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Capire l’invasione ucraina nella regione di Kursk

28 Agosto 2024 8 min lettura

Capire l’invasione ucraina nella regione di Kursk

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Nella notte tra il cinque e il sei agosto, due brigate ucraine, la ventiduesima brigata meccanizzata e l’ottantottesima brigata d’assalto aereo, hanno lanciato un attacco contro un posto di frontiera russo. Colte di sorpresa, le truppe a difesa del confine non sono state in grado di reggere l’urto ucraino, permettendo così alle unità coinvolte nell’attacco di penetrare, rapidamente e in profondità, nella regione di Kursk.

A permettere lo sfondamento è stata una forza meccanizzata altamente mobile, preceduta nel suo assalto da unità di guerra elettronica che, grazie all’uso di dispositivi portatili, hanno disturbato lo spettro elettromagnetico, impedendo la comunicazione tra le unità russe e inibendo così le loro capacità di risposta.

Come riportato dal New York Times, qualche settimana prima dell’attacco, il dodici luglio, il ministro della Difesa russo Belousov avrebbe chiamato al telefono il suo omologo statunitense Austin per chiedergli lumi su una presunta operazione ucraina in territorio russo che, secondo Belousov, avrebbe avuto la benedizione degli Stati Uniti. In quell’occasione il Pentagono aveva risposto di non essere a conoscenza di alcun piano di questo genere.

Alla luce degli eventi, il piano a cui Belousov faceva riferimento nella sua telefonata era l’attacco contro la regione di Kursk, la cui preparazione aveva avuto inizio nelle prime settimane dell’estate. Durante quel periodo, infatti, le forze armate ucraine hanno infatti usato i droni per colpire la rete elettrica, i dispositivi di sorveglianza e i depositi di munizioni e carburante in tutta la regione di Kursk.

Questi attacchi sono stati accompagnati da operazioni di ricognizione portate a termine da quelle unità russe in servizio con l’esercito ucraino che già più volte nel corso dell’ultimo anno avevano condotto azioni oltre confine.

Infine, due settimane prima dell'inizio dell'operazione nella regione di Kursk, droni ucraini hanno distrutto il sistema di osservazione del posto di confine da cui le unità meccanizzate sarebbero poi transitate per dare inizio all’occupazione del territorio russo, la prima dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

A differenza della controffensiva lanciata lo scorso anno contro le posizioni russe nel sud dell’Ucraina, quella su Kursk è stata a quanto pare pianificata in segreto, senza mettere a parte del piano gli alleati di maggior peso, come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l’Unione Europea che, pur essendo stati colti di sorpresa da questo sviluppo si sono affrettati a esprimere il loro supporto alle scelte ucraine, riconoscendo la natura difensiva dell’operazione.

Dal punto di vista tattico, le forze armate ucraine si sono mosse adattando alle condizioni della guerra contemporanea il concetto del gruppo operativo di manovra (Operational Manovre Group). Nato durante la Seconda Guerra Mondiale nella dottrina sovietica e tedesca e perfezionato dai primi nel corso della Guerra Fredda, il concetto di gruppo operativo di manovra è stato pensato per impedire un attacco nucleare tattico da parte della NATO, concentrando un elevato numero di truppe in grado di cogliere di sorpresa il nemico e avanzare velocemente nel suo territorio.

È esattamente quanto accaduto nella regione di Kursk. Nel volgere di pochi giorni, le truppe ucraine sono state in grado di catturare la città di Sudzha e la sua stazione di misurazione, da cui transita circa il cinque per cento del totale del gas importato nell’Unione Europea.

Da lì, le truppe ucraine hanno continuato ad avanzare verso nord, est e ovest, assicurandosi in particolare di stabilizzare i fianchi del fronte e riuscendo, in questo sforzo, a isolare una grande quantità di truppe nemiche a sud del fiume Seim, dopo aver distrutto i tre ponti che ne permettevano l’attraversamento. Al momento, pur non essendosi ancora stabilizzata una linea del fronte chiaramente definita, l’operazione ucraina, com’era prevedibile, ha cominciato a perdere slancio e a rallentare.

Da una parte, spingersi troppo in profondità nel territorio nemico creerebbe difficoltà logistiche nella gestione delle truppe occupanti e, dall’altra parte, seppure con una certa lentezza e confusione dovute allo shock iniziale, la Russia ha cominciato a organizzare le proprie difese. Le immagini satellitari mostrano che da entrambi i lati del fronte hanno iniziato ad apparire trincee e fortificazioni.

Oltre alle opere ingegneristiche, l’Ucraina ha anche stabilito un comando militare, il cui scopo è contribuire a mantenere l’ordine e provvedere ai bisogni della popolazione ancora residente nei territori occupati.

Quanto potrebbe durare l’occupazione del territorio russo non è tuttavia ancora chiaro. Per riconquistarlo manu militari la Russia dovrebbe impiegare un numero di truppe ed equipaggiamenti che, allo stato attuale delle cose, non sembra ancora aver dedicato allo sforzo. Mentre da parte ucraina non sembra esserci la volontà di occupare la regione di Kursk a tempo indeterminato.

Il 13 agosto, il ministro degli Esteri ucraino ha dichiarato che il sue paese non è interessato a conquistare porzioni di territorio russo ma le manterrà fino al raggiungimento di una pace giusta. Una dichiarazione confermata dal presidente Zelensky che, cinque giorni dopo, nel suo discorso serale si è soffermato su alcuni dettaglio relativi all’operazione.

Dal punto di vista strategico, ha dichiarato il presidente ucraino, l’obiettivo dell’operazione s’inserisce nel più ampio sforzo per limitare la capacità bellica russa creando, lungo il confine, una zona cuscinetto in territorio nemico. Dal punto di vista politico, invece, l’obiettivo dichiarato da Zelensky è quello di continuare ad allargare il supporto a una giusta conclusione del conflitto, facendo in modo che il paese arrivi all’autunno in una posizione più forte di quella occupata fino a questo momento.

L’offensiva in territorio russo risponde a questa necessità in diversi modi. In primo luogo per il tempismo con il quale è stata preparata e condotta. Dopo molti mesi passati sulla difensiva, in un momento particolarmente delicato a causa delle lente ma costanti avanzate russe sul fronte orientale, l’Ucraina ha dimostrato di possedere ancora la capacità di combattimento necessaria per coordinare ed eseguire un’operazione offensiva di ampia portata e dagli obiettivi ambiziosi.

Se fino al 6 agosto la narrazione più rumorosa era quella secondo cui, a corto di uomini ed estremamente dipendente dagli aiuti occidentali, l’Ucraina era lentamente destinata a capitolare, abbandonando le speranze di poter preservare l’integrità dei territori che le sono riconosciuti dalla legge internazionale, dopo l’offensiva su Kursk il racconto della guerra ha cambiato di segno.

La cattura e l’occupazione di una consistente porzione di territorio russo - circa 28-35 chilometri in profondità per 1236 chilometri di superficie, stando alle dichiarazioni del Capo di Stato Maggiore ucraino Oleksandr Syrsky - non racconta solo della capacità ucraina di contrattaccare in modo efficace e deciso ma rappresenta anche uno smacco politico per Putin che della difesa della madrepatria aveva fatto un punto d’orgoglio.

A intaccare questo orgoglio non hanno contribuito solo la lentezza e la disorganizzazione mostrata dalle forze armate russe nel rispondere all’attacco ucraino. Anche la sua gestione mediatica è stata altrettanto confusa, passando attraverso una narrazione in cui l’attacco è stato prima negato, poi minimizzato e, solo dopo qualche giorno, riconosciuto nella sua entità.

Allo stesso modo, anche la gestione della popolazione di Kursk si è dimostrata inadeguata alla gravità della situazione. In diverse dichiarazioni raccolte dal quotidiano indipendente Moscow Times i residenti della regione di Kursk lamentano, con rabbia e frustrazione, la sensazione di essere stati abbandonati dal governo centrale per cui il loro territorio non è altro che “una porzione della mappa”.

Per la prima volta dall’inizio dell’invasione su larga scala del 2022, i civili russi sono apertamente esposti agli effetti della guerra e ne fanno perciò esperienza diretta.

Allo stesso tempo, l’inadeguata reazione russa - a cui, lunedì 26 agosto, si è aggiunto un massiccio bombardamento contro alcune delle principali città ucraine e le loro infrastrutture civili - ha mostrato al mondo intero come le minacce russe, le famose “linee rosse” da non oltrepassare, siano sempre più inconsistenti.

Nonostante i successi ottenuti, la campagna su Kursk non è un’operazione esente da rischi. Per eseguirla i comandi ucraini hanno impiegato personale ed equipaggiamenti precedentemente impegnati nella difesa del fronte orientale, dove l’offensiva russa nel Donbas non accenna a fermarsi e minaccia da vicino la città di Pokrovsk, la cui cattura avrebbe conseguenze rilevanti sul piano strategico. Risorse la cui necessità aumenterebbe nel caso gli ucraini decidessero di prolungare l’occupazione della regione di Kursk, mettendo così ulteriormente alla prova la capacità del paese di generare nuova forza combattente, che è stato uno dei problemi più pressanti che l’Ucraina ha affrontato, e non ancora risolto, nel corso dei dodici mesi che hanno seguito la fallita controffensiva dell’estate del 2023.

In un’analisi pubblicata nella sua newsletter, l’analista e divulgatore militare Mick Ryan, generale in pensione dell’esercito australiano, ha definito quello di Kursk un “dilemma offensivo”. Agli ucraini si presentano oggi tre opzioni: consolidarsi su tutto il territorio russo conquistato per difenderlo fino a un eventuale cessate il fuoco che segni l’inizio di un negoziato; ritirarsi parzialmente su posizioni favorevoli dal punto di vista difensivo, creando una zona cuscinetto; ritirarsi completamente entro i propri confini nazionali, “accontentandosi” degli effetti politici e psicologici generati dalla loro operazione.

Valutati i rischi e i benefici, Ryan ritiene la seconda l’opzione più probabile e, a questo punto, individua tre possibili fattori che potranno influenzare l’esito dell’offensiva su Kursk: l’immediata risposta russa, le scelte strategiche militari sul medio periodo e la risoluzione dell’attuale dilemma offensivo,  relativo alla capacità di entrambe le parti di condurre due campagne di ampio respiro in competizione l’una con l’altra.

Le opzioni attualmente sul tavolo per la Russia, continua Ryan, sono infatti quattro: continuare a sostenere la campagna nel Donbas, considerando la riconquista di Kursk un obiettivo secondario. Abbassare il ritmo operativo della campagna nel Donbas per aumentare quello necessario alla riconquista di Kursk. Dare priorità alla riconquista di Kursk, designando questo come il principale obiettivo militare. Attribuire alla conquista del Donbas e alla riconquista di Kursk pari importanza e priorità.

Sebbene al momento non ci siano ancora segnali che possano indicare con chiarezza quale opzione sia più probabile, Ryan è convinto che il Cremlino deciderà valutando quanto ciascuna opzione possa danneggiare la stabilità del regime.

Tra le due parti in conflitto, la Russia è quella che appare oggi maggiormente capace di poter sostenere due campagne offensive diverse e concorrenti. Tuttavia, sebbene è altamente improbabile che l’offensiva su Kursk possa modificare l’obiettivo finale della Russia la conquista del Donbas e la sottomissione dell’Ucraina, non è detto che l’audacia dimostrata dall’Ucraina non abbia come effetto quello di spingere i suoi alleati nella NATO a riconsiderare le strategie finora adottate, mettendo la sconfitta della Russia al centro dei futuri sforzi. 

In questo snodo avranno sicuramente un peso le elezioni previste negli Stati Uniti a novembre. Mantenendo il controllo su Kursk, l’Ucraina affronterebbe con un arma in più gli eventuali piani di negoziato di Trump, secondo cui per mettere fine al conflitto  l’Ucraina dovrebbe riconoscere la sconfitta e cedere parte dei propri territori alla Russia.

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In caso di vittoria democratica, invece, l’Ucraina potrebbe trovare in Kamala Harris e nel suo vicepresidente Tim Walz due leader più disposti a rivedere una strategia che metta la difesa della sovranità e dell’integrità territoriale al centro delle preoccupazioni degli alleati.

Come ha sottolineato Zelensky, l’autunno del 2024 sarà un momento chiave nel corso di questo conflitto.

Immagine in anteprima: frame video Wall Street Journal via YouTube

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