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Elezioni nel Regno Unito: la vittoria triste dei Laburisti di Keir Starmer

5 Luglio 2024 13 min lettura

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Elezioni nel Regno Unito: la vittoria triste dei Laburisti di Keir Starmer

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Come previsto dai sondaggi, il Partito Laburista di Keir Starmer ha vinto le elezioni nel Regno Unito. Si tratta di una vittoria storica, dopo quasi quindici anni di governo dei Conservatori. A livello di seggi i laburisti avranno una larghissima maggioranza nella prossima Camera dei Comuni (House of Commons), seguiti dai Conservatori del Primo Ministro Rishi Sunak, che diventeranno il primo partito di opposizione, nonostante il loro peggior risultato di sempre. A seguire ci sono i Liberal-democratici guidati da Ed Davey, che ha puntato su una campagna elettorale non convenzionale per avere una maggior copertura mediatica. Il risultato forse più sorprendente, rispetto al passato, sono i seggi conquistati dal partito Reform UK di Nigel Farage, ex leader dell’UKIP. Disfatta invece per lo Scotland National Party (SNP) che ha avuto un netto ridimensionamento. 

Il disastro dei conservatori

Per comprendere queste elezioni è necessario osservare la traiettoria imboccata dal Regno Unito negli ultimi 14 anni, quelli che coincidono con il governo del Partito Conservatore, anche detti Tory. Alle elezioni del 2010, infatti, non uscì una maggioranza chiara dalle urne, con i Laburisti, al governo da 13 anni, sorpassati dai Tory e tallonati dai Liberal-democratici di Nick Clegg. A emergere come Primo Ministro da quelle consultazioni fu David Cameron, giovane leader del partito conservatore, in un governo di coalizione con i Liberal-democratici. A caratterizzare quella fase fu la linea economica sostenuta dal governo Cameron, lontana da quel One nation conservatism che era stato il mantra dei Conservatori per decenni. 

L’austerità di Cameron, a differenza di quella che si è vista ad esempio con il governo Monti, non faceva leva su un aumento della tassazione per aumentare il gettito e quindi ridurre il debito pubblico. Al contrario, la linea di Cameron e Osborne si concentrava su un ridimensionamento del settore pubblico, con netti tagli sia al pubblico impiego sia al welfare state, per finanziare misure come il taglio della Corporation tax, ovvero un taglio alle tasse per le imprese. La politica economica messa in atto dal Governo Cameron portò a un assottigliamento dello Stato sociale nel Regno Unito senza però assistere a tassi di crescita miracolosi, anzi: la produttività è rimasta ferma, di fatto, alla crisi finanziaria del 2010. Queste politiche colpirono prevalentemente il settore dei trasporti, delle pensioni e del lavoro e delle amministrazioni locali. A essere penalizzate però furono anche l’istruzione e l’NHS, il sistema sanitario nazionale britannico, dove non si assistette a tagli, ma a mancati investimenti. Proprio lo stato dell’NHS è stato uno dei temi più discussi nel corso degli ultimi anni, anche a causa della pandemia di Sars-CoV-2: per le liste di attesa si è assistito a un trend in aumento rispetto ai governo Laburisti, così come un calo della soddisfazione per il servizio. 

Questa politica non si è di certo arrestata quando David Cameron si è dimesso. A continuare le politiche di austerità ci pensò il Governo di Theresa May che introdusse uno dei provvedimenti più discussi: il Two child benefit cap. Si tratta di una limitazione alle detrazioni fiscali e agli assegni per ogni figlio in più dopo il secondo. Nelle intenzioni dei Conservatori, questo avrebbe incentivato le famiglie con più figli a lavorare di più. Secondo una ricerca del think tank indipendente Resolution Foundation, il risultato è stato invece un aumento dell’incidenza della povertà nelle famiglie più numerose rispetto a quelle con due figli. 

I risultati delle politiche di austerità hanno avuto un impatto anche sull’aspettativa di vita, come mostra un lavoro di recente pubblicazione. Secondo un working paper di ricercatori della London School of Economics, il programma di austerità è costato in media quasi mezzo anno di aspettativa di vita nel periodo 2010-2019, cioè prima della pandemia. I risultati dello studio mostrano inoltre come queste politiche abbiano ampliato i divari territoriali: il divario nell’aspettativa di vita tra le zone più ricche e quelle più povere è aumentato da 1,6 anni a 1,9 nello stesso periodo. 

Queste stime, sottolinea uno degli autori dello studio, sono da prendere con cautela perché i veri effetti dei programmi di austerity potrebbero vedersi solo più in là nel tempo. Le politiche di austerità, poiché impattano anche sul reddito disponibile delle famiglie più povere, potrebbero spingere verso stili di vita meno sani e quindi aumentare il rischio di morte precoce. 

Un secondo aspetto che ha avuto un impatto sulla situazione economica britannica è ovviamente la Brexit. Il referendum fu voluto da David Cameron, che sperava di mettere a tacere le voci più euroscettiche in seno al suo partito e allo stesso tempo affrontare frontalmente movimenti alla sua destra come il partito UKIP, guidato al tempo da Nigel Farage, che ebbe un risultato senza precedenti alle Europee del 2014. Lo stesso Cameron fece apertamente campagna per il Remain. A entrare in gioco, in questa fase, è Boris Johnson, a quel tempo alla fine del suo mandato da sindaco di Londra. 

Sul referendum Johnson fu il più noto avversario di Cameron all’interno del Partito Conservatore, avendo sposato pienamente la Brexit, nonostante l’indiscrezione secondo cui avrebbe scritto un articolo pro-Remain mai pubblicato. Quando i risultati delle urne indicarono la vittoria del fronte del Leave sul Remain, Johnson non entrò subito in corsa, preferendo un ruolo meno centrale all’interno del governo di Theresa May, che era stata invece sostenitrice del Remain durante la campagna del referendum. Solo dopo le varie sconfitte di Theresa May, tra cui una disfatta nei negoziati sulla Brexit e un’elezione che tolse ai conservatori la maggioranza assoluta, Boris Johnson divenne leader dei Tory e Primo Ministro. 

Per sbloccare la situazione, Johnson pensò addirittura di sospendere il parlamento fino alla scadenza dei termini, verso una Brexit senza negoziati (la cosiddetta Hard Brexit). Fu grazie al consenso dell’opposizione di Jeremy Corbyn che poté convocare elezioni anticipate. Quelle del 2019 divennero, di fatto, un secondo Referendum sulla Brexit, portando a una maggioranza assoluta dei conservatori e una sconfitta storica per il partito di Corbyn, che da lì a pochi mesi si sarebbe dimesso. L’accordo su Brexit voluto da Johnson entrò in essere nel 2020, mentre nel Regno Unito cominciava a diffondersi la pandemia di Sars-CoV-2, gestita in maniera catastrofica dal governo Johnson, che tergiversò per settimane ribadendo la strategia dell’immunità di gregge. 

I risultati della Brexit però si dimostrarono tutt’altro che proficui, come invece avevano promesso i sostenitori del Leave durante la campagna elettorale. Mancanza di manodopera, carenza di materie prime e di beni di prima necessità. Anche le istituzioni finanziarie, su cui aveva fatto affidamento il Regno Unito dopo la de-industrializzazione voluta da Thatcher, si stanno spostando verso l’Europa continentale. 

Quando poi alla crisi pandemica è sopraggiunta l’inflazione e le conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina, la situazione è precipitata, mostrando come in un mondo sempre più interconnesso una strategia di isolamento non è vincente. Nel mentre però il governo Johnson fu investito da vari scandali, riguardanti feste tenute durante il periodo del lockdown che portarono a dimissioni di massa e infine alla caduta del governo Johnson. A sostituirlo alla guida dei conservatori fu Liz Truss, per pochi ma concitati mesi. Al posto delle politiche di austerity volute da Cameron e da May, con una linea intermedia di Johnson, Liz Truss si fece portatrice di una linea trickle down. Assieme al suo Cancelliere dello Scacchiere Kwasi Kwarteng, proposero il Mini budget, che tagliava di 5 punti percentuali l’aliquota marginale più alta. Un gigantesco taglio delle tasse ai più ricchi senza coperture. Le politiche economiche di Truss portarono a una mini crisi economica, in cui intervenì anche la Banca d’Inghilterra, che comprò titoli di Stato per un valore di 65 miliardi per frenare la crisi, ma rischiando di peggiorare la situazione sul fronte inflazione. 

Dopo questa crisi economica, Liz Truss si è dimessa e al suo posto è subentrato proprio Rishi Sunak. Senza scelte di politica economica sconsiderate come quelle di Truss, Sunak è riuscito a rassicurare i mercati e a mantenere una discreta stabilità economica, senza però convincere gli elettori. Per questo motivo gli sforzi del Governo Sunak si sono principalmente concentrati sul tema immigrazione, per cercare di contenere anche l’emorragia di voti nei confronti del Reform Party, la nuova creatura di Nigel Farage che ha avuto un risultato sorprendente per delle Elezioni Generali. In particolare il governo Sunak ha varato la legge per la deportazione degli immigrati illegali in Ruanda, una legge che ha subito varie critiche da parte degli osservatori internazionali. 

Starmer vince ma non convince

È proprio alla luce di questi ultimi 14 anni che va inquadrata la vittoria del Partito Laburista di Keir Starmer. In una battuta: non è una vittoria dei Laburisti, ma una sconfitta dei Tory. A evidenziarlo ci sono anche le ultime rilevazioni di YouGov: il voto per i laburisti è stato trainato più dalla disaffezione nei confronti dei Tory che dalla campagna di Starmer. 

Non solo, i sondaggi dicono anche che la figura di Starmer non è vista come particolarmente carismatica e apprezzata. D’altronde nel corso degli anni le posizioni di Starmer sono sensibilmente cambiate su quasi tutto quello in cui credeva. In un primo momento, Starmer poteva essere catalogato come un socialdemocratico appartenente alla cosiddetta Soft Left, la linea del partito che se da una parte richiede cambiamenti radicali è disposta a compromessi sia parlamentari sia economici per ottenerli. Nel Manifesto di Starmer infatti propone politiche che guardavano a sinistra, senza gli eccessi della dirigenza Corbyn: aumento delle imposte per i più ricchi, abolizione delle tasse universitarie, nazionalizzazione dei servizi pubblici, sostegno ai sindacati, fine dell’austerità dei Tory. 

Ma nel corso del tempo, il partito di Starmer si è spostato sempre di più verso il centro. Il giornale Big Issues ha recentemente raccolto tutte le svolte di Starmer rispetto al suo Manifesto. Tra i punti su cui si è assistito a queste inversioni a U, anche l’idea di un secondo referendum sulla Brexit, o la difesa della libertà di movimento per i cittadini dell’Unione Europea. 

Il motivo, secondo Starmer e i suoi sostenitori, è che per via della dissennata gestione delle finanze dei Tory non ci sono abbastanza soldi per poter portare avanti determinate politiche. Per questo il Manifesto del Labour Party per le elezioni si concentra in particolare sul tema della stabilità economica. Nelle parole della futura Cancelliera dello Scacchiere Rachel Reeves “la stabilità è il cambiamento”. 

La scelta di Reeves non è casuale. Il suo curriculum è impeccabile: laureata alla London School of Economics, ha lavorato alla Banca d’Inghilterra, un profilo tecnico che però ha poi trovato il suo spazio in politica. La sua politica economica è la Securonomics, termine coniato da lei. Questa linea si basa sull’idea che sia il lato offerta a trainare l’economia, quindi la produzione di beni e l’erogazione di servizi da parte delle imprese. Per questo lo Stato deve concentrare le sue limitate risorse sul settore privato, collaborando in maniera strategica per raggiungere gli obiettivi desiderati dai cittadini. Tutto questo però sempre mantenendo un certo rigore nei conti pubblici, per evitare l’immagine di una sinistra irresponsabile. La maggior parte degli investimenti sono infatti concentrati sul settore della transizione energetica, ma alcune promesse, a crescita invariata, rischiano di richiedere fondi ingenti, come quello sulla rivitalizzazione dell’NHS. 

Si tratta, secondo alcuni commentatori, di scelte precise. Sia il Manifesto sia ruoli di fondamentale importanza come l’economia, mostrano un Keir Starmer e un Labour Party che sono più seri, a tratti noiosi, rispetto alle stravaganze a cui ci hanno abituato i Tory in questi anni. 

Se la sinistra ha lungamente sottovalutato gli aspetti economici sul lato offerta, resta il problema dell’austerità voluta dai conservatori  e dei suoi effetti, che assieme ai trend macroeconomici come l’inflazione hanno impoverito le famiglie. Per questo sarebbe necessario anche un maggior finanziamento del welfare e del lato domanda, soprattutto per le famiglie che si trovano in condizioni di povertà e povertà relativa. Il direttore delll’Institute for Fiscal Studies (IFS) ha dichiarato infatti che, se sono condivisibili l’attenzione per la crescita e la pianificazione, allo stesso tempo le denunce per la situazione disastrosa dal punto di vista sociale lasciata dai Tory e gli impegni per risanare i conti pubblici rischiano di essere difficili da combinare. 

I soldi si potrebbero trovare per andare oltre certe politiche scellerate, come il già citato Two child benefit cap, ma per farlo bisognerebbe dare seguito alle promesse fatte nel Manifesto del 2020, cioè innalzare le imposte sui più ricchi. Ma Starmer ha escluso questa ipotesi, dicendo che il paese ha già un’elevata pressione fiscale. 

Il rischio quindi è che nel voler sembrare il più possibile pragmatici e competenti, il Labour Party sottovaluti i problemi delle fasce più deboli della popolazione, che si dirigeranno invece verso partiti più estremisti. 

Il rischio Farage 

Uno dei segnali più preoccupanti di queste elezioni è il risultato di Reform UK, creatura guidata da Nigel Farage in questi ultimi anni. Alle elezioni generali, i partiti di destra radicale, come lo fu la precedente creatura di Farage, l’UKIP, non avevano mai brillato proprio per via dei voti tattici dovuti al sistema elettorale maggioritario a turno unico. Nonostante l’esiguo numero di parlamentari, dal punto di vista di numeri assoluti il Reform UK ha ottenuto una performance notevole, soprattutto se si guarda alla percentuale di voti. Questo nonostante il partito sia costantemente colpito dagli scandali dovuti alle “mele marce”, cioè candidati di cui emergono dichiarazioni razziste o omofobe. Non solo:  come molti altri politici della destra radicale in Europa, i legami con la Russia di Putin non sono mai stati del tutto chiariti

La normalizzazione di Farage è poi passata dai media, un altro tratto caratteristico della destra radicale e della sua ascesa. Oltre alla politica, Farage è diventato un ospite fisso nelle trasmissioni televisive britanniche e ha condotto il The Nigel Farage show, un programma radiofonico. Senza contare la partecipazione al reality show I’m a celebrity. Ciò ha contribuito a renderlo un volto noto e meno preoccupante rispetto ad altri leader di destra radicale. Molti elettori delusi dal caos generato dai Conservatori si sono rivolti quindi al Reform UK, una dinamica che, per via del sistema elettorale maggioritario a turno unico in UK, ha avuto un ruolo nella sconfitta storica dei Tory. 

Resta da capire se si tratterà di un fuoco fatuo, nato dalla disaffezione nei confronti dei Tory, o se il fenomeno Farage e la normalizzazione della destra radicale continuerà grazie a una maggior rappresentanza parlamentare. Non è infatti una situazione da sottovalutare. Affinché questo succeda devono avvenire almeno due fenomeni. Il primo è che, nonostante la maggioranza del Labour, la luna di miele tra Keir Starmer e l’elettorato non nasca nemmeno. D’altronde il paese è ancora in una situazione estremamente delicata e Starmer non parte da una situazione di grande entusiasmo nei suoi confronti. L’attenzione verso coloro che i Tory hanno lasciato indietro sarà cruciale per fermare queste pulsioni.

Il secondo fenomeno è che i Tory non siano in grado di riprendersi e riorganizzarsi in tempi rapidi, costruendo un’alternativa in grado di attrarre di nuovo quegli elettori che a queste elezioni hanno votato per Reform UK. Questa alternativa però potrebbe non essere un fenomeno del tutto positivo: già oggi il Partito Conservatore ha puntato su una narrazione spostata nettamente a destra, soprattutto sul fronte immigrazione. Come avevamo già detto per le elezioni europee, il rischio è che i consensi ottenuti dai partiti di destra radicale portino i partiti più tradizionali, soprattutto quelli in crisi, a uno spostamento verso posizioni più estreme.  

Una sconfitta dei Conservatori più che una vittoria dei laburisti

Quello che emerge dalle elezioni nel Regno Unito è una sconfitta con potenziali rischi esistenziali per il Partito Conservatore, che nel corso degli anni ha deteriorato il tenore di vita della popolazione, gettato il paese nel caos e generato imbarazzo per gli standard morali. È proprio questa causa primaria che sta alla base dei due meccanismi che hanno portato alla vittoria del Labour Party. Il primo è la capacità da parte del Labour di Starmer di attrarre chi voleva porre fine all’esperienza di governo dei Tory. Questo, sia chiaro, è ben diverso dalle analisi che sono emerse nel nostro paese in questi giorni, secondo cui si vince al centro. La vittoria di Starmer non ci dice che si vince al centro in quanto legge del moto delle elezioni politiche. L’asserzione corretta è infatti quella condizionata: in un paese dominato dal caos causato dai Tory, è possibile che elettori moderati votino per un candidato di sinistra che si pone con serietà e pragmatismo. 

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Il secondo meccanismo è più inquietante: la sconfitta dei Tory, dato il sistema elettorale inglese maggioritario a turno unico, è stata in parte causata dalla concorrenza interna del Reform UK che, ancora una volta approfittando della situazione creata dai conservatori, ha avuto delle percentuali mai viste prima che quindi ha favorito i candidati degli altri partiti. Quale di questi due meccanismi sarà stato più determinante emergerà con più chiarezza nei prossimi giorni, quando ci saranno dati più granulari che permetteranno un’analisi più approfondita della questione. 

La vittoria di Starmer, nonostante le riserve sul suo programma e sulle sue posizioni, è una buona notizia in un Occidente che vira sempre più a destra. Di certo però, come già evidenziato prima, non sarà semplice. Il paese vive ancora una situazione profondamente precaria e bisognerà capire se il Labour Party sarà capace di portare davvero la stabilità che promette, ma allo stesso tempo sanare le profonde divisioni e risolvere le condizioni di disagio in cui vivono famiglie, giovani, anziani. Solo in questo modo, oltre a rimettere in moto il motore della crescita del Regno Unito, si potrà dare risposte a quegli elettori che hanno votato per i partiti populisti.

Immagine in anteprima: frame video Guardian via YouTube

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