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Gli effetti delle ondate di calore sulla salute mentale

14 Agosto 2024 12 min lettura

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Gli effetti delle ondate di calore sulla salute mentale

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Il round-up settimanale sulla crisi climatica e i dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera.

Un “killer silenzioso”. Così i medici hanno definito le ondate di calore perché mietono molte più vittime di quanto la maggior parte delle persone si renda conto. E hanno impatti sui corpi e sulla salute mentale.

Secondo le Nazioni Unite, 2,4 miliardi di persone nel mondo sono minacciate da “ondate di calore sempre più gravi, causate in gran parte da una crisi climatica indotta dai combustibili fossili”.

Uno studio pubblicato recentemente su Nature Medicine ha rilevato che nel 2023 – l'anno più caldo mai registrato anche se gli scienziati prevedono che il 2024 prenderà presto il suo posto – le ondate di calore, aggravate dall’inquinamento da anidride carbonica, hanno ucciso quasi 50mila persone in Europa. E il tasso di mortalità sarebbe stato dell’80% più alto se le persone non si fossero adattate all'aumento delle temperature negli ultimi due decenni. Questo significa che gli sforzi compiuti per adattare le società alle ondate di calore sono efficaci, spiega al Guardian Elisa Gallo, epidemiologa ambientale presso ISGlobal e autrice principale dello studio. “Ma il numero di decessi legati al caldo è ancora troppo alto e l’Europa si sta riscaldando a un ritmo doppio rispetto alla media globale: non possiamo dormire sugli allori”.

Come già rilevato dall’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) delle Nazioni Unite, le ondate di calore in Europa stanno diventando più intense, più lunghe e più frequenti. Entro il 2050, prosegue il rapporto, circa la metà della popolazione europea potrebbe essere esposta a un rischio elevato o molto elevato di stress da ondate di calore durante l'estate. 

“L'adattamento all'aumento delle temperature ha svolto un ruolo cruciale nella prevenzione della mortalità in Europa, ma rimane insufficiente”, ha aggiunto Dominic Royé, ricercatore presso la Climate Research Foundation, che non ha partecipato allo studio.

“Il caldo estremo sta avendo un impatto estremo sulle persone e sul pianeta. Il mondo deve raccogliere la sfida dell'aumento delle temperature”, ha affermato il mese scorso il Segretario generale dell'ONU, António Guterres, esortando a una maggiore cooperazione internazionale. Guterres ha chiesto di intervenire in quattro aree: 1) Prendersi cura delle persone vulnerabili; 2) Proteggere i lavoratori; 3) Utilizzare i dati e le ricerche scientifiche per incrementare la capacità di adattamento; 4) Limitare l'aumento della temperatura globale a 1,5°C sostituendo i combustibili fossili con le energie rinnovabili.

Gli scienziati sostengono che i governi possono proteggere le persone dalle ondate di calore progettando città fresche con più parchi e meno cemento, istituendo sistemi di allerta precoce per avvertire le persone del pericolo imminente e rafforzando i sistemi sanitari in modo che i medici e gli infermieri non siano costretti a sovraccaricarsi quando le temperature salgono.

Ma anche le azioni individuali, come stare in casa e bere acqua, hanno un forte effetto sul numero di morti. Controllare i vicini e i parenti anziani che vivono da soli può fare la differenza. Il dottor Santi Di Pietro, assistente alla cattedra di medicina d'urgenza dell'Università di Pavia, ha affermato che i suoi colleghi curano più pazienti al giorno di quanti ne curassero all'inizio di gennaio durante la stagione influenzale.

“Il cambiamento climatico deve essere considerato un problema di salute”, spiega ancora Gallo. Anche sui luoghi di lavoro. 

Secondo un rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), oltre il 70% della forza lavoro mondiale è a rischio di morte o malanni a causa del caldo estremo. Quasi 23 milioni di infortuni sul lavoro in tutto il mondo sono causati dal caldo eccessivo.

L’Africa (93%) e la penisola arabica (83%) sono le aree dove la forza lavoro è maggiormente esposta alle ondate di calore. Europa e Asia centrale sono invece le regioni dove il rischio di caldo estremo sta aumentando più rapidamente che in qualsiasi altra parte del mondo, con un incremento di oltre il 17% dal 2020. Il rapporto prevede che le ondate di calore provocheranno circa 1,6 milioni di vittime a livello globale entro il 2050 e che il Sud-Est asiatico potrebbe essere tra le regioni più colpite.

A lungo termine, i lavoratori sviluppano malattie croniche gravi e debilitanti, che colpiscono il sistema cardiovascolare e respiratorio e i reni. Sempre secondo l’ILO, 26,2 milioni di persone soffrono di malattie renali croniche a causa dello stress da caldo sul posto di lavoro.

Le categorie più a rischio sono, in particolare, i vigili del fuoco, i panettieri, gli agricoltori, gli operai edili, i minatori, gli addetti alle caldaie, gli operai di fabbrica. I lavoratori d’età pari o superiore a 65 anni, in sovrappeso, affette da malattie cardiache o da ipertensione arteriosa, sono maggiormente a rischio.

Uno degli aspetti meno dibattuti è quello relativo, infine, agli impatti delle ondate di calore sulla salute mentale. Negli ultimi anni, le discussioni sull'impatto dei cambiamenti climatici sulla salute mentale si sono concentrate sull’eco ansia, un termine che indica la preoccupazione, la paura o l’ansia cronica legata al destino del pianeta a per via di gravi eventi climatici. 

Meno si parla di alcuni filoni di ricerca che stanno cercando di comprendere meglio gli effetti dei cambiamenti climatici, in particolare il caldo estremo, sulla salute mentale. Tra questi, anche l’ultimo rapporto dell’IPCC, secondo il quale l'aumento delle temperature globali ha “influenzato negativamente” la salute mentale nelle regioni di tutto il mondo. 

In generale, il caldo e il disagio possono influire sull'umore di una persona, portandola a sentirsi più irritabile e stressata con effetti a catena sul comportamento. Un numero crescente di ricerche collegano il caldo estremo a un aumento dei comportamenti violenti

Il caldo estremo può avere implicazioni ancora più significative sul sonno. Le ricerche dimostrano che il riscaldamento notturno sta peggiorando la qualità e le ore di sonno a livello globale. Giorni o settimane di sonno in stanze troppo calde possono non solo aggravare condizioni croniche come il diabete e le malattie cardiache, ma anche influenzare negativamente i disturbi psichiatrici

Tutti questi aspetti sono esacerbati per chi ha problemi di salute mentale. In questi casi, le ricerche hanno individuato un aumento dei ricoveri in ospedale di persone con problemi di salute mentale e anche un rischio maggiore di morire durante i periodi di alte temperature. 

Tuttavia, restano ancora tante le lacune nella comprensione delle interazioni biologiche, psicologiche, sociali e ambientali tra salute mentale e calore, spiega Alessandro Massazza, project advisor su cambiamento climatico e salute mentale presso Wellcome, una fondazione che si occupa di salute mentale, malattie infettive e clima. Le ricerche sono ancora sporadiche e limitate e, con esse, anche le politiche dei governi: la salute mentale è a malapena presente negli impegni relativi al clima in tutto il mondo.

Attualmente, solo il 3% degli impegni climatici presentati dai governi nazionali nell'ambito dell'Accordo di Parigi menziona la salute mentale, prosegue Massazza. L'Australia Meridionale è uno dei pochi Stati che prevede un supporto mirato per i gruppi a rischio, compresi quelli di persone affette da patologie mentali. Anche le politiche basate sulla natura, che migliorano l'accesso agli spazi verdi e blu, e le politiche dei trasporti che incoraggiano l’uso di mezzi di locomozione lenti, come le biciclette, hanno dimostrato di avere benefici per la salute mentale e l'ambiente.

“Una migliore comprensione di come e perché il caldo estremo ha un impatto negativo sulla salute mentale – conclude Massazza – sarà essenziale per realizzare un mondo in cui nessuno sia bloccato da problemi di salute mentale, anche nel contesto di un clima che cambia”.

Clima, anche le Olimpiadi di Parigi sono state una lezione di greenwashing

Le Olimpiadi sono un incubo per la sostenibilità e Parigi 2024, nonostante abbia fatto notevoli passi avanti, non ha fatto eccezione.

Prima dell’inizio delle Olimpiadi di Parigi, gli organizzatori avevano affermato di aver voluto fare della sostenibilità il tratto distintivo di questa edizione dei Giochi. Alla luce dei cambiamenti climatici, avevano promesso che si sarebbe trattato di evento “storico per il clima” e di “giochi rivoluzionari come non ne abbiamo mai visti prima”.

In effetti, gli organizzatori si sono dati da fare. Per limitare l'impronta di carbonio, sono state ridotte al minimo la costruzione di nuovi impianti sportivi e di nuovi siti, come il Media Village per i giornalisti e il Villaggio Olimpico. Sono stati utilizzati materiali di origine biologica, soprattutto il legno, e di riciclo, come le sedute del centro acquatico o i podi per le premiazioni, fatti di plastica riciclata. La costruzione del Villaggio Olimpico ha richiesto una minore intensità di carbonio – la quantità di anidride carbonica rilasciata per generare un chilowattora di elettricità: meno di 650 chilogrammi di anidride carbonica equivalente per metro quadrato (kgCO2e/m2), la metà della media francese per la costruzione di strutture per uffici (1.400 kgCO2e/m2) e di abitazioni multifamiliari (1.300 kgCO2e/m2). Anche la ristorazione ha puntato a zero rifiuti alimentari e ha visto una riduzione delle emissioni di carbonio, privilegiando fornitori locali a km zero, il compostaggio degli alimenti, la riduzione del 50-60% dei prodotti animali e il raddoppio della quantità di prodotti a base vegetale nel menu. Gli organizzatori dei Giochi Olimpici di Parigi hanno affermato anche che il 100% dell'elettricità utilizzata nelle sedi olimpiche era proveniente da fonti rinnovabili (anche se era difficile verificare questa affermazione).

Tutto questo rappresenta di sicuro un passo in avanti rispetto al passato, ma le criticità restano tante. La maggior parte delle emissioni di gas serra prodotte dai grandi eventi sportivi – circa l’85% è stato stimato – deriva dai viaggi dei tifosi, dei giornalisti e degli atleti per raggiungere l'evento. Secondo le stime della vigilia, i Giochi di Parigi avrebbero immesso nell'atmosfera 1,58 milioni di tonnellate di CO2, equivalenti in poche settimane alle emissioni medie di oltre 150.000 francesi in un anno intero, scrive Mediapart. In realtà, ci vorrà tempo per valutare l’impronta di carbonio finale dell'evento. 

Inoltre, gli organizzatori hanno fatto molto affidamento a progetti di compensazione climatica attraverso l’acquisto di crediti di carbonio: in pratica le grandi aziende, invece di ridurre le emissioni, compensano i gas climalteranti emessi acquistando crediti attraverso progetti o investimenti in tecnologie “verdi” in altri paesi, molto spesso Stati del cosiddetto sud del mondo. Diverse inchieste giornalistiche hanno svelato gli impatti negativi sulle comunità locali – che in alcuni casi si sono viste espropriate dei propri territori per la realizzazione di parchi naturalistici – quando non si è trattato di vere e proprie truffe, come nel caso di quella che la polizia federale brasiliana ha definito “Operazione Greenwashing”, in Amazzonia: crediti di carbonio venduti per un valore complessivo di 34 milioni di dollari provenienti da aree invase illegalmente.

E anche rispetto alla sostenibilità ambientale delle nuove costruzioni, non tutto è andato come è stato raccontato dagli organizzatori. Un’inchiesta di Mediapart ha definito lo skate park temporaneo realizzato a Place de la Concorde “una valanga di cemento”. La sola ideazione è “un’assurdità ambientale ed economica”, ha commentato il presidente di un gruppo francese di skate park, considerati gli impatti ambientali del cemento.

Tutto questo mostra ancora una volta l'assurdità ecologica di organizzare questi tipi di mega-eventi in stile XX secolo in un mondo che sta bruciando.

Una ricerca accademica, che ha analizzato la sostenibilità di 16 diverse Olimpiadi dal 1992 al 2020, ha rilevato che le ultime quattro edizioni dei Giochi prima di Parigi 2024 sono state le meno sostenibili di sempre. Nell’ordine Sochi 2014 [giochi invernali], Rio 2016, Tokyo 2020 e Londra 2012.

Se davvero vorremo giochi sostenibili, l’unica strada percorribile, spiega un articolo pubblicato su Scientific American, è ridurre le dimensioni di questi mega-eventi, limitare il numero di turisti che arrivano da lontano, rendere più ecologiche le catene di approvvigionamento e rendere trasparenti le fonti energetiche. Fino ad allora, le Olimpiadi resteranno un esercizio di greenwashing, un enorme abisso tra parole e fatti sostenibili. 

Che cos’è l’“ossigeno oscuro” prodotto dai metalli sul fondo del mare e che potrebbe cambiare le nostre conoscenze sull’origine della vita sulla Terra

Circa la metà dell'ossigeno che respiriamo proviene dall'oceano. Finora si riteneva che venisse prodotto dalle piante marine attraverso la fotosintesi, che richiede la luce del sole. Ma un gruppo di scienziati ha scoperto la produzione di “dark oxygen (“ossigeno oscuro”) da grumi di metallo presenti in natura sul fondo dell’oceano. Questa scoperta – spiegano gli autori della ricerca – potrebbe cambiare la nostra comprensione delle origini della vita sulla Terra.

Secondo la ricerca, pubblicata sulla rivista Nature Geoscience, l'ossigeno sembra essere prodotto da “noduli” metallici presenti in natura che scindono l'acqua di mare in idrogeno e ossigeno. I noduli si formano quando i metalli disciolti nell'acqua marina si raccolgono su frammenti di conchiglia o altri detriti. È un processo che richiede milioni di anni. Poiché questi noduli contengono metalli come il litio, il cobalto e il rame, tutti necessari per la produzione di batterie, molte società minerarie stanno sviluppando una tecnologia per raccoglierli e portarli in superficie. Cosa che gli scienziati marini temono possa interrompere il processo appena scoperto e danneggiare la vita marina che dipende dall'ossigeno prodotto. Più di 800 scienziati marini di 44 paesi hanno firmato una petizione che evidenzia i rischi ambientali e chiede una sospensione delle attività estrattive. [Fonte: Nature Geoscience]

Malawi, come i sopravvissuti ai disastri climatici stanno ricostruendo le loro comunità grazie al primo fondo mondiale per le perdite e i danni

Un anno e mezzo fa, nel marzo 2023, il ciclone Freddy ha lasciato una terribile scia di distruzione quando ha colpito l'Africa meridionale: 679 morti, 659mila sfollati nel sud del Malawi, danni fisici e perdite economiche per oltre 450 milioni di euro, di cui 45,5 milioni nel solo distretto di Nsanje. Prima del 2015, il Malawi non aveva mai visto un ciclone. 

Sedici mesi dopo, 2.695 famiglie hanno ricevuto finanziamenti a fondo perduto per la ricostruzione. E hanno potuto iniziare a ridare vita a una comunità che sembrava distrutta, come nel caso delle 10mila persone sfollate dall’area di Namiyala in una scuola elementare, trasformata in un campo di fortuna. I fondi, pari a circa 700 euro per ogni famiglia, sono stati distribuiti in tre tranche nell’ambito di un fondo lanciato dal governo scozzese alla COP28 del 2023, con la partecipazione dell’organizzazione no-profit statunitense GiveDirectly, che fornisce aiuti umanitari in contanti e opera in Malawi dal 2019. E con questi fondi le famiglie di sfollati hanno potuto ricostruire le loro abitazioni, acquistare nuovi vestiti, permettere ai figli di tornare a scuola, pagare la manodopera. 

“L'Occidente ha l'obbligo di aiutarci a ricostruire e riadattarci. Non siamo noi i responsabili di molti dei problemi che stiamo affrontando ora”, afferma Charles Kalemba, commissario del Dipartimento per gli Affari di Gestione dei Disastri (DoDMA). “Le Nazioni Unite dovrebbero essere utilizzate per mobilitare le risorse. È utile parlare con i governi, ma ormai sono più di 20 anni che parliamo. Stiamo per entrare nella Cop29, e sono 29 anni che parliamo. Molti di quegli impegni rimangono solo tali, impegni”. [Fonte: Guardian]

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Cinque modi in cui le Hawaii cercano di prevenire il prossimo incendio devastante

Un anno fa, l'incendio americano più letale in oltre un secolo causò 102 vittime sull'isola di Maui, alle Hawaii, lasciando la storica città di Lahaina in cenere e dando il via a una serie di indagini su ciò che si sarebbe potuto fare per prepararsi meglio a un simile disastro. Da allora sono state approvate leggi, le agenzie di emergenza hanno implementato nuove politiche e i residenti e i funzionari si sono confrontati su come ricostruire la città. Ma alcuni dei passi più importanti che potrebbero aiutare a prepararsi - o a prevenire - la prossima catastrofe non sono stati compiuti, in parte perché ci si interroga su come sostenere economicamente gli interventi necessari. Il risultato è che, un anno dopo il disastro, l'isola rimane preoccupantemente vulnerabile agli incendi selvaggi che, secondo gli scienziati del clima, sono una minaccia crescente.

Tuttavia, l’amministrazione ha individuato cinque tipologie di intervento per prevenire i prossimi incendi: 1) Nuovi investimenti per organizzare gli interventi, evitare ritardi, aumentare il numero di vigili del fuoco; 2) Ridurre le praterie a rischio incendio; 3) Migliorare la sicurezza della rete elettrica; 4) Riorganizzare le strategie di evacuazione; 5) Una tassa di impatto sul clima per finanziare misure di protezione contro gli incendi e altri disastri. [Fonte: New York Times]

I dati sui livelli di anidride carbonica nell'atmosfera

Immagine in anteprima: Frame video Dw via YouTube

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