La Chiesa di Trump: come il Partito Repubblicano è diventato un culto trumpiano
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Lo scorso giovedì Donald Trump è salito sul palco del Fiserv Forum di Milwaukee per accettare la nomina a candidato presidenziale – la terza consecutiva dal 2016 a oggi.
Era la prima volta che parlava in pubblico dopo l’attentato di Butler, in Pennsylvania, dov’è sopravvissuto per miracolo.
Come aveva anticipato lui stesso alla vigilia della convention repubblicana, quello che doveva essere un “discorso-cannonata” – contro Joe Biden, i democratici, i procuratori e tutti gli altri suoi nemici – sarebbe stato invece molto più moderato, quasi conciliante.
E in effetti, la prima parte della sua orazione è andata in quella direzione. “Sono di fronte a voi per lanciare un messaggio di fiducia, forza e speranza”, ha detto Trump davanti ai membri del partito e ai sostenitori, molti dei quali con una garza all’orecchio destro – quello colpito da un proiettile sparato dal 20enne Thomas William Crooks – in solidarietà all’ex presidente.
“Insieme inaugureremo una nuova era di sicurezza, prosperità e libertà per i cittadini di ogni etnia, religione, colore e fede”, ha proseguito. “Bisogna guarire la nostra società rovinata dalla discordia e dalle divisioni. Dobbiamo guarirla in fretta”.
E ancora: “Sarò il presidente di tutta l’America, non di metà America. Non c’è alcuna vittoria nel conquistare solo metà dell’elettorato”.
Ma dopo un quarto d’ora, Trump ha abbandonato l’inconsueto tono misurato e si è messo a fare quello che sa fare meglio: attaccare a testa bassa i suoi avversari.
Il Partito Democratico, ad esempio, è stato descritto come un partito che lo perseguita attraverso una “caccia alle streghe” giudiziaria e che ha truccato le elezioni del 2020 con la “scusa del Covid-19”. Nancy Pelosi si è beccata della “pazza”, mentre Joe Biden è stato definito “il peggior presidente” di tutti i tempi.
Come hanno rilevato diversi articoli di fact-checking, in novanta minuti Trump ha detto più di venti bugie su economia, sicurezza, elezioni, politica estera e soprattutto immigrazione.
In uno dei passaggi più applauditi, l’ex presidente ha detto che i migranti “arrivano negli Stati Uniti dalle prigioni, dalle galere e dai manicomi”, e che sta entrando nel paese “una quantità di terroristi che non abbiamo mai visto prima”. Quando sarà di nuovo alla Casa Bianca tutto ciò finirà, ha promesso, perché verrà lanciata “la più grande deportazione nella storia del nostro paese”.
Insomma: il Trump “moderato” e “federatore” è durato molto poco; al suo posto è subito ritornato il solito Trump con la sua retorica violenta, vendicativa e messianica.
A quest’ultimo proposito, in più di un’occasione l’ex presidente ha invocato il nome di Dio. “Non dovevo essere qui stasera”, ha detto riferendosi al tentato omicidio. “Se lo sono è soltanto per la grazia di Dio onnipotente”.
Durante la sparatoria, ha ricordato, “c’era sangue ovunque, ma in un certo senso mi sentivo al sicuro, perché avevo Dio al mio fianco, lo sentivo”.
Di cosa parliamo in questo articolo
L’improbabile eroe del nazionalismo cristiano
Trump non è l’unico a pensare di essere stato salvato da un intervento divino (che tuttavia non ha risparmiato l’ex vigile del fuoco Corey Comperatore, rimasto ucciso nell’attentato). Sia dentro che fuori il partito, infatti, sono in molti a crederlo.
Ben Carson, ex segretario dello sviluppo urbano nell'amministrazione Trump, si è detto certo che “Dio ha protetto Trump con uno scudo”. Anche Steve Bannon – l’ex consulente strategico di Trump che sta scontando una condanna per essersi rifiutato di testimoniare davanti alla commissione d’inchiesta della Camera sull’assedio al Congresso – ha parlato di “armatura di Dio”.
Il senatore Tim Scott, che in passato aveva fisicamente affisso i dieci comandamenti fuori dal municipio di Charleston (in Carolina del Sud), ha spiegato in un intervento alla convention repubblicana di “credere nei miracoli” perché “sabato [13 luglio] il diavolo è comparso in Pennsylvania armato di fucile”, ma Dio l’ha fermato e ha permesso “al leone americano [cioè Trump] di rialzarsi e ruggire”.
Mike Lindell, imprenditore complottista e sostenitore di Trump, ha raccontato in un podcast che le foto del tentato omicidio gli hanno messo addosso una sorta di soggezione religiosa: da quegli scatti si può “percepire la presenza di Dio che ci parla e ci dice che ‘andrà tutto bene’”.
Charlie Kirk, fondatore del movimento ultraconservatore Turning Point USA, ha scritto su X che “l’intero paese è stato salvato da un colpo di vento che deviato il proiettile quanto bastava. Nelle scritture, lo Spirito Santo è spesso associato al vento. […] Donald Trump è protetto dalla mano di Dio”.
Queste sono solo alcune dichiarazioni; la lista potrebbe andare avanti a lungo.
Ma del resto, è da diversi anni che una buona fetta della base trumpiana è formata da evangelici bianchi. Quest’ultimi adorano Trump nonostante sia l’esatto opposto di un buon cristiano: non va a messa né conosce la Bibbia, è pluri-divorziato, è stato accusato di violenza sessuale e recentemente è stato pure condannato.
Per restituire l’entità del fenomeno basta un dato: alle presidenziali del 2020 Trump ha preso l’84 per cento dei voti in quella fascia di popolazione, che è dunque assolutamente cruciale per la rielezione. Non a caso, come ha sottolineato un articolo del New York Times, negli ultimi mesi l’ex presidente ha fatto più volte comizi elettorali presso chiese e congregazioni evangeliche.
Molto più che nel passato, l’intera campagna elettorale di Trump ha virato con convinzione verso il nazionalismo cristiano ed è intrisa di riferimenti cristologici o apocalittici, in cui la contesa del prossimo novembre assume sempre di più le fattezze di una battaglia finale tra il Bene (lui) contro il Male (chi è contro di lui).
La stessa piattaforma del Partito Repubblicano contempla addirittura la creazione di una nuova task force federale per combattere “il pregiudizio anti-cristiano” e “la persecuzione contro i cristiani in America”.
Il tentato attentato di Butler ha portato all’estremo questa tendenza ed è stata interpretata come un segno del destino: Dio ha protetto Trump affinché vada fino in fondo e instauri un’America realmente cristiana.
Questo è l’obiettivo che si prefigge pure il “Project 2025”, un “piano di transizione” per un eventuale secondo mandato trumpiano elaborato dal think tank The Heritage Foundation e da altre associazioni di estrema destra. Trump ha detto di non saperne nulla, ma secondo la CNN al piano hanno collaborato più di 140 persone legate al candidato repubblicano – inclusi sei ex segretari della sua amministrazione.
A ogni modo, e senza girarci troppo attorno, se il “Project 2025” dovesse essere applicato integralmente gli Stati Uniti diventerebbero una sorta di teocrazia fascista.
Tra le varie proposte contenute nel documento finale di 900 pagine, infatti, c’è la previsione di un controllo presidenziale totale sulle istituzioni federali; lo smantellamento dell’FBI; la chiusura dei confini e l’espulsione di massa dei migranti; il divieto di aborto a livello nazionale; addirittura la messa al bando della pornografia, considerata un veicolo di propaganda LGBTQIA+; e tanto altro ancora.
Il Partito Repubblicano come una chiesa personale di Trump
Il fervore religioso che pervade la figura di Trump svolge anche un’altra funzione: quella di serrare i ranghi del partito e della base intorno al leader.
Anche qui, non siamo di fronte a una novità assoluta. Già quattro anni fa – in un lungo reportage pubblicato su Vanity Fair – il giornalista Jeff Sharlet aveva parlato esplicitamente di “culto di Trump”, scrivendo che molti fan “lo descrivono come un novello re Davide, un peccatore unto dal Signore, mentre altri lo paragonano alla regina Ester, destinata a salvare Israele. Altri ancora fanno analogie con Ciro, il re persiano della Bibbia diventato ‘vascello di Dio’”.
Più recentemente, riferendosi ai quattro processi penali che lo vedono come imputato, la deputata ultratrumpiana e complottista Marjorie Taylor Greene aveva paragonato Trump a Gesù Cristo, visto che entrambi sono stati messi alla sbarra da “governi corrotti e radicali”.
Lo stesso Trump aveva ricondiviso su Truth Social un articolo del giornale ultraconservatore The Washington Times – fondato dal reverendo Sun Myung Moon, capo della Chiesa dell’Unificazione – significativamente intitolato “La crocifissione di Donald Trump”.
Ora, per l’appunto, il fallito attentato ha rafforzato al massimo questo tipo di convinzioni, rendendo ancora più audaci i paragoni religiosi. Come ha scritto sul Guardian il consulente politico democratico Sidney Blumenthal,
Trump non è semplicemente sopravvissuto alla crocifissione. Non è soltanto risorto. È diventato il suo stesso Secondo Avvento. Si è battezzato nel suo stesso sangue. L’intervento divino ha dimostrato che era destinato a tornare. Ciò che si richiede ai suoi sostenitori è una dichiarazione di fede.
Dopotutto, è Trump in persona a chiedere – e pretendere – la devozione assoluta nei suoi confronti.
Ogni minima critica è considerata un’apostasia, da punire con la scomunica e l’allontanamento dal partito. E infatti, chiunque abbia provato a dubitare di Trump è stato fatto fuori senza troppi complimenti. I risultati di queste continue purghe interne si sono viste platealmente all’ultima convention repubblicana, dove non c’è stata nemmeno l’ombra di una contestazione.
Il Partito Repubblicano, insomma, è totalmente trumpizzato: nel senso che è modellato a sua immagine e somiglianza.
È la sua chiesa personale, ormai: la Chiesa di Trump.
Una chiesa dove tutto il potere è concentrato nelle mani di una singola persona, incaricata da Dio di trasformare gli Stati Uniti in una terra promessa per i suoi seguaci – e in un inferno per chiunque gli si opponga.
Immagine di copertina: frame video Guardian