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Sbatti il meme in prima pagina: il ministero dell’Interno è diventato una fabbrica di capri espiatori

29 Luglio 2024 10 min lettura

Sbatti il meme in prima pagina: il ministero dell’Interno è diventato una fabbrica di capri espiatori

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Scorrendo i feed del ministero dell’Interno su Facebook, così come il profilo dello stesso ministro, Matteo Piantedosi, su X/Twitter o Instagram, si può avvertire una sensazione alquanto disturbante. 

I rispettivi feed, infatti, tra foto del ministro che stringe mani e sfoggio di statistiche sempre positive, sono ormai una fabbrica di meme i cui contenuti andrebbero bene per pagine alla Tutti i crimini degli immigrati, o Io amo il mio poliziotto

Più del dialogo con i cittadini, più del mostrare il proprio operato, la comunicazione istituzionale di Piantedosi è centrata sul mostrare un mondo di legge e ordine mantenuto grazie alle forze dell’ordine, sempre pronte ad arrestare criminali, che sono tali ben prima dei doverosi tre gradi di giudizio. Una tendenza che discende direttamente da un suo predecessore, Matteo Salvini, con cui Piantedosi ha un rapporto di contiguità, avendo servito nel suo ministero come capo di gabinetto e avendo collaborato ai decreti sicurezza.

Anche se dal curriculum potrebbe quindi sembrare un ministro più tecnico di Salvini, tanto la prassi comunicativa quanto i provvedimenti presi mostrano come in realtà Piantedosi sia soprattutto un’evoluzione del Salvini ministro dell’Interno, una normalizzazione degli aspetti più eccezionali e problematici. Qui ci occuperemo in particolare delle peculiarità comunicative.

Salvini ministro dell’Interno: dacci oggi il nostro nemico quotidiano

La comunicazione di Salvini da ministro si caratterizzava all’epoca per una gestione molto politicizzata della carica, più da leader di partito che da ministro, il cui operato dovrebbe essere al servizio di tutti gli italiani, non solo una parte. Da ministro dell’Interno, invece, Salvini non si limita a sbandierare i risultati ottenuti in chiave autopromozionale, ma soprattutto per attaccare continuamente bersagli politici: intellettuali, scrittori, giornalisti, manifestanti. Uno stillicidio quotidiano, che passa attraverso i profili del politico, non da quelli del ministero, che per esempio su Twitter è ancora legato alle comunicazioni di servizio.

In questa strategia di propaganda continua, ciò che è istituzionale diventa politico e ciò che è politico diventa istituzionale, e tutte e due le sfere sono piegate alla logica “noi vs loro”: “loro” sono gli stranieri, i “clandestini”, i “centri sociali”, le persone LGBTQIA+, e così via, contro cui si aizza il proprio seguito, spesso ricorrendo a messaggi passivo-aggressivi (i “bacini”). Non è il messaggio in sé che deve essere aggressivo o incitare: basta rafforzare attraverso i post su Facebook, o su Twitter dei messaggi che sono stati disseminati in modo più esplicito negli anni, da Salvini stesso o dalla sua area politica. 

Questo conflitto tra ruolo politico come leader di un partito di estrema destra e ruolo istituzionale è evidente in casi in cui il messaggio cozza con i poteri del ministro. Ad esempio quando Salvini attacca giornalisti sotto scorta. Come ministro dell’Interno tra le proprie responsabilità ha anche la tutela dei cittadini sotto scorta. Così quando nel maggio 2019, in un video a ridosso del positivo risultato alle europee, manda “un bacione a Saviano”, annunciando contestualmente che rivedrà i criteri delle scorte, il Consiglio d’Europa classifica il messaggio come “intimidazione attribuibile allo Stato”. 

Nel dicembre 2018, invece, Salvini è entrato in conflitto con il procuratore capo di Torino, Armando Spataro, per via di un tweet dove si complimentava con le forze dell’ordine per l’arresto di “mafiosi nigeriani”. Per Spataro, infatti, il tweet è arrivato a indagini ancora in corso, col rischio quindi di comprometterle. Spataro ha anche dovuto rettificare l’allora ministro dell’Interno: "la polizia giudiziaria non ha fermato '15 mafiosi nigeriani', ma sta eseguendo un'ordinanza di custodia cautelare".

Un altro problema riguarda proprio la tendenza di Salvini a usare i propri i privilegi come scudo per insultare e delegittimare, poiché come nel caso dei “mafiosi nigeriani” si ha un ministro dell’Interno che attribuisce dei reati o delle condotte penalmente rilevanti a persone che non sono state condannate, ancora prima che inizi qualunque processo. Qualcosa che quindi cozza frontalmente con lo Stato di diritto, in nome dell’engagement. Ricordiamo infine uno dei casi più emblematici, le parole rivolte a Carola Rackete, definita “fuorilegge”, “pirata”, “criminale”. Non solo l’ex comandante della Sea Watch non ha mai subito condanne che rendano giustificabili a qualunque livello questi epiteti, ma Salvini stesso, dopo essere stato denunciato da Rackete per diffamazione, è stato soccorso dal Senato, che ha votato contro l’autorizzazione a procedere.

Dopo una stagione di così elevata conflittualità, il fatto che nel governo Conte II e Draghi ci fosse una ministra dell’Interno senza profili social, Luciana Lamorgese, venne evidenziato come una netta cesura, la fine di una sbornia comunicativa che non era certo utile per i cittadini, anzi. 

Matteo Piantedosi: il ministero dei meme

La comunicazione di Piantedosi conosce due importanti una novità: nel febbraio 2023 è creata la Pagina Facebook Viminale - Ministero dell’Interno, andando quindi a presidiare una piattaforma tra le più diffuse in Italia. La seconda novità è che i contenuti diventano più omogenei tra pagine istituzionali e i profili di Piantedosi stesso, in particolare da dopo l’estate 2023. Questo punto va evidenziato, per un motivo molto semplice: gli staff di comunicazione, i ministri e gli indirizzi politici vanno e vengono, ma le istituzioni e il loro ruolo rimangono.

Dall’estate 2023, sulla pagina del ministro si cerca di veicolare una comunicazione più immediata, non più incentrata sulla classica foto accompagnata a una descrizione. Compaiono quindi le classiche card, immagini accompagnate da un testo pensate per essere virali. In teoria potrebbe rappresentare un modo per sintetizzare comunicati e note normalmente reperibili sul sito del ministero dell’Interno. 

Naturalmente anche questa comunicazione di tipo istituzionale segue degli indirizzi strategici (la scelta di comunicare i rimpatri, per esempio, o i tipi di reati perseguiti evidenziati). Ma il formato card tende a eliminare ogni possibile inferenza, rendendo centrale l’enfasi, ossia quell’elemento retorica teso ad evidenziare accentuando, a scapito delle informazioni e del contesto. In questi casi l'enfasi non lavora solo sulla sintassi, ma su elementi come grafica, colore e dimensioni del testo.

In questo caso, nella gerarchia delle informazioni, a essere enfatizzata è l’azione compiuta: “smantellata una rete di spaccio” (infliggendo, si legge sotto, “duri colpi alle organizzazioni criminali”). Guardando quindi alla cronaca locale del periodo, si deduce che la card si riferisca a un’operazione antidroga nell’ambito della quale, riporta il Resto del Carlino, sono stati arrestati “21 cittadini nordafricani (18 marocchini e 3 tunisini)” [il grassetto è nell’originale, NdA]. 

Nella didascalia della card, invece, si leggono su Facebook le parole del ministro Piantedosi: “Un’azione portata avanti senza inutili annunci, con la professionalità e l’abnegazione con cui lavorano i nostri operatori di polizia per garantire sicurezza e legalità nelle zone cittadine più esposte ai fenomeni criminali. La conferma dell’assoluto impegno del Governo per dare risposte concrete ai nostri cittadini”. 

Sempre a luglio, un’altra card annuncia stavolta il sequestro di un peschereccio contenente “5,2 tonnellate di cocaina”. Anche qui l’enfasi è posta sul colpo inflitto dalle forze dell’ordine al traffico di stupefacenti, con tanto di foto dei finanzieri di fronte al carico sequestrato. Anche qui è stato inferto “un duro colpo” alla criminalità organizzata. 

In questa cornice enfatica non esistono quelle procedure attraverso cui si attesta la colpevolezza e quindi la pertinenza di certi termini (“criminalità organizzata” presuppone la violazione di specifici articoli del codice penale, per esempio). Poliziotti, finanzieri e lo stesso ministro non sono perciò funzionari dello Stato, ma sono forze del bene impegnate a garantire l’ordine e la legge contro chi la minaccia. Non esistono gradi di giudizio, non esistono avvocati, ricorsi: in una parola, diritti.

Questo è vero su un piano quantitativo, per cui il numero di arresti è una sorta di certificato di buon operato. Ma anche su un piano qualitativo, secondo una gerarchia che vede enfatizzata ove possibile tratti specifici delle persone contro cui le forze dell’ordine hanno agito. 

Qui, per l’appunto, i reati evidenziati (“furto e spaccio”) non importa che siano stati commessi o siano solo  contestati: l’arresto ha un valore morale, basta a definire i nemici della legge e dell’ordine. Ha invece importanza distinguere tra italiani e non, dando le cifre esatte (4 e 3). In altri casi abbiamo solo il numero: vorrà forse dire che erano tutti italiani?

Diventa facile intuire dunque quali sono i cattivi di elezione: gli stranieri. Abbiamo dunque “pakistani arrestati” per “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”, e solo in un secondo ordine di informazione si viene a sapere che sono accusati. Naturalmente il cattivo per eccellenza non è solo straniero, ma extracomunitario. Meglio ancora se musulmano ed estremista. 

La didascalia dell’immagine così recita: “Espulso un 38enne tunisino, radicalizzato e in contatto con soggetti vicini all’autoproclamato Stato Islamico. Dopo essere stato trattenuto presso il CPR, è stato rimpatriato nel suo Paese d’origine”. Qui non è nemmeno importante la nazionalità, sono infatti enfatizzati quattro tratti: “pericoloso”, “estremista”, “islamico”, “rimpatriato”. L’ultima parola è in pratica il lieto fine che ci racconta di pericoli sventati grazie al rimpatrio. 

A novembre viene invece espulso un “23enne marocchino” che, si legge nella card, “voleva vendicare le morti nel conflitto israelo-palestinese”. Una frase che suscita immagini di attentati, rischio di stragi e antisemitismo; forse di armi ed esplosivi ritrovati in qualche nascondiglio. Tuttavia la stessa didascalia sembra sgonfiare di molto queste immagini, e cercando la notizia nel periodo si arriva a telegrafici lanci di agenzia. L'uomo è stato “espulso dal Prefetto di Alessandria per motivi di pericolosità sociale”, ma si legge poi:

Negli ultimi giorni, lo straniero era stato denunciato per i reati di offesa a una confessione religiosa, rompendo tre crocifissi, e resistenza a pubblico ufficiale. Inoltre, nel corso dell'identificazione in Questura, aveva minacciato gli operatori di polizia e la popolazione cristiana affermando di voler vendicare le morti nel conflitto israelo-palestinese.

Insomma, non siamo in presenza di una comunicazione istituzionale, per quanto semplificata, ma di una vera e propria pedagogia morale, che deve celebrare il trionfo dei custodi dell’ordine. I quali, quando colpiscono, sono infallibili, fosse anche contro dei minori.

Che si tratti di una pedagogia morale, e quindi di un’ideologia, lo si capisce per contrasto, quando a parlare sono le reticenze. Non troveremo mai la card che dice “Corruzione. Arrestato presidente di Regione”, per esempio, poiché i reati evidenziati seguono una direttrice di classe o razzializzata. Roba che riguarda il popolo, nel bene o nel male, o quelli che vengono da fuori. 

Ma un caso che riguarda le scelte linguistiche più che i silenzi sui profili social è la recente aggressione subita dal giornalista della Stampa Andrea Joly, accerchiato, rincorso e pestato a Torino mentre filmava una festa organizzata da CasaPound presso il circolo culturale che ne fa da sede. Per l’aggressione, riporta la stessa Stampa sono stati identificati quattro degli aggressori legati a Casapound

Un caso molto grave, in un periodo in cui i rapporti tra i partiti di governo e neofascismo sono sotto i riflettori dopo l’inchiesta di Gioventù meloniana di Fanpage. Senza contare come siano finiti sotto i riflettori anche i comportamenti delle forze dell’ordine verso i giornalisti, con episodi di fermi e perquisizioni. Come ha parlato del caso il ministro Piantedosi? Attraverso il suo profilo X, per una volta senza card.

Piantedosi per l’occasione spolvera un misto di iper-garantismo e lessico burocratico, quel linguaggio inflazionato di locuzioni e tecnicismi il cui principale effetto è di allontanare le parole dai significati, dalle cose concrete. Il focus è sulla Questura. Nessuna menzione per il giornalista aggredito, nessuna menzione del diritto di informazione, nessun attestato di solidarietà: al suo posto troviamo una lunga e articolata perifrasi, che tratta l’aggressione squadrista immortalata da diversi video come semplice “violenza” (da condannare a prescindere dalla “matrice”) con “finalità discriminatorie". Resta da capire se Joly e i giornalisti in generale siano considerati “soggetti fragili”, o che svolgono “particolari e fondamentali funzioni”, o tutte e due le cose.

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Le questioni politiche che potrebbero stare sul tavolo, come lo scioglimento di CasaPound o la chiusura del circolo Asso di Bastoni (“cuore della Torino nera”), o il diritto dei giornalisti a svolgere il proprio lavoro in sicurezza, così come la sicurezza di quei cittadini che hanno provato a fermare l’aggressione, non sono nemmeno lontanamente prese in considerazione. Per capire bene il senso della comunicazione istituzionale del ministero dell’Interno, bisogna perciò setacciare silenzi e omissioni, muovendosi il più lontano possibile dall’enfasi o dai giri di parole, o tra le sue pieghe. L’importante è non stare sintonizzati su questa ondata “retequattrista”, per usare un’azzeccata intuizione linguistica del giornalista Sergio Scandura, che ben sintetizza la deriva politica che stiamo vivendo.

(Immagine anteprima via ministero dell'Interno)

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