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Francia, Macron voleva fermare l’estrema destra e ora affronta la crisi sdoganandola ancora di più

10 Settembre 2024 11 min lettura

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Francia, Macron voleva fermare l’estrema destra e ora affronta la crisi sdoganandola ancora di più

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Qualche giorno fa, dopo la tregua estiva dovuta alle Olimpiadi e un serrato giro di consultazioni, il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, ha scelto come Primo Ministro Michel Barnier. Il nuovo inquilino di Matignon viene dalle file de Les Républicains, partito di centrodestra erede della tradizione gollista, è stato ministro in vari governi di centrodestra, commissario europeo prima nella Commissione Prodi e poi in quella Barroso. Sempre per l’Unione Europea ha svolto il ruolo di capo negoziatore per l’attuazione della Brexit, tanto che a lungo la sua immagine in Francia è stata quella di un grigio burocrate di Bruxelles. 

Dopo la conclusione del suo mandato europeo, era tornato a riaffacciarsi sulla scena politica cercando di candidarsi alla Presidenza della Repubblica per il suo partito. Nel corso della campagna elettorale, Barnier aveva aspramente criticato il Presidente della Repubblica, accusandolo di governare in modo “arrogante e isolato”. Secondo Barnier, nei precedenti cinque anni Macron aveva portato a un accentramento del potere, lasciando in secondo piano i dirigenti locali. Ancora a giugno, aveva criticato la decisione di Macron di indire elezioni anticipate, ritenendole un salto nel buio. 

Dal punto di vista politico, la scelta di Barnier strizza l’occhio alla destra dell’Assemblea Legislativa, non solo quella de Les Républicains ma anche quella del Rassemblement National. Di fede gollista, durante la campagna per le primarie del partito aveva sposato una linea di destra, proponendo una moratoria sugli immigrati e la reintroduzione del servizio militare obbligatorio. 

La scelta di Macron arriva in un contesto di instabilità inedito per la Quinta Repubblica e secondo i membri della sinistra quanto avvenuto è un “voto rubato”, con un utilizzo dei poteri presidenziali per preservare il potere, scendendo a patti con la destra radicale, senza tenere conto della volontà di cambiamento dei cittadini.

L’instabilità politica in Francia

Come anticipato, bisogna tenere conto del quadro di profonda divisione all’interno dell’assemblea costituente che era emerso dalle elezioni politiche anticipate convocate dal Presidente della Repubblica. Al primo turno delle elezioni legislative sembrava prospettarsi una vittoria netta del Rassemblement National guidato da Jordan Bardella, con la prospettiva di una possibile maggioranza in Parlamento.

Grazie però agli accordi di desistenza nei ballottaggi triangolari tra il Nouveau Front Populaire e la maggioranza presidenziale, in un primo momento osteggiata dai partiti più a destra che sostengono Macron, il secondo turno ha visto una maggioranza relativa proprio per l’alleanza di sinistra formata da La France Insoumise, Partito Socialista, Ecologisti, Comunisti e altri partiti minori che ha ottenuto 178 seggi su 577. In maniera abbastanza sorprendente il secondo gruppo è stato proprio quello della maggioranza presidenziale che ha raggiunto quota 150 seggi, relegando solo al terzo posto il Rassemblement National, con 142 seggi, facendo così sfumare le ambizioni di Bardella di diventare Primo Ministro. 

Scongiurata la vittoria della destra radicale del RN di Bardella, Macron e i partiti si sono però trovati davanti alla necessità di trovare un nome in grado di formare un governo, in quanto nessuno dei partiti aveva ottenuto una maggioranza schiacciante. Il funzionamento dell’assemblea legislativa francese non richiede formalmente che un governo abbia la fiducia, basta che riesca a sopravvivere alle mozioni di censura che possono essere presentate dall’opposizione. Ciò è avvenuto anche con le legislative del 2022, quando la maggioranza presidenziale aveva ottenuto una maggioranza relativa, ma non assoluta. Per questo si è dovuta affidare all’astensione dei Les Républicains durante le mozioni di censura e fare frequentemente uso dell’articolo 49.3, che permette al governo di passare un provvedimento anche senza una votazione formale dell’aula, come successo sulla riforma pensioni. 

Forte della legittimazione popolare ottenuta alle urne, il Nouveau Front Populaire ha a lungo richiesto che venisse nominato un Primo Ministro delle proprie file. L’alleanza tuttavia era tutt’altro che compatta. Nato sulle ceneri della NUPES, costruita ad hoc per le elezioni legislative del 2022, i partiti che la formavano si erano di nuovo divisi per una serie di ragioni. Il PS aveva corso alle europee guidato da Raphael Glucksmann, avversario tanto di Macron quanto di Mélenchon, arrivando a tallonare l’alleanza del presidente. Solo dopo la decisione imprevista di Macron di sciogliere l’assemblea, dopo giorni concitati, l’alleanza si era riformata sotto il nome di NFP. 

Questo non ha comunque impedito attriti tra i vari partiti che ne fanno parte. Per la nomina del primo ministro, ci sono state settimane di dibattiti interni soprattutto tra il PS e la LFI, salvo poi convergere sul nome di Lucie Castets, funzionaria del Comune di Parigi che, pur non essendo una politica di professione, è sempre stata vicina ad ambienti di sinistra. Durante le consultazioni quindi il NFP si è presentato con una candidatura unitaria da offrire a Macron. Questa candidatura però è stata fortemente rigettata dal Presidente della Repubblica. Ciò ha scatenato proteste pesanti da parte della stampa progressista, del mondo delle associazioni e dei membri del NFP. 

Jean-Luc Mélenchon, leader della LFI, l’ha descritta come una “situazione di eccezionale gravità” e ha proposto l’impeachment per Macron, non trovando però il sostegno del resto del NFP. Mentre Marine Tondelier, segretaria degli Ecologisti, ha parlato di “una vergogna e di pericolosa irresponsabilità democratica”. Nel mentre, durante il weekend, varie associazioni hanno organizzato manifestazioni sparse in tutto il paese per denunciare la scelta di Macron. Nate su iniziativa di organizzazioni studentesche e sindacali, hanno presto ricevuto il sostegno della sinistra che ha già fatto sapere che presenterà una mozione di censura nei confronti di Barnier. 

Dall’altra parte, la Presidenza della Repubblica ha rilasciato un documento in cui spiegava le ragioni per cui non aveva affidato la guida del governo a un membro dell’alleanza arrivata prima alle elezioni legislative. Secondo quanto si legge nel documento, un governo a guida Castets, anche con l’appoggio esterno de LFI, non avrebbe garantito una situazione di stabilità per il paese poiché non sarebbe sopravvissuto a una mozione di censura. Questo è di particolare importanza se si tiene conto che il paese si trova oggi sotto procedura di infrazione per il disavanzo dei conti pubblici e deve presentare i suoi piani nei prossimi giorni. 

Ma, dal punto di vista puramente formale, Macron era legittimato a rigettare la proposta del NFP di nominare Prima Ministra Lucie Castets? Come spiega Le Monde, si tratta di una situazione tutt’altro che tipica per la politica francese. Negli altri casi di coabitazione, termine che indica la presenza di un Presidente della Repubblica di un partito e una maggioranza all’assemblea legislativa di un altro, la decisione del Presidente della Repubblica era stata vincolata dai numeri dell’Assemblea che garantivano al partito rivale di avere una maggioranza. Anche Benjamin Morel, esperto di Diritto Pubblico all’Università Parigi II, sottolinea come il compito di nominare il primo ministro sia tutto nelle mani del Presidente della Repubblica, a patto che questo venga accettato dall’Assemblea. Un eventuale governo di Lucie Castest si sarebbe probabilmente trovato sfiduciato nel giro di 48 ore. 

Questa volta ci si è trovati di fronte a una forte frammentazione dell’Assemblea e, nonostante il NFP abbia la maggioranza relativa, le strade per formare un governo erano effettivamente limitate. In tal caso, la nomina del Primo Ministro è totalmente nelle mani del Presidente della Repubblica che non ha alcun obbligo di nominarlo tra le file del partito arrivato primo alle elezioni. 

Lo sdoganamento dell’estrema destra e la sinistra mutilata

Se questa analisi è di tipo puramente tecnico, la questione politica è di non poco conto. Il Primo Ministro incaricato da Macron, infatti, non avrebbe i numeri per governare, potendo contare sull’appoggio della minoranza presidenziale e su quello del suo partito di origine. Per poter governare, quindi, Barnier ha bisogno di altri voti che arriverebbero, stando alle dichiarazioni recenti di Bardella, proprio dal Rassemblement National. Il leader del partito per queste elezioni legislative ha infatti dichiarato che il suo gruppo non appoggerà a priori una mozione di censura contro il Primo Ministro incaricato, valutando invece i singoli provvedimenti.

Si tratta di un cambiamento drastico non solo rispetto al 2022, ma addirittura alle dinamiche che avevano contraddistinto la politica francese di questa estate. Come abbiamo accennato in precedenza, il NFP e i partiti che sostenevano Macron si sono accordati su desistenze reciproche nei collegi con ballottaggio triangolare per non far prevalere il RN. Questo fronte democratico poteva apparire come una piattaforma per un governo, ma l’evoluzione recente ha mostrato dinamiche ben diverse. Il progetto politico originale di Macron, ben espresso nel volume The new progressivism. A grassroots alternative to the populism of our times di Ismael Emelien e David Amiel, due ex stretti collaboratori del presidente,  era di costruire un nuovo bipolarismo tra progressisti e populisti, tra cui il RN, che. Un progetto che non ha retto nel corso degli anni, portando invece la politica francese a un panorama ben più disgregato. E oggi quel RN, che faceva parte dei populisti contro cui opporsi, gioca un ruolo fondamentale nella stabilità del nuovo governo. 

I motivi sembrano essere molteplici. In primo luogo si assiste a un ulteriore passo verso l’istituzionalizzazione del RN, che con Bardella si è spostato verso posizioni più accettabili almeno a livello legislativo e per gli alleati in politica estera.

In secondo luogo si registra una virata a destra del campo macronista, che già in economia aveva sposato una linea più liberista. Negli ultimi anni, infatti, anche su questioni come integrazione, sicurezza e immigrazione i governi della maggioranza macroniana hanno virato a destra, sposando sia a livello legislativo sia a livello di retorica una linea più di destra.

Non a caso, uno dei provvedimenti più dibattuti del governo Borne, il primo nominato da Macron durante la precedente legislatura, era stato proprio una riforma dell’immigrazione votata anche dal RN e che aveva provocato malumori all’interno del governo. Per fare un esempio, il candidato di punta di Place Publique, il partito di Glucksmann, è stato Aurélien Rousseau, ex ministro del governo Borne dimessosi proprio perché contrario alla riforma. 

Di fatto, quella contrapposizione tra progressisti e populisti che Macron avrebbe voluto imporre sulla politica francese si è trasformata in un cordone sanitario contro una sinistra che metterebbe a repentaglio determinate politiche volute dal governo Macron e che rappresentano gli interessi del suo elettorato di riferimento. 

Non si può poi non guardare avanti al 2027. La Costituzione francese infatti impedisce ai Presidenti di fare tre mandati di fila. Per questo motivo, Macron non potrà candidarsi alla Presidenza della Repubblica e quindi si apre la sfida alla successione di un Presidente che ha sempre cercato di soffocare sul nascere qualunque erede o chiunque lo oscurasse. Tra questi merita una menzione speciale Edouard Philippe. Nominato Primo Ministro da Macron dopo le elezioni del 2017, Philippe aveva guadagnato popolarità durante la pandemia, mentre quella di Macron era andata a picco. 

Per questo motivo Macron aveva varato un rimpasto di governo sostituendo lo scomodo Philippe con il ben meno pericoloso Jean Castex, che aveva svolto la funzione di Coordinatore per l’attività di fine del confinamento durante la pandemia. Nel mentre Philippe è tornato a svolgere la funzione di sindaco di Le Havre. Nei mesi scorsi però il suo nome è tornato a circolare, soprattutto a causa di uno scoop di Liberation. Il sindaco di Le Havre e fondatore del partito di centrodestra Horizons avrebbe infatti più volte cenato con Marine Le Pen. Quando ciò gli è stato fatto notare durante un dibattito televisivo, Philippe ha prontamente risposto che durante quelle cene ha riscontrato profonde differenze di vedute con la candidata alla Presidenza della Repubblica del RN. L’intervistatore ha ribattuto chiedendo se fossero necessarie delle cene per capirlo.

Nei giorni scorsi, in piena crisi, Philippe aveva annunciato in un’intervista a Le Point la sua intenzione di candidarsi alle Presidenziali del 2027. Non è ancora chiaro che cosa stia succedendo nella destra francese e le sue connessioni con le mosse di Macron, forse nel tentativo proprio di sottrarre i voti più moderati che ha guadagnato il RN a favore di Philippe. Quello che sappiamo finora è che quella destra radicale messa ai margini è diventata oggi un protagonista attivo della politica francese, tanto da avere il coltello dalla parte del manico. Bisognerà invece capire come si evolveranno i fragili equilibri tra RN e il macronismo di destra di Philippe. 

Anche a sinistra però le cose non sono andate del tutto come previsto. Il NFP ha sicuramente passato la prova, in quanto i tentativi di Macron di spezzarlo e nominare l’ex Primo Ministro Bernard Cazeneuve non sono andati a buon fine. Allo stesso tempo però la sinistra è apparsa più volte debole e con litigi interni mai sedati, soprattutto tra i socialisti, che dopo anni ai margini sono tornati centrali, e i membri de LFI. Questo ha impedito che fosse la sinistra a giocare d’attacco, cercando invece di rompere il fronte macroniano. 

I vari partiti centristi si reggono sulla Presidenza Macron che, come abbiamo detto prima, non sarà più un candidato nel 2027. Già a luglio deputati come Sacha Houlié, macronista di sinistra, avevano parlato di un eventuale gruppo socialdemocratico all’assemblea, sottolineando come già venti colleghe e colleghi sarebbero stati disposti a unirsi. Ciò non ha poi portato a nulla, segno di un’incapacità da parte del NFP di spaccare una coalizione presidenziale sempre più divisa e che fa leva su un presidente ormai politicamente finito. 

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Il futuro della Francia oggi è più incerto di quanto non fosse prima. Non è da escludere che il governo Barnier servirà soltanto come cuscinetto per votare la Legge di Bilancio del 2025 e non provocare una crisi finanziaria nel paese, vista la fragile maggioranza su cui si regge. Necessario anche tenere conto che sarà il RN a essere di centrale importanza, visto che senza la loro astensione alle mozioni di censura il governo non può sopravvivere. Anche la situazione in seno al NFP è alquanto incerta. Se il PS continuerà a far parte dell’alleanza non è dato sapere, vista la fibrillazione nel partito. 

Per quel che riguarda l'aspetto economico, come spiega a Valigia Blu Francesco Saraceno, Vicedirettore all’OFCE Sciences Po, la questione sarà “esistenziale”: “A livello domestico la Francia deve fare delle scelte esistenziali riguardo al bilancio pubblico. Come altri paesi è sotto procedura di disavanzo eccessivo e sarà difficile rientrare semplicemente riducendo la spesa. Nel momento in cui si dovrà abbandonare il mantra di Macron contro qualunque aumento delle imposte, il governo dovrà decidere su chi dovrà cadere la mannaia. Tassare ancora le classi medie, o su capitale e famiglie più ricche? In Europa, la Francia dovrà ripensare la propria posizione rispetto alla Germania e al suo approccio rispetto alle politiche economichee europee. Che posizione prenderà Barnier ad esempio sulla richiesta del rapporto Draghi di rilanciare programmi comuni di investimento e indebitamento, già pubblicamente criticata dai falchi tedeschi?”

(Immagine in anteprima: frame via YouTube)

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