gli “Accordi di Ciro”. 

L’attivista irano-americana Masih Alinejad, evitando di mirare tanto in alto, ha invece accusato l’amministrazione Biden, nel giorno dell’Assemblea generale dell’ONU, di sbagliare le sue priorità. “Come è possibile che Javad Zarif, l'ex ministro degli esteri della Repubblica Islamica dell'Iran, sanzionato nel 2019 dal governo degli Stati Uniti – chiede - sia autorizzato a trovarsi a New York a promuovere l'agenda del regime sui media statunitensi?”. Insomma, la pur tenace promotrice di tante battaglie sui social - prima contro l’obbligo del velo e poi a sostegno delle coraggiose protagoniste di Donna Vita Libertà – ha scelto, per l’incontro annuale più importante che raccoglie tutti i leader mondiali nel quartier generale dell’ONU a New York, di richiamarsi a sanzioni “made in Usa” contro il principale artefice, da parte iraniana, di quell’accordo sul nucleare che tutti i cinque grandi del Consiglio di Sicurezza, insieme a Germania e UE, avevano voluto e che gli Usa hanno unilateralmente abbandonato. Insomma, anche a margine del consesso ONU l’opposizione iraniana continua a parlare lingue molto diverse.

Immagine in anteprima: frame video ONU

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