La Russia alza la voce, l’Italia obbedisce? Il caso dei giornalisti del TG1 ritirati dal fronte e le sue implicazioni
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Aggiornamento del 13 settembre 2024: Stefania Battistini e Simone Traini sono tra i 7 giornalisti inseriti nella lista dei ricercati del ministero dell’Interno russo. I giornalisti Rai, al pari dei colleghi di altre testate, sono accusati di essere entrati illegalmente sul territorio russo, al seguito delle truppe ucraine che lo scorso agosto hanno sconfinato nella regione di Kursk. Gli altri giornalisti ricercati sono Nick Paton Walsh (CNN), Nick Connolly (Deutsche Welle) e i giornalisti ucraini Natalia Nahorna, Diana Bucko e Olesia Borovyk.
Dopo la diffusione della notizia, inizialmente data dall’agenzia russa Tass, il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani ha annunciato su X/Twitter la convocazione dell’ambasciatore russo, esprimendo “sorpresa” per la “singolare decisione di Mosca”.
Commentando la vicenda, la segreteria della Federazione nazionale della stampa italiana Alessandra Costante ha ricordato che “il giornalismo non è un crimine” e stigmatizzato la decisione della autorità russe, definendola “né democratica né contemporanea”. Costante ha inoltre criticato il ritardo con cui Tajani ha convocato l’ambasciatore russo: “ancora meglio sarebbe stato se lo avesse fatto prima, quando venne diffusa la notizia di Stefania Battistini e Simone Traini indagati in Russia per essere entrati nel territorio nazionale insieme alle truppe ucraine”.
Due giornalisti italiani del Tg1, Stefania Battistini e Simone Traini, documentano al seguito delle truppe ucraine lo sconfinamento in Russia, nella regione di Kursk. Il servizio è trasmesso mercoledì durante l’edizione delle 20. Venerdì l’ambasciatrice italiana a Mosca, Cecilia Picconi, è convocata per ricevere le proteste ufficiali del Cremlino. Sabato le autorità russe aprono un procedimento penale a carico di Battistini e Traini. L’accusa è di aver attraversato illegalmente il confine: rischiano fino a cinque anni di prigione. Lo stesso giorno, la Rai emette una nota in cui comunica la decisione di richiamare in Italia i due giornalisti.
Dalle agenzie apprendiamo che le parole sono dell’amministratore delegato Roberto Sergio, mentre sul sito Rai le tre righe campeggiano in nome dell’impersonalità:
L’Azienda, in linea con i protocolli di sicurezza, ha ritenuto, esclusivamente per garantire sicurezza e tutela personale, di far rientrare, temporaneamente in Italia, la giornalista Stefania Battistini e l’operatore Simone Traini.
Arrivano intanto i primi attestati di solidarietà dalle associazioni che proteggono la libertà di stampa, nazionali e internazionali, ad esponenti di vari partiti. Arrivano anche le critiche dell’Usigrai alla decisione dell’azienda: “La scelta di far rientrare frettolosamente la troupe del Tg1 dopo il servizio sull'avanzata ucraina in territorio russo non è una buona notizia per il diritto dei cittadini ad essere informati”.
Fa in parte eccezione Dario Carotenuto capogruppo del Movimento 5 Stelle in Commissione di Vigilanza Rai, e quindi esponente dell’opposizione. Carotenuto, nel dirsi sollevato per il rientro dei due giornalisti in Italia, consegna alle agenzie queste parole sui due giornalisti:
Ci rammarichiamo però [...] che non siano potuti restare nella regione russa di Kursk per indagare sull'uso di armi e mezzi italiani da parte delle truppe di Kiev. Inoltre, considerato il tenore del reportage mandato in onda dal Tg1 chiaramente favorevole all'operato delle forze ucraine, presenteremo in Vigilanza Rai un'interrogazione ai vertici dell'azienda per sapere se da parte dei militari di Kyiv vi siano state limitazioni al pieno esercizio della libertà di cronaca dei reporter italiani.
La principale preoccupazione di Carotenuto, e per estensione del suo partito, è di squalificare il lavoro dei due giornalisti gettandovi l’ombra del sospetto e della faziosità. Da notare che nei giorni scorsi Battistini ha anche riferito di aver ricevuto minacce di morte.
Un ripasso di diritto internazionale. Art. 79 Convenzione di Ginevra
— Stefania Battistini (@StefaniaBattis4) August 15, 2024
“i giornalisti nelle zone di guerra devono essere trattati come civili e protetti come tali, a condizione che non prendano parte alle ostilità"
Qui l’intera convenzione consiglio letturahttps://t.co/RqidTbmnDW pic.twitter.com/OEztW7VpOz
Intanto lunedì 19 agosto Mosca prende di mira un altro giornalista Rai, Ilario Piagnerelli. Niente procedimento a suo carico, ma una polemica a distanza lanciata da Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo.
Piagnerelli, durante un reportage, ha intervistato un combattente ucraino che indossava un simbolo nazista. La portavoce ha così accusato via Telegram la stampa italiana: “questi pseudo-reporter possono essere qualificati solo come traditori della professione che si sono abbassati a partecipare direttamente alla fabbricazione e diffusione della propaganda ucronazista". Lo stesso giorno, Piagnerelli si è scusato su X per l’intervista.
Sono cresciuto con un nonno partigiano, di quelli veri, che oggi non avrebbero dubbi nel distinguere tra invaso e invasore, tra chi resiste e chi occupa. Sono stato educato ai valori della Costituzione.
— Ilario Piagnerelli (@ilario82) August 19, 2024
Mi rammarico profondamente di aver dato voce, anche se per pochi secondi, a… pic.twitter.com/lBhBTtlax6
Le agenzie, invece, diffondono la voce grossa da parte di Fratelli d’Italia e del Partito Democratico su questo nuovo tentativo di ingerenza russa.
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Una prima linea da tirare sulla vicenda riguarda la trasparenza dei processi decisionali. Non è chiaro perché i due giornalisti siano stati fatti rientrare, né chi abbia preso la decisione. Possiamo solo affidarci a una scarna nota di tre righe, o ai retroscena, quel genere giornalistico fatto di “voci”, “indiscrezioni”, condizionali, puntini da unire. Invece che valutare posizioni ufficiali, dobbiamo dedurre, ipotizzare, far congetture.
Secondo Repubblica c’è stata una mediazione dei servizi italiani per scongiurare ritorsioni russe, ad esempio verso la sede Rai a Mosca. Mentre la decisione di far rientrare i due giornalisti avrebbe visto il direttore del Tg1 Gianmarco Chiocci in contrasto con l'amministratore delegato Roberto Sergio e il direttore generale Giampaolo Rossi. Il quale, come ricordavamo alla vigilia della sua nomina, è uno che nel 2016 lodava i moniti di Putin “agli alchimisti della finanza globale e ai guerrafondai umanitari che alimentano le rivoluzioni colorate, le guerre civili e il terrorismo per generare il caos funzionale ai propri progetti egemonici”, mentre due anni dopo lo ritroviamo a concionare sulla rivoluzione ucraina come di una “una rivoluzione che i padroni del Nuovo Ordine Mondiale hanno costruito a tavolino e realizzata con puntuale spietatezza”.
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Questa palude decisionale è quindi l’habitat naturale di una certa classe dirigente. Così Battistini e Traini, invece di sentire le spalle protette da un’azienda che li tutela di fronte a rischi concreti per la loro incolumità, si sono trovati a subire una decisione con molte opacità, venendo umiliati come professionisti. Hanno fatto il loro lavoro, hanno corso dei rischi per garantire un servizio all’opinione pubblico, e come conseguenza sono stati richiamati a Roma. Da Mosca, almeno, le autorità ci hanno messo la faccia. E si sono paradossalmente mostrati più trasparenti nei loro obiettivi. È ovvio che il Cremlino non voglia telecamere e giornalisti con la schiena dritta nei suoi confini: l’offensiva nel Kursk rivela la debolezza di un invasore abituato a dire (e dirsi) che l’Ucraina nemmeno esiste come Stato e popolo.
Tralasciamo volentieri le polemiche pretestuose sul giornalismo “embedded” fatte sulla pelle altrui. La situazione è seria e le polemiche pretestuose servono a chi le fa. Battistini e Traini non sono gli unici giornalisti che hanno attraversato il confine al seguito delle truppe ucraine. Oltre al Tg1, anche giornalisti della CNN e del New York Times hanno pubblicato reportage realizzati al seguito delle truppe ucraine in Russia. RT lunedì riportava sul sito in inglese che le autorità russe stanno indagando i due giornalisti del Washington Post che hanno "attraversato illegalmente il confine". Ieri invece il ministero degli Esteri russo ha convocato una funzionaria dell'ambasciata americana a Mosca, in modo analogo a quanto avvenuto per l'ambasciatrice italiana. Questo tipo di reazioni da parte di Mosca non sono quindi imprevisti che cadono dal cielo. La differenza è che il Cremlino sa bene di non poter mettere facilmente sotto pressione la stampa e il governo americano, così come sa che l’Italia è un paese forte coi deboli, debole dei forti.
L’Italia è anche il paese convinto che l’Ucraina, nel migliore dei casi, vada aiutata, purché non si difenda troppo bene: è “l’equivoco tra difesa e offesa” di cui ha scritto di recente Ezio Mauro. Nel peggiore invece, abbiamo un evidente disprezzo anti-ucraino mascherato da linea editoriale o politica, a seconda del soggetto di turno. Ecco perciò che i mugugni del governo italiano per l’avanzata ucraina in territorio russo suonano anche come un segno di debolezza rispetto al rischio di simili pressioni.
Eppure le questioni sicurezza e autonomia della stampa andrebbero prese sul serio. Dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina è diventato via via sempre più pericoloso operare in territorio russo, e i rischi per l’incolumità dei giornalisti vanno ben al di là dei rischi associati alla copertura dei fronti di guerra. Lo sanno prima di tutto i numerosi giornalisti russi che hanno dovuto lasciare il paese per sfuggire ad arresti e persecuzioni; o che sono stati condannati persino in contumacia, come nel caso di Masha Gessen. O che hanno subito probabili tentativi di avvelenamento.
Ma lo sanno anche i colleghi stranieri. La BBC, per esempio, aveva sospeso le attività nel marzo 2022 dopo l’approvazione da parte del Parlamento russo della legge che vietava di diffondere “false informazioni” sull’esercito. Il giornalista americano del Wall Street Journal Evan Gershkovich è stato incarcerato in Russia per 16 mesi. Due suoi corrispondenti sono stati inseriti nella lista degli “agenti di influenza stranieri”, secondo una legge russa che limita fortemente l’operato di chi si ritrova questa etichetta addosso. Per quanto un personaggio come Nicolai Lilin - propagandista riciclatosi come perseguitato politico dopo aver fallito nel riciclarsi come candidato per la lista Pace Terra Dignità - sia soprattutto una persona in cerca di attenzione, i suoi riferimenti al “polonio nel tè” a proposito di Battistini e Traini evocano rischi reali.
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Per quale motivo, dunque, i giornalisti della sede Rai di Mosca sarebbero al sicuro, e quali garanzie ci sono che possano svolgere il loro operato in piena autonomia e senza condizionamenti di alcun tipo da Mosca? La loro incolumità è stata oggetto di trattativa insiema a quella di Battistini e Traini? Perché la Rai sarebbe in grado di garantire una sicurezza che altri servizi pubblici e altre redazioni di gruppi editoriali occidentali non sono in grado di fare sul suolo russo? Perché per Battistini e Traini ci sarebbero rischi di sicurezza, ma non per Piagnerelli? I due giornalisti sono stati inviati al seguito delle truppe ucraine senza mettere in conto possibili reazioni del Cremlino? Quali iniziative ha preso il governo italiano per respingere ingerenze russe nel caso specifico, a parte i canali “ufficiosi”? Per quale motivo, proprio nei giorni in cui si consumava la crisi tra Rai e Mosca, la principale preoccupazione di un governo per metà in vacanza in Puglia è stata di tuonare contro un presunto complotto della magistratura ai danni di Arianna Meloni?
Tante domande, molte ipotesi, praticamente zero risposte certe. Vicende del genere diventano così rivelatorie di come l’opinione pubblica non sia un destinatario effettivo delle comunicazioni istituzionali e dei processi decisionali; al massimo è un impiccio da mettere in conto. O cui chiedere ogni tanto il voto, ma più che altro come delega in bianco. E il servizio pubblico non è nemmeno nel novero delle eccezioni che confermano la regola. È casomai lo stato dell’arte della regola, e non da oggi.
Immagine in anteprima via RaiNews