Post Scuola e Università

Smartphone sì, smartphone no e il ritorno ai diari cartacei. La relazione tra scuola italiana e digitalizzazione

9 Settembre 2024 16 min lettura

author:

Smartphone sì, smartphone no e il ritorno ai diari cartacei. La relazione tra scuola italiana e digitalizzazione

Iscriviti alla nostra Newsletter

17 min lettura

Non è raro che a fine luglio il ministro dell’istruzione di turno - sette ministri negli ultimi 10 anni, quasi uno l’anno - prenda qualche decisione che cambia le carte in tavola e apra scenari incerti per l’organizzazione pratica e operativa delle scuole. È successo anche quest’estate. 

Giuseppe Valditara, titolare del Ministero dell’istruzione e del merito da ottobre 2022, ha annunciato (parlando al convegno romano “La scuola artificiale – Età evolutiva ed evoluzione tecnologica”) di aver introdotto un divieto totale dell’uso del cellulare in classe dalla scuola d’infanzia alla secondaria di primo grado, la scuola media, anche a fini didattici. La nota ministeriale, firmata in data 11 luglio e inviata a tutti i dirigenti scolastici, dopo una lunga premessa su studi e rapporti che dimostrano l’uso nocivo del cellulare nella fase di crescita, in particolare sulla capacità di concentrazione e apprendimento, poi recita esattamente così: 

“Alla luce delle considerazioni che precedono, a tutela del corretto sviluppo della persona e degli apprendimenti, si dispone il divieto di utilizzo in classe del telefono cellulare, anche a fini educativi e didattici, per gli alunni dalla scuola d’infanzia fino alla secondaria di primo grado, salvo i casi in cui lo stesso sia previsto dal Piano educativo individualizzato o dal Piano didattico personalizzato, come supporto rispettivamente agli alunni con disabilità o con disturbi specifici di apprendimento ovvero per documentate e oggettive condizioni personali.” 

La circolare specifica poi che sarà invece possibile continuare a utilizzare, ai fini didattici, gli altri dispositivi digitali, pc e tablet, naturalmente sotto la supervisione dei docenti. Questa indicazione, secondo quanto dichiara il ministro, non vorrebbe dunque fermare lo sviluppo della didattica digitale. Al contrario, specifica ancora Valditara, si procederà anche con le attività di educazione a un uso corretto dei dispositivi digitali, smartphone in particolare, previsti dal programma di riferimento europeo DigComp2.2, di cui parliamo più sotto in quest’articolo. Valditara infine demanda alle istituzioni scolastiche l’aggiornamento dei propri regolamenti e l’introduzione di sanzioni specifiche, nella scuola media, per gli alunni che violassero il divieto. 

Oltre al divieto di uso del cellulare, poi, il ministro riapre una questione che è croce e delizia di insegnanti e genitori tutti. Quella del registro elettronico. Introdotto nel 2012, il registro elettronico ha impiegato anni per diventare prassi in tutte le scuole. E ora, che sostanzialmente, pur tra tonnellate di critiche, è utilizzato da tutti, Valditara decide che: 

“Al fine di sostenere, fin dai primi anni della scuola primaria e proseguendo nella scuola secondaria di primo grado, lo sviluppo della responsabilità degli alunni nella gestione dei propri compiti dosando, al contempo, il ricorso alla tecnologia, si raccomanda di accompagnare la notazione sul registro elettronico delle attività da svolgere a casa con la notazione giornaliera su diari/agende personali”. 

Così si conclude la circolare: “Ciascun alunno potrà acquisire una crescente autonomia nella gestione degli impegni scolastici, senza dover ricorrere necessariamente all’utilizzo del registro elettronico”. Al convegno romano, il ministro è anche più esplicito: “Noi dobbiamo riabituare i nostri ragazzi al rapporto con la penna e con la carta”.

“Se devo controllare che i ragazzini di prima media scrivano tutto sui diari”, mi dice una docente di una scuola del nordest, che preferisce rimanere anonima, “anche impiegando 30 secondi ciascuno, visto che ne ho 26, mi parte un quarto d’ora di una lezione di 50 minuti. Oltre al fatto che devo comunque compilare il registro elettronico. E peraltro, in molti casi, questa è un’operazione che dobbiamo fare da cellulare perché non è che abbiamo il tablet o il pc sempre a disposizione in classe. Quindi che faccio, esco dall’aula e compilo in corridoio tra una lezione e l’altra?” Perché poi, i problemi pratici sembrano sempre sfuggire a chi impone queste decisioni dall’alto. 

Sia chiaro. Chi scrive pensa che il registro elettronico, se ha facilitato le comunicazioni tra scuola e studenti e tra scuola e famiglie, consentendo di monitorare l’andamento della vita scolastica, ha altresì introdotto un elemento che con la crescita di autonomia ha ben poco a che fare. Gli studenti ora sono costantemente controllati. A che ora entrano a scuola, se sono in ritardo, se mancano un giorno facendo quello che una volta si chiamava fughino. Non possono scegliere se e come dire in famiglia quando hanno preso un ottimo voto o uno pessimo. Non possono più farsi carico di una buona o cattiva comunicazione. I genitori sanno sempre tutto comunque. E questo, al di là del fatto che i compiti siano scritti a mano o al computer, è effettivamente quanto di meno responsabilizzante ci possa essere. Una sorta di monitoraggio costante e continuo, aggravato dal fatto che i voti appaiono in colori diversi come nel tabellone di una competizione. 

Ad ogni modo, la circolare pare aver fatto molto felici non solo i genitori dell’associazione cattolica Moige (Movimento italiano genitori, che si era già espresso a favore della misura) ma anche l’associazione Pro Vita & Famiglia onlus, secondo quanto riportato dal sito Orizzonte Scuola, che auspica un’applicazione immediata e capillare della circolare ministeriale in tutte le scuole del paese.  

A favore, immaginiamo, sarà anche la gran parte degli esperti chiamati a partecipare alle audizioni al Senato, tra il 2019 e il 2020, all’interno dell’Indagine conoscitiva sull’impatto del digitale sugli studenti, con particolare riferimento ai processi di apprendimento, portata avanti dalla “Commissione permanente Istruzione pubblica, beni culturali, ricerca scientifica, spettacolo e sport” e culminata in un documento finale approvato e reso pubblico nel 2021. Un documento che è un vero guazzabuglio di approssimazioni e imprecisioni. A partire dal linguaggio, che dipinge uno scenario apocalittico, evocando ‘milioni di adolescenti zombie’ vaganti nelle lande delle città asiatiche, in quei paesi “anticipatori degli effetti che il crescente uso di smartphone e videogiochi produrrà fatalmente sui nostri figli, sui nostri nipoti, sui nostri amici, su di noi e di conseguenza sulla società in cui viviamo”. Quanto di meno scientificamente consistente si possa immaginare.

Come sa chiunque si occupi di temi tecno-scientifici, gli studi vanno citati bene e con onestà e mai, ma proprio mai, si dovrebbero consultare esperti che non sono direttamente competenti del tema in discussione. In questo caso, dovrebbero essere esperti coinvolti in studi di osservazione sistematica, quantitativamente e qualitativamente significativa, degli impatti dell’uso delle tecnologie digitali sull’apprendimento degli studenti. Soprattutto su temi controversi sui quali non esiste ancora una massiccia e corposa documentazione né un consenso così stringente da parte della comunità scientifica, non è serio dare ascolto ad esperti che applicano un mix di cherry picking, di opinioni personali, di aneddoti. 

Leggendo le audizioni è molto evidente che gli esperti, in larga parte, non distinguono tra dispositivi digitali, mescolando l’uso dello smartphone con altri strumenti, come le console, o addirittura in qualche caso la tv. Basta che si parli di schermi, insomma. Fanno poi tutti largamente riferimento all’uso sconsiderato e intensivo di questi dispositivi non in ambito educativo ma in quello individuale e familiare, nelle camerette, con gli amici. E cioè esattamente a quello che avviene quando invece di insegnare a usare un dispositivo come strumento anche educativo, lo si lascia nelle mani dei ragazzi al di fuori della scuola senza alcuna guida a un uso consapevole se non quella dei propri adulti di riferimento, che spesso non sono affatto attrezzati per esercitare questo ruolo.

Quasi nessuno degli esperti chiamati ha raccolto dati in prima persona, ha fatto analisi sul campo, ha esperienza diretta dell’uso delle tecnologie in ambito scolastico secondo metodologie contemporanee. C’è chi fa riferimento ai propri nipoti, chi si rifà alla scuola pre-digitale come se fosse immanente e sempre preferibile. Chi cita studi un tanto al chilo. Insomma, tranne un paio di eccezioni, i documenti testimoniano un pressapochismo e la tendenza, tutta italiana, a discutere di qualsiasi tema senza fare riferimento preciso e circostanziato alle evidenze scientifiche più recenti e solide e scegliendo toni e modalità che stanno meglio in un contesto come quello dei talk show pomeridiani che non in quello legislativo, che dovrebbe avere l’obiettivo di produrre policy e raccomandazioni fondate su solide basi scientifiche. 

Va detto, per correttezza, che per quanto narrativi e letterari, i discorsi degli esperti non toccano le vette del documento finale della Commissione. A partire da un dato importante: in tutti i casi gli esperti fanno riferimento esplicito sempre ai danni da uso eccessivo, suggerendo che un uso ponderato, ben gestito, guidato, potrebbe avere effetti positivi anche in un contesto di apprendimento. Una notazione che sparisce completamente dal documento finale, una vera chiamata alla dedigitalizzazione totale, in cui si confondono smartphone e videogiochi, console e social media, e via dicendo. Testualmente, leggiamo che “non è esagerato dire che il digitale sta decerebrando le nuove generazioni, fenomeno destinato a connotare la classe dirigente di domani”.  Ecco, a giudicare dalla qualità di questo testo, prodotto da una commissione del Senato, massima espressione della classe dirigente politica attuale di questo paese, e applicando gli stessi sillogismi approssimativi, un’analoga e silente epidemia di decerebrazione deve aver fatto molte vittime alla fine del ‘900 per ragioni che nulla hanno a che fare con la digitalizzazione.

Insomma, è così che si arriva alle due circolari di Valditara. La prima, a dicembre 2022, si ferma al livello di raccomandazione senza introdurre sanzioni. Quella recente invece introduce esplicitamente sia il divieto che l’idea di sanzioni. In entrambe, Valditara fa riferimento all’indagine conoscitiva del Senato, scegliendo di citare in particolare questa conclusione “Una recente indagine conoscitiva della VII commissione del Senato ha anche evidenziato gli effetti dannosi che l’uso senza criterio dei dispositivi elettronici può avere su concentrazione, memoria, spirito critico dei ragazzi. La scuola deve essere il luogo dove i talenti e la creatività dei giovani si esaltano, non vengono mortificati con un abuso reiterato dei telefonini”. 

Come si regolano gli altri paesi

La questione ‘cellulare a scuola’ non è affatto un problema solo italiano, sia chiaro. Negli stessi giorni in cui da noi si discuteva della circolare di Valditara, in Inghilterra il neopremier, Keir Starmer, dichiarava (qui su The Independent e qui su BBC) “In generale, credo che dovremmo concentrarci su quello che è accessibile online ai bambini, mettendo in campo tutte le protezioni possibili perché i genitori e tutti noi in questo paese siamo preoccupati di quello che può essere effettivamente accessibile su un telefono. Ma non credo sia una buona idea vietare i telefoni cellulari per tutti i minori di 16 anni. Non è praticabile.” In Francia, lo scorso anno è stato varato una sorta di progetto pilota a una serie di scuole, per studenti  fino ai 15 anni, che vieta il cellulare durante le lezioni se non per utilizzi didattici. La Finlandia, il paese europeo che ha visto una precoce diffusione della tecnologia mobile anche tra i bambini, si sta discutendo se introdurre o meno un divieto di uso nelle ore di lezione, e nel frattempo molte scuole hanno iniziato a limitarne l’utilizzo e a prevedere la consegna dei telefoni durante le ore di lezione (una prassi già in atto anche in molte scuole italiane). In Germania non c’è un divieto ma la discussione su diverse forme di limitazione all’uso è piuttosto vivace, anche sui media. Negli Stati Uniti la situazione varia da Stato a Stato. Insomma, le posizioni si articolano da una chiamata al divieto completo, come nel caso del nostro paese, a proposte che vanno nella direzione di limitare l’utilizzo durante le ore di lezione con l’eccezione degli usi didattici. 

Non c’è dubbio che stia prendendo piede a diversi livelli e in molte parti del mondo l’idea di promuovere un uso sensato, articolato e, soprattutto, supervisionato nell’ambito educativo rispetto al lasciare i telefonini accesi in mano a tutti gli studenti in qualsiasi momento. 

Rischi e benefici dell’uso dei digital devices e degli smartphone in particolare

Non è facile trovare un corpus strutturato di studi sul tema dell’impatto del digitale sulla salute sia fisica che mentale dei bambini e dei ragazzi. Ancora meno sono gli studi che valutano specificamente l’uso degli smartphone a scuola, con l’eccezione di alcune survey e ricerche fatte sul periodo pandemico, quando la scuola è stata chiusa in molti paesi del mondo e la gran parte delle attività didattiche si sono trasferite su telefoni e computer. Gli studi disponibili hanno spesso numeri piuttosto ridotti, metodologie difficilmente comparabili, e anche assunti di partenza diversi, per cui si osservano e misurano poi fenomeni non necessariamente confrontabili. 

Alcuni elementi di rischio sulla salute fisica però sono chiari. Per dare conto della diversità di studi e dati, abbiamo raccolto una serie di quelli più recenti e pubblicati su riviste scientifiche in questo folder pubblicamente accessibile. Ci sono indicazioni abbastanza significative di un potenziale impatto dell’uso intensivo degli smartphone sullo sviluppo o sulla velocità di progressione della miopia. Una review pubblicata nel 2020 dalla rivista medica Lancet, quindi uno studio che analizza e confronta decine di altri studi prodotti da diversi gruppi di ricerca, arriva alla conclusione che è probabile che ci sia un effetto dell’esposizione eccessiva a schermi mobili sulla vista. La stessa review evidenzia che altre ricerche sono necessarie per capire l’impatto di altri fattori come esposizione ad altri schermi, illuminazione degli ambienti in cui i ragazzi passano più tempo, tempi, modalità e momento della giornata in cui i ragazzi utilizzano luci artificiali (giorno, notte, in presenza di luce esterna o meno). 

Gli studi analizzati evidenziano in tutti i casi che sarebbe necessario anche considerare il fatto che, per ragioni diverse, dovute soprattutto alla tendenza crescente a non lasciarli stare in giro da soli, i bambini passano sempre meno tempo all’aperto e dunque esercitano sempre meno la vista a lungo raggio. Dati interessanti in questo senso indicano che ad esempio le esperienze di scuola all’aperto, o comunque fare attività all’aperto per un certo numero di ore, può contrastare in modo efficace la progressione della miopia. 

Ci sono poi lavori scientifici che misurano la relazione tra l’uso di dispositivi digitali e la propensione allo sviluppo di obesità. Anche qui, non è un problema nuovo ma i primi studi sono in giro da tempo, da quando è diventato sistematico lasciare i bambini per ore davanti alla tv. Maggiore sedentarietà, minore attività fisica. Anche minore attenzione a quello che si mangia, sia come qualità che come quantità, distratti da quello che passa sullo schermo. Stare ore davanti al pc, alla console o su un altro device mobile non può che contribuire a questa tendenza. Anche qui però il colpevole non è lo smartphone di per sé ma una corretta distribuzione del tempo del bambino/adolescente tra attività sedentarie e gioco o sport attivi

Ci sono poi correlazioni piuttosto significative anche tra l’uso eccessivo di schermi, soprattutto in fase serale, e lo sviluppo di disturbi del sonno, sia legati proprio all’emissione di luce degli schermi che, soprattutto per gli adolescenti, a una sorta di ansia da chat o da social media. Nulla, in questo caso, che sia legato all’uso dello smartphone a scuola però.

Molto più interessanti, ai fini dell’iniziativa del ministero, sono gli studi di impatto sul benessere psicologico e sulla salute mentale dei ragazzi, sulla tendenza a sviluppare una condizione che viene comunemente detta PSU, problematic smartphone usage. In altre parole, la PSU può manifestarsi in una forma simile a una dipendenza (no, non è come essere dipendenti dalla cocaina, come scrivono i nostri senatori!), anche se molti ricercatori dosano con estrema cautela la descrizione di questa attitudine. Perché la definizione di una vera e propria addiction è cosa molto delicata e al momento la PSU non rientra nell’elenco delle condizioni descritte dal DSM, il manuale di salute mentale che fa da riferimento a livello mondiale per la sintomatologia, la descrizione e le terapie. Però, come potete leggere qui, dove trovate una piccola raccolta degli studi più rilevanti e citati del momento su questi temi, cui facciamo riferimento nel paragrafo successivo, la situazione è davvero molto articolata e complessa. 

Nei paesi asiatici, dove la penetrazione degli smartphone e la digitalizzazione in generale sono a livelli molto più elevati che da noi, c’è una crescente preoccupazione per l’aumento di PSU tra bambini e adolescenti. I numeri in effetti sono piuttosto inquietanti: uno studio coreano del 2021 fatto da Jeong Hye Park e Minjung Park della Gyeongsang National University e del National Institute of Korean Medicine Development, misura poco meno del 20% di bambini in età scolare che manifestano sintomi di PSU e poco più del 30% tra gli adolescenti. Numeri analoghi si registrano in Cina, come pubblicato da Qiufeng Gaoa dell’Università di Shenzhen e altri colleghi dell’Università di Hunan l’anno prima. 

Piuttosto diversa è la situazione nei paesi occidentali. Uno studio tedesco del 2022, firmato da Tobias Kliesener dell’Università di Lipsia e dai suoi colleghi, cita numeri attorno al 9% per Spagna e 10% in Gran Bretagna, e meno del 3% per la Germania stessa. 

Questi lavori  sono tutti molto chiari nel dire che è estremamente difficile capire se la PSU sia associata solo all’uso di smartphone o di tutti i dispositivi a schermo, e se sia la causa o piuttosto l’effetto di problematiche socio-psicologiche complesse. La ricerca cinese, per esempio, trova che una buona relazione tra i bambini e gli adulti di riferimento, facendo esplicita menzione del rapporto genitori-figli, funzioni da elemento protettivo nei confronti della propensione a sviluppare PSU. Dati simili si ritrovano in altri studi, che si interrogano su quanto i fattori socio-economici e ambientali, sia in famiglia che nella propria cerchia sociale così come le esperienze pregresse più o meno serene o traumatiche, incidano sulla propensione a sviluppare un comportamento problematico e un uso intensivo e smodato dello smartphone. Lo studio tedesco fa anche una comparazione tra i casi occidentali e quelli orientali. Di nuovo, per non cadere nella grossolana idea che a fare da guida su questo tema siano sempre i paesi orientali, come suggerito dal documento del Senato, va evidenziato che c’è una certa differenza di pratiche culturali, di organizzazione delle scuole e della società, di pressioni sociali sulle generazioni future, tra paesi come la Cina, la Corea o il Giappone e i paesi europei. 

Una review del 2020 firmata dal gruppo di ricerca di Anna Felnhofer, a Vienna, trova che siano pochi gli studi che riescono a evidenziare una correlazione (che, ricordiamo, non è sinonimo di nesso causale) tra l’impatto di PSU e la qualità della vita e il benessere di bambini e adolescenti. Le autrici sottolineano che i nove studi che hanno potuto includere nella review sembrano suggerire che la PSU possa essere accompagnata da una bassa qualità della vita. Però, aggiungono, ci sono anche studi che contraddicono questo risultato e, in generale, sia i metodi che la stessa definizione di PSU sono diverse tra gli studi e dunque è senz’altro utile immaginare di esplorare più a fondo la questione. Infine, altre tre pubblicazioni offrono una serie di spunti molto precisi e utili: una review del 2021 dei ricercatori indiani Savita Yadav e Pinaki Chakraborty della University of Technology di New Delhi; un grosso studio longitudinale firmato nel 2023 da autori americani e inglesi, tra cui Amy Orben, da molti considerata un’autorità sul tema, che analizzano un database di oltre 10mila bambini e adolescenti americani del progetto Adolescent Brain Cognitive Development - ABCD; e un una review sistematica, uscita quest’anno, e firmata da Claire Dorris, dell’Università di Belfast, e altri autori, che prende in considerazioni studi che complessivamente coinvolgono oltre 11mila bambini e adolescenti. 

Questi tre lavori non solo discutono le conoscenze acquisite a oggi ma pongono le basi  per nuove ricerche strutturate in modo rigoroso che aiutino a misurare, negli anni a venire, gli effetti reali dell’uso dei dispositivi digitali e dello smartphone in particolare sulle future generazioni. Entrambi gli studi sono disponibili allo stesso link indicato qui sopra. Se tutti concordano che stare sullo schermo continuativamente oltre le due ore al giorno può contribuire a sviluppare problemi di concentrazione (e chi di noi, pure adulti, non se ne è accorto nella propria pratica quotidiana?), nell’attenzione e anche nella cosiddetta quality of life, e dunque nella percezione di una vita soddisfacente da parte dei bambini e ragazzi stessi, ci sono però diverse indicazioni misurabili sia su impatti positivi e negativi. Per chi fa un uso ben gestito, idealmente in un contesto collettivo, sia educativo che sociale, ci sono una serie di inequivocabili vantaggi, come l’ampliamento del proprio linguaggio e la capacità di apprendere vocaboli e anche lingue diverse, o la possibilità di accedere a archivi, fonti, materiali, informazioni, prodotti culturali anche molto vari. Nei bambini, un uso intelligente e ben guidato dello smartphone può migliorare i risultati sia in campo matematico che linguistico, dicono questi studi. Al contrario, un uso isolato e ossessivo, nel cosiddetto buio della propria cameretta, favorisce una riduzione della propria capacità interattiva e cognitiva.

Molte di queste ricerche sottolineano che non basta correlare, in modo semplicistico, il tempo sullo smartphone con le problematiche dello sviluppo. Sarebbe molto importante distinguere cosa si vede, quali applicazioni si usano, quanto sono utilizzate applicazioni e interfacce che promuovono la collaborazione rispetto a quelle che invece spingono all’isolamento.

E qui entra in gioco una questione cruciale

Iscriviti alla nostra Newsletter


Come revocare il consenso: Puoi revocare il consenso all’invio della newsletter in ogni momento, utilizzando l’apposito link di cancellazione nella email o scrivendo a info@valigiablu.it. Per maggiori informazioni leggi l’informativa privacy su www.valigiablu.it.

Nel contesto educativo, talvolta gioco forza, si usano non raramente applicazioni e interfacce che sono nate per un contesto commerciale. Al contrario, la raccomandazione che emerge da molti di questi studi, nonché dai rapporti di organizzazioni internazionali come Ocse nel 2020 (Back to the Future of Education: Four OECD Scenarios for Schooling) e Unesco del 2023 (Technology in education: A tool on whose terms), è quella di selezionare materiali che sono stati disegnati e sviluppati specificamente con la finalità educativa, di apprendimento o di intrattenimento intelligente. 

Il rapporto Unesco, in particolare, cita alcuni rischi molto chiari, non solo sul calo di attenzione ma anche sull’esposizione a contenuti inadatti o pericolosi e sull’ulteriore aumento della disuguaglianza tra chi ha accesso a tecnologie di alto livello e ottima connettività e chi rimane in zone emarginate, poco connesse e con strumenti non idonei. Ma al contempo sottolinea che la questione chiave è cosa ci si vuole fare con la tecnologia, che utilizzi si ritiene possano essere funzionali allo sviluppo educativo, che obiettivi permette di raggiungere e quali invece rende più difficili. Si tratta di domande ben poste, perché chiamano in gioco la necessità di riflettere sull’adozione di una tecnologia non fine a se stessa ma al servizio di una precisa finalità pedagogica, educativa, sociale. E dunque non si tratta tanto di imporre divieti o, al contrario, di lasciare accesso indiscriminato a tutti gli strumenti in qualsiasi momento. Al contrario, la questione è se e come investire in formazione, studio e ricerca sugli usi sensati, utili, che portano vantaggi per chi studia, che riducono le disuguaglianze e consentono di aumentare la cosiddetta inclusività, valorizzando capacità diverse e complementari degli studenti. 

Ma perché si possa andare in questa direzione, ancora una volta, servono risorse, sia economiche per l’acquisto di materiali, che umane, e cioè insegnanti e adulti che sappiano cercare, selezionare e poi utilizzare le applicazioni più utili e non siano obbligati a lavorare con le risorse gratuite perché non ci sono i fondi per fare altro, com’è la realtà di non poche scuole italiane.

Segnala un errore

Array